Siamo a Settimo Vittone, 60 km da Torino, 4,4 da Carema, primo comune della Vallée. Qui l’azienda Figliej, nell’omonima strada (e il toponimo curioso indica probabilmente una zona ricca di piante di fico) è attiva da sette generazioni. Poi l’abbandono, finché nel 2016 Riccardo Prola, un lavoro tecnico in una ditta vicina, e Bianca Seardo, all’epoca ricercatrice sui temi del paesaggio al Politecnico di Torino, eporediese di nascita, si incontrano e decidono di far rinascere l’azienda, da sempre proprietà della famiglia di lui. È nata così un’avventura di “viticoltura contadina di montagna” che sarebbe riduttivo considerare una produzione di vino tout-court. Si è trattato infatti di recuperare uno ad uno i vigneti di famiglia, acquisire terreni in via di abbandono, ricreare con eroica dedizione i terrazzamenti rinselvatichiti, in un lavoro tutto manuale, paziente, umile e incessante. Perché qui la vigna si è sempre coltivata così, su terrazzamenti e pergolati, con file di piloni di pietra e travi di legno di sostegno per le viti.
Non solo vigneti, da Figliej
Il progetto infatti è quello di creare un’azienda che si prenda cura del paesaggio tradizionale, in cui i vigneti sono una parte integrante, ma non l’unica. Riccardo e Bianca curano anche peschi, meli, i castagni, anche ulivi (e forse in futuro si farà anche olio), i fagiolini e le piccole verdure che crescevano normalmente nei terrazzamenti, il grande prato verde, gli scampoli d’erba sotto le pergole tenuti perfetti anche con l’aiuