Non solo Xylella. Gli ulivi pugliesi distrutti anche dai funghi. Intervista al professor Marco Scortichini

29 Mar 2024, 16:57 | a cura di
Abbiamo parlato con il ricercatore che da anni studia la Xylella e al quale si deve un protocollo di interventi sugli ulivi al fine di evitare gli abbattimenti. Con risultati tanto sorprendenti quanto ignorati dalla politica

Per cercare di arginare l'avanzata della Xylella negli ulivi abbiamo sostanzialmente "perso" più di dieci anni puntando tutto sullo sradicamento e il reimpianto, mentre chi aveva in mano studi scientifici e protocolli operativi validi è stato messo in secondo piano. Queste, in sostanza, sono le conclusioni di un rapporto scientifico (A decade of monitoring surveys for Xylella fastidiosa subsp. pauca in olive groves in Apulia - Italy reveals a low incidence of the bacterium in the demarcated areas) che porta la firma della professoressa Margherita Ciervo e del professor Marco Scortichini. Nelle conclusioni lo studio lancia una sorta di appello ai politici: «Il presente studio indica una proposta scientificamente fondata che potrebbe ridurre la devastazione dell'ambiente, del paesaggio, dell'agricoltura tradizionale e dell'economia territoriale e che potrebbe supportare il decisore politico nelle sue scelte». Abbiamo parlato con Scortichini, ricercatore del Crea (Consiglio per la ricerca e l'economia agraria) e autore di un protocollo salva ulivi, al quale abbiamo chiesto di spiegarci come convivere con la Xylella senza abbattere gli alberi.

Ci sono stati errori nella gestione iniziale della Xylella? Cosa ha permesso la sua diffusione?

La gestione delle emergenze fitosanitarie da quarantena ha un presupposto fondamentale per la sua efficiente e risolutiva soluzione: la subitanea individuazione dei primi focolai della malattia. Nel caso di Xylella fastidiosa nel Salento sono passati almeno 4-5 anni prima che si individuasse il batterio. Nel frattempo, l’infezione aveva coinvolto circa un milione di olivi. È chiaro che, a quel punto, nessun piano di eradicazione avrebbe potuto funzionare. Inoltre, i piani di eradicazione dei patogeni da quarantena, così come sono organizzati, hanno maggiore possibilità di successo con colture facilmente gestibili come quelle erbacee (pomodoro, patata ecc.), con le specie arboree è molto più difficile. Inoltre, non sono stati presi in considerazioni altri agenti patogeni, quali i funghi, in grado di coesistere con Xylella e di causare, nel contempo, danni molto ingenti all’albero.

Giustifica i primi abbattimenti che furono programmati con il piano Silletti?

L’abbattimento tardivo degli olivi non serviva a nulla. Tenendo conto dell’elevato numero di alberi infetti, del fatto che il batterio colonizza molte piante spontanee non facilmente eliminabili e dell’elevata diffusione e prolificità dell’insetto vettore responsabile della sua diffusione nel territorio, la cosiddetta Sputacchina, l’ulteriore abbattimento di alberi non avrebbe portato benefici. Va sottolineato che, già qualche mese dopo il rinvenimento di Xylella, l’Efsa, evidenziava l’inefficacia delle eradicazioni nel contesto che abbiamo prima descritto.

Lei e la dottoressa Ciervo, coautrice dello studio, avete anche puntato il dito sulla mala gestione dei terreni agricoli sui quali vivevano queste piante. Perché è accaduto più in Salento che in altre zone della Puglia e d’Italia?

Da analisi statistiche effettuate sulla vendita dei diserbanti in Puglia a partire dagli anni Duemila, è emerso come nella provincia di Lecce sia aumentata la vendita di tali prodotti, in misura notevolmente maggiore rispetto alle altre province pugliesi. L’uso massiccio dei diserbanti ha contribuito all’abbandono delle buone pratiche agricole che, solitamente, venivano effettuate.

Quindi?

