Anche le aziende più piccole dovranno adeguarsi alle norme sul Whistleblowing. Inclusi ristoranti, imprese agricole e hotel. Dal 17 dicembre tutte le attività con più di 50 dipendenti devono munirsi di «propri canali di segnalazione che garantiscano, anche tramite il ricorso a strumenti di crittografia, la riservatezza dell'identità della persona segnalante, della persona coinvolta e della persona comunque menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione». In poche parole, le aziende più piccole dovranno dare la possibilità ai propri dipendenti di segnalare illeciti, in modo anonimo (e tramite apposite piattaforme), come già avviene nel pubblico e nelle aziende private con più di 250 dipendenti. Dovranno quindi adeguarsi alla cosiddetta Direttiva Whistleblowing - Direttiva (UE) 2019/1937 – e al decreto legislativo n. 24 del 10 marzo 2023 in ambito di «protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali». Per denunciare degli illeciti la Direttiva Whistleblowing prevede tre canali: quello interno, ovvero attraverso la piattaforma allestita dell'azienda stessa, quello esterno attraverso il sito dell'Anac - Autorità Nazionale Anti Corruzione - e la divulgazione pubblica.
Le segnalazioni di illeciti (fatte in anonimato) potranno riguardare le violazioni del diritto dell’Unione europea, in particolare per quanto riguarda il mondo agricolo e della ristorazione quelle relative ai settori degli appalti pubblici, prevenzione del riciclaggio e del terrorismo, sicurezza e conformità dei prodotti, tutela dell’ambiente e riciclo dei riufiti, sicurezza degli alimenti e dei mangimi e benessere degli animali, protezione dei consumatori e protezione dei dati personali. «È una normativa complessa», spiegano da Anac, l'ente di riferimento per questa direttiva.
Cosa si intende con whistleblowing
Whistleblowing significa soffiata: è la denuncia anonima da parte di un dipendente o di altra persona che rilevi un presunto illecito. Ed è uno strumento che deriva dalla cultura anglosassone. «In Italia e più in generale nel mondo latino non c'è questa cultura», dice Andrea Chiriatti, responsabile lavoro di Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, ramo di Confcommercio dedicato alle attività legate alla somministrazione, Chiriatti non nasconde la propria perplessità: «Ci sono già delle leggi cui fare riferimento per le varie irregolarità: se uno viene a conoscenza di una trasgressione dovrebbe denunciare, c'è la responsabilità sociale d'impresa e così via». Uno dei punti che rendono ostica l'applicazione di questa direttiva sono proprio le eccezioni della sua applicazione. Si legge nel testo (art. 1. comma 2. lettera b) che «le disposizioni del presente decreto non si applicano alle segnalazioni di violazioni laddove già disciplinate in via obbligatoria dagli atti dell'Unione europea o nazionali indicati nella parte II dell'allegato al presente decreto ovvero da quelli nazionali che costituiscono attuazione degli atti dell'Unione europea indicati nella parte II dell'allegato alla direttiva (UE) 2019/1937, seppur non indicati nella parte II dell'allegato al presente decreto». Non rientrano, quindi, gli illeciti che riguardano i contratti di lavoro o le molestie. Per quest'ultime restano i percorsi della giustizia civile e penale.
Chi riguarda la direttiva whistleblowing
Dal 17 dicembre sono tenute a istituire un canale interno di segnalazione tutte le aziende pubbliche e private che hanno impiegato, nell'ultimo anno, «una media di tra i 50 e i 249 lavoratori subordinati, con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato» (sopra a questo numero l'obbligo è entrato in vigore il 15 luglio). La legge riguarda anche i comuni sopra i 10mila abitanti, gli enti con meno di 50 dipendenti se si occupano di settori sensibili e quelli che adottano modelli di organizzazione e gestione ai sensi del decreto legislativo 231/2001. La normativa quindi include anche molti ristoranti, hotel di medie dimensioni e aziende agricole più piccole. Chi non si adegua rischia una sanzione dai 10mila ai 50mila euro.
