Francesca Fiore e Sarah Malnerich. Sono loro le creatrici di Mammadimerda, prima blog, poi pagina Facebook e dal 2018 anche su Instagram. “Fin dall'inizio è stato un modo per rovesciare lo stereotipo sulla maternità”, raccontano, “nella quale si tralasciava sempre un dettaglio”. O anche più di un dettaglio, un macigno aggiungiamo noi. “Era una narrazione, specie sui social, tutta gioia e organizzazione che nascondeva la fatica, la rabbia, la sensazione di inadeguatezza o di stare sempre sulla soglia del burnout. Abbiamo voluto dissacrare un po' questa figura mitologica che è la mamma in Italia”. Il tutto condito con una buona dose di ironia e autoironia che ha conquistato più di 100mila follower, per il 96% donne che si sono riconosciute e identificate, “in molte ci scrivevano e ci scrivono tuttora di sentirsi meno sole”. Non a caso il loro primo libro, autoprodotto nel 2019, lo hanno intitolato “Non sei sola. Fenomenologia della Mammadimerda”, un compendio, una raccolta di tutti gli articoli del blog degli inizi dove dal loro esempio pratico si arriva a una filosofia universale (in programma c'è anche un secondo libro edito da Feltrinelli che uscirà nella primavera del prossimo anno). Poi il lockdown.
Mammadimerda durante il lockdown
“Durante il lockdown c'è stata un cambiamento di direzione parziale”, spiegano, “con la chiusura delle scuole siamo state inondate da messaggi di malessere e la cosa è esplosa quando hanno riaperto tutto tranne le scuole, dando per scontato che a occuparsi dei bambini sarebbero state le madri. Quel che si è verificato in seguito era facilmente prevedibile...”. Chiaramente si riferiscono ai dati impietosi di Istat che ha evidenziato come su 101mila persone che hanno perso il lavoro a dicembre 2020, la quasi totalità sono state donne. Novantanovemila donne. “Di fatto è stata una tragedia sociale, una carneficina che noi avevamo predetto facendoci cassa di risonanza della nostra community”.
L'attivismo e le campagne mediatiche
L'hanno predetto e sono pure uscite dalla rete per fare del vero e proprio attivismo. “Abbiamo avviato la campagna mediatica 'Non ci siamo' per sottolineare l'ingiustizia sociale che stavamo vivendo: la crisi è ricaduta tutta sulle spalle delle donne, senza mezzi termini, sia dal punto di vista della fatica operativa sia dal punto di vista delle rinunce professionali e personali. Nessuno, in quei mesi, si è posto il problema di cosa avremmo fatto dei bambini con le scuole chiuse. Era talmente sottinteso che con i bambini ci dovevi stare te madre, che la tua occupazione principale tutt'a un tratto era l'accudimento, non retribuita tra l'altro. E questo è un ragionamento che va anche a discapito dell'economia di un paese perché se il 52% della popolazione non ha più una retribuzione, questa fetta non produce più gettito fiscale”. È da questa ultima considerazione che è scaturita la seconda grande campagna, partita come petizione e diventata il movimento nazionale “Il Giusto Mezzo” - la versione italiana di “Half of it” - che si è battuto affinché venissero allocati in maniera equa i fondi del Recovery Fund, proponendo una serie di riforme strutturali che andavano dalla trasparenza retributiva in tutti i settori, alla proposta di un congedo di paternità obbligatorio equiparato a quello della madre, al miglioramento dei servizi sulla cura della prima infanzia.
Avete ottenuto qualcosa? “Ci aspettavamo delle riforme un po' più sostanziose e dei fondi più ingenti, ad esempio sui nidi il piano prevede che entro il 2025 un bambino su tre abbia posto al nido, bene, ma le altre due madri che fanno? Abbiamo un grosso problema, che tra l'altro ricade, come detto prima, sull'economia. La nostra economista di riferimento Azzurra Rinaldi (co-fondatrice de Il Giusto Mezzo, ndr) ha fatto uno studio a livello europeo spiegando quanto l'Europa perda ogni anno in termini economici non sanando queste disparità di genere”. Considerazioni amare che esulano dal nostro topic ma che riguardano tutti.
Il liquore di Mammadimerda
Cambiando decisamente tema, il motivo che ci ha spinto a intervistare Francesca e Sarah è il lancio del loro liquore che - chi le segue da un po' lo sa bene – fa sempre parte della loro narrazione: “Le madri, per sopravvivere, devono farsi un drink a fine giornata, è la nostra scappatoia serale. Poi è una maniera per confutare quella tesi per cui se sei mamma dismetti quello che eri prima, non ti piace più uscire, non ti piace più farti un aperitivo per i fatti tuoi”. Di più: se, invece, ti va e lo dici pure, sei decisamente una Mammadimerda. “È la vera rivendicazione della Mammadimerda, adesso abbiamo pure il nostro drink, tiè!”.
La genesi del liquore
“All'inizio pensavamo di fare una monodose, a mo' di cocktail ready to drink, ma siamo pur sempre donne che solitamente fanno la spesa e che l'economia domestica ce l'abbiamo nel sangue – chiaramente scherzano – quindi abbiamo pensato a una soluzione più pratica con una base, da allungare eventualmente con la tonica, in due formati, da 10 cl o da mezzo litro in una latta da collezione (a un costo di 30 euro)”. Per concretizzare il progetto si sono rivolte all'Antica Distilleria Quaglia, piemontese come loro.“Quando abbiamo raccontato la nostra idea a Carlo Quaglia, considerando pure il nostro motto (Non farcela, ndr), pensava stessimo scherzando”. Invece erano determinatissime.“Insieme abbiamo trovato la ricetta perfetta: vodka e zenzero per richiamare uno dei nostri cocktail preferiti, il Moscow Mule, e camomilla per calmare la mamma. La cosa ci faceva molto ridere”.
Come è fatto Vodzilla
Tutti ingredienti del territorio o al massimo italiani, dal grano tenero usato per la vodka, allo zenzero lavorato fresco e spremuto, fino alla camomilla: “Le parti aromatiche vengono distillate da erbe che raccolgono in natura, che coltivano loro o che comprano da piccoli produttori locali. A questi tre ingredienti, poi, ci abbiamo aggiunto la scorza di bergamotto dalla Calabria, che dà un twist molto caratteristico”. Il liquore si chiama Vodzilla – da vodka, zenzero e camomilla – è rosa (pure il colorante utilizzato è naturale) e il logo, ideato dalla bravissima Giuditta Matteucci, non poteva che essere una dinosaura rosa: “Un po' perché richiama Godzilla, un po' perché è esistita veramente una dinosaura che condivideva l'accudimento delle uova con il maschio (la maiasaura), un po' perché ci sentiamo una specie di mostra, mezza madre e mezza merda”. Come si fa a non amarle?