Si è assistito ad una riduzione delle lavorazioni del terreno con conseguente compattamento del suolo e ad una riduzione della fertilizzazione organica. Se si tiene conto dei numerosi periodi siccitosi estivi accompagnati da temperature molto elevate e dai ricorrenti fenomeni di forte e improvvisa piovosità che si sono ripetute nel corso degli ultimi due decenni, si ha un quadro di deterioramento sia della struttura che della fertilità del suolo che potrebbe aver contribuito a rendere più fragili gli oliveti.

La pratica di estirpare gli alberi per poi reimpiantare le varietà resistenti è stata finora quella più utilizzata e più diffusa. A chi ha fatto comodo questo approccio? Chi ci ha guadagnato?

Le varietà proposte come "resistenti” sono, in realtà, “tolleranti” alla malattia, nel senso che possono ritardare l’insorgenza dei sintomi ma ospitano, comunque, Xylella fastidiosa al loro interno e possono, conseguentemente, sviluppare sintomi come le varietà sensibili autoctone. Al momento, quindi, non si può parlare di “guadagno”, in quanto la loro diffusione nel territorio colpito risulta piuttosto limitata e la maggior parte del Salento olivetato risulta ancora desertificato.

Può riassumere brevemente le principali caratteristiche del “protocollo Scortichini” per quanto riguarda la gestione della pianta infetta e del terreno?

Il cosiddetto “protocollo Scortichini” è frutto di approfondite collaborazioni tra numerosi ricercatori di diverse istituzioni scientifiche quali il Crea, l’Università del Salento e il Dipartimento di Agricoltura della California. Inoltre, vi hanno contribuito numerosi tecnici pugliesi operanti nel settore agricolo. Mediante successivi studi interdisciplinari è stato possibile verificare, sia in laboratorio che in pieno campo, l’efficacia di un biofertilizzante nel ridurre significativamente la presenza di Xylella fastidiosa sia nei terreni di coltura che nell’albero.

Come funziona?

Il protocollo applicativo è molto semplice e poco costoso e consiste nel nebulizzare il prodotto alla chioma dell’albero, una volta al mese durante la primavera-estate. Il terreno deve essere regolarmente fertilizzato e con lavorazioni meccaniche di superficie al terreno, da effettuarsi in pieno inverno-inizio primavera, si deve limitare la presenza della Sputacchina. Infine, l’oliveto va potato regolarmente ogni 2 anni invece di 4-5 come si era solito fare negli ultimi decenni.

Quanto è vasta l’area nella quale si è sperimentato questo protocollo? Quali territori comprende?

Le sperimentazioni hanno riguardato tipiche aziende olivicole salentine, di circa un ettaro di superficie, situate in provincia di Lecce. Tutte erano colpite dal batterio ad inizio della prova ed oggi, a distanza di più di 8 anni dall’inizio dei trattamenti, gli oliveti sono ancora produttivi, circondati da oliveti disseccati ed abbandonati.

Quante sono a oggi le realtà olivicole che seguono questo protocollo?

Va detto che un grande ostacolo alla diffusione di strategie di contenimento nei confronti del batterio è stato causato dall’aver diffuso agli agricoltori, tecnici e politici il dogma “la Xylella non si cura”. Questo ha provocato un diffuso scetticismo nei confronti del protocollo prima descritto e verso tutti coloro che volessero intraprendere azioni di contenimento e, allo stesso tempo, ha provocato l’abbandono delle aziende da parte dei proprietari. Attualmente il protocollo è, comunque, diffuso su circa 1.500 ettari di territorio tra le province di Lecce, Taranto e Brindisi.

Può farci qualche esempio?

Masserie tipiche, gestite da imprenditori locali o stranieri, che, per ovvii motivi di salvaguardia del paesaggio, hanno interesse a curare gli alberi per mantenerli in vegetazione e produzione. Piccole aziende part-time gestite da olivicoltori particolarmente affezionati alla storia e significato dei propri alberi. Grandi aziende olivicole che intendono salvaguardare la produzione. Da notare che, qualcuna di tali aziende, ha anche vinto premi nazionali ed internazionali per la qualità dell’olio prodotto.