In Italia il mondo della ristorazione è per lo più formato da aziende piccole, ma non mancano realtà che superano la soglia minima prevista, e non sono solo le catene della ristorazione come potrebbero essere anche MyChef o Mc Donald's - «realtà come quelle hanno un sindacato interno e hanno già informato dell'esistenza di questi canali», spiega Chiriatti – ma anche pizzerie con più sedi, alberghi e gruppi legati ad alcuni dei ristoranti più importanti d'Italia come Alajmo o Da Vittorio che – ci hanno risposto – sono in via di adeguamento alla direttiva. «Il grado di conoscenza di questa materia, anche tra i direttori di risorse umane di grandi aziende, in linea di massima è pari a zero», dice Chiriatti che aggiunge: «Le aziende più piccole si rivolgeranno al proprio consulente di fiducia che preparerà questa comunicazione. Potrebbe essere solo una semplice procedura cui ottemperare, nulla di peculiare e caratteristico». E voi come Fipe come vi muovete? «Con circolari e comunicazioni ai nostri associati per informarli della direttiva».
Come funziona la direttiva?
Le aziende devono mettere a disposizione uno strumento per le segnalazioni (che possono essere presentate in forma scritta o a voce) che ne garantisca la riservatezza, e indicare uno o più persone interne oppure esterne adeguatamente formate che devono gestirle in totale autonomia. Il passo successivo è informare i dipendenti comunicando il modo per accedere a questi canali e il nome dei gestori. Le segnalazioni possono anche venire da persone esterne all'azienda, per esempio consulenti o clienti, come indicato nell'art.3. comma 3.
C'è l'obbligo per i gestori delle segnalazioni di:
- fornire un avviso di ricevimento della segnalazione entro sette giorni dalla data di ricezione.
- mantenere le interlocuzioni con la persona segnalante e richiedere a quest'ultima, se necessario, integrazioni;
- dare diligente seguito alle segnalazioni ricevute;
- fornire riscontro alla segnalazione entro tre mesi dalla data dell'avviso di ricevimento o, in mancanza di tale avviso, entro tre mesi dalla scadenza del termine di sette giorni dalla presentazione della segnalazione;
- mettere a disposizione informazioni chiare sul canale, sulle procedure e sui presupposti per effettuare le segnalazioni interne, nonché sul canale, sulle procedure e sui presupposti per effettuare le segnalazione esterne. Le suddette informazioni sono esposte e rese facilmente visibili nei luoghi di lavoro, nonché accessibili alle persone che pur non frequentando i luoghi di lavoro intrattengono un rapporto giuridico in una delle forme di cui all'articolo 3, commi 3 o 4. Se dotati di un proprio sito internet, i soggetti del settore pubblico e del settore privato pubblicano le informazioni di cui alla presente lettera anche in una sezione dedicata del suddetto sito.
L'azienda è dunque obbligata a prendere in carico la segnalazione entro 7 giorni e dare riscontro entro 3 mesi. In caso di inadempienza si rischia una sanzione dai 10mila ai 50mila euro.
Cosa si può denunciare
Nato in ambito di anticorruzione e prevenzione del riciclaggio, questo strumento si usa per violazioni (comportamenti, atti od omissioni che ledono l'interesse pubblico o l'integrità dell'amministrazione pubblica o dell'ente privato) riguardanti norme su appalti pubblici, servizi, prodotti, sicurezza; conformità dei prodotti; sicurezza dei trasporti; tutela dell'ambiente (in questo rientrano anche norme su sviluppo sostenibile e gestione dei rifiuti, inquinamento marino, atmosferico e acustico, protezione e gestione delle acque e del suolo, protezione della natura e della biodiversità, norme su sostanze chimiche e prodotti biologici), sicurezza degli alimenti e dei mangimi, salute e benessere degli animali; salute pubblica; radioprotezione e sicurezza nucleare. L'ambito di applicazione è molto vasto e con molte eccezioni (come indicato nell'allegato del decreto) «in ogni caso la procedura prevede che si facciano delle indagini per individuare se la segnalazione è fondata, e trasferirla poi a un ufficio interno o coinvolgere le autorità di competenza che poi prendano in carico l'illecito che se è penalmente rilevante deve essere denunciato» spiegano da Anac.
In realtà questo istituto ancora non è molto chiaro e i primi mesi di attuazione – in estate è diventato obbligatorio per le aziende sopra i 250 dipendenti – lo testimoniano: «Da metà luglio al 20 novembre abbiamo ricevuto 500 segnalazioni sul nostro sito dell'Anac, di cui 316 del pubblico e 179 del privato, queste però sono per lo più esercitazioni o prove e anche in passato, quando riguardava solo il settore pubblico, è stato usato talvolta in modo illegittimo, per segnalare malfunzionamenti di attrezzature, fare delazioni o rivendicazioni sindacali» commentano dall'Anac. Non è questo l'ambito di applicazione - «Per quelle c'è lo statuto dei lavoratori», ricorda Chiriatti di Fipe - come chiaramente specificato nel testo: «Le disposizioni del presente decreto non si applicano: alle contestazioni, rivendicazioni o richieste legate a un interesse di carattere personale della persona segnalante o della persona che ha sporto una denuncia all'autorità giudiziaria o contabile che attengono esclusivamente ai propri rapporti individuali di lavoro o di impiego pubblico, ovvero inerenti a propri rapporti di lavoro o di impiego pubblico con le figure gerarchicamente sovraordinate» (art. 1. comma 2. lettera a).
Quando rivolgersi all'Anac
Oltre agli illeciti si devono segnalare anche ritorsioni subite per aver segnalato illeciti «noi di Anac ci occupiamo della tutela del whitlebower», spiegano dall'Authority Anticorruzione. «Avviamo un procedimento sanzionatorio ai danni di chi compie delle ritorsioni» e la sanzione viene pagata di tasca propria dal responsabile di atteggiamenti vessatori nei confronti di chi denuncia. Come tutte o quasi le sanzioni legate a questa direttiva. Ma ci si può rivolgere direttamente ad Anac? «Assolutamente no». Il modulo sul sito dell'Autorità dell'anticorruzione è l'ultima spiaggia nei casi in cui l'azienda non abbia un canale conforme di segnalazioni (tant'è che uno dei campi da compilare sul modulo di segnalazione riguarda proprio la presenza o meno di un canale interno) o se dopo un periodo congruo di tempo la segnalazione non ha avuto seguito (cosa che rappresenta una violazione), se il whitlebower ha fondati motivi di incorrere in ritorsioni, se la violazione può costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse.
Tutto bello, in teoria, ma anche se la piattaforma deve garantire l'anonimato ci potrebbe essere uno scoglio: «Chi gestisce le segnalazioni conosce l'identità di chi denuncia». Non solo: nelle aziende di piccole dimensioni talvolta si riesce a risalire al whitleblower – immaginiamo un reparto composto da solo due persone – per questo spesso chi vuole denunciare ricorreva al sito di Anac. Opzione, questa, non più disponibile.
Tempi e costi
Le realtà più piccole, aziende o comuni, possono unirsi e condividere il canale di segnalazione e la relativa gestione. Ma quanto costa e quanto tempo ci vuole per allestire un portale? «Dipende», dicono da Afinna One, azienda che si occupa di servizi per le telecomunicazioni e per la digitalizzazione e che ha sviluppato una sua piattaforma per le segnalazioni, Whistlebase. «Un conto sviluppare una piattaforma da zero, per cui la spesa è di qualche migliaio di euro e ci sono dei tempi tecnici più lunghi, un conto che si scelga un sas, software as a service, più economico e veloce» ovvero si acquisti un servizio attraverso un abbonamento.
«I costi sono diversi, e ogni gestore si muove in modo diverso: per qualcuno i costi sono legati al numero di dipendenti, noi preferiamo una formula flat che parte da circa 30 euro al mese, poi ci sono varie funzionalità aggiuntive, personalizzazioni e add on, ma sempre rispettando i canoni richiesti dalla direttiva. Diamo anche possibilità di fare segnalazioni vocali e di includere o escludere un gestore, perché magari la segnalazione potrebbe anche riguardare uno di loro». In ogni caso si tratta di un sito con un'interfaccia piuttosto intuitiva su cui il whistleblower fa la sua segnalazione alla quale se vuole può anche allegare dei documenti o registrarsi con le proprie generalità. Fatta la segnalazione arriva una mail di avviso ai gestori mentre il segnalante riceve un codice di 16 cifre di riconoscimento della pratica con cui poi può accedere di nuovo nella piattaforma per verificare lo stato di lavorazione della denuncia (che rimane criptata a tutti ad eccezione di chi è tenuto a gestirla). Se una persona fa più denunce, ha un codice per ognuna di esse.
Tutto chiaro? Non esattamente. Speriamo che con il tempo e l'applicazione lo diventerà.