Si arriverà a dover convivere per sempre con la Xylella? La dobbiamo considerare endemica come la Peronospera per la vite?

La convivenza è l’unica soluzione possibile. Convivere, come per le altre malattie delle piante, significa realizzare che il patogeno è sempre presente nell’ambiente di coltivazione ma che, attraverso opportune strategie di difesa, come quella sopra descritta, è possibile, anno dopo anno, contenerne la diffusione. L’esempio della Peronospora della vite è calzante, in quanto ogni anno il viticoltore deve prevedere una serie di trattamenti, variabili a seconda dell’andamento climatico, per impedire l’insorgere dei sintomi causati dal fungo sempre presente nel vigneto. Ne consegue, però, che l’olivicoltore deve adeguare la sua mentalità verso una gestione più professionale dell’oliveto. Aver dissuaso un approccio di cura favorendo il concetto di eradicazione ha notevolmente rallentato la possibilità di salvaguardia dell’immenso patrimonio olivicolo salentino.

Nel report si evidenzia come nel corso degli anni sia diminuita notevolmente la percentuale di olivi infetti, passando da un 69% del 2014/2015 a poco più del 3% del 2021/2022. Alcuni studiosi potrebbero dire che questi risultati sono anche frutto delle eradicazioni avvenute negli ultimi 10 anni. È così?

Il fatto che Xylella fastidiosa diminuisca man mano che ci si allontana dall’area maggiormente infetta è del tutto normale. Il dato che fa riflettere, però, è che solo il 3% di olivi con sintomi visibili di disseccamento ospita il batterio. Cosa induce gli avvizzimenti di foglie, rami o branche nel restante 97% degli olivi campionati dagli ispettori duranti i monitoraggi in campo? In tutta questa vicenda non è stato approfondito il ruolo svolto dai funghi nel causare i disseccamenti degli oliveti.

I funghi?

Si è osservato che alcuni miceti causano dei sintomi molto simili a quelli indotti da Xylella fastidiosa; tali funghi mostrano un’aggressività molto superiore a quella mostrata dal batterio nel provocare gli avvizzimenti. Da notare che questi funghi risultano essere molto presenti nel territorio salentino. È possibile, quindi, che stiamo assistendo ad una malattia complessa, causata, cioè dall’azione di più microrganismi patogeni che possono agire in fasi successive, stimolati anche da qualche fattore predisponente, quale la siccità e le alte temperature estive.

Nello studio viene citata anche la Convenzione internazionale per la protezione delle piante (Ippc) che prevede la modifica tempestiva delle misure fitosanitarie "in base al cambiamento delle condizioni e all'emergere di nuovi fatti". È stata rispettata questa norma?

Al momento non sono arrivati segnali di cambiamento di strategia da parte dell’Unione europea e dell’Ippc. Tuttavia, l’area dove era in vigore l’obbligo di abbattere, in un raggio di 50 metri, tutti gli alberi limitrofi a un olivo diagnosticato infetto, è stata spostata più a nord. Ciò consente di salvaguardare dall’abbattimento moltissimi olivi secolari e millenari in gran parte della Valle d’Itria. Tale zona, infatti, era stata recentemente interessata dal sacrificio, verificato come inutile da un punto di vista della diffusione della malattia, di moltissimi esemplari asintomatici.

Non trova che la questione Xylella sia stata gestita più come un attacco virale piuttosto che batterico?

Sono d’accordo. In patologia vegetale i batteriologi, categoria di cui faccio parte, hanno sempre in mente la possibilità di trovare una cura per le piante mentre i virologi, che hanno gestito gran parte degli aspetti legati a Xylella, attribuiscono le possibilità di contenimento dei virus all’eradicazione, alla lotta ai vettori e all’applicazione delle tecniche diagnostiche per l’individuazione delle piante infette. Sarebbe stato più opportuno, visto che Xylella fastidiosa, è un batterio prendere in maggiore considerazione gli aspetti legati alla convivenza con il batterio.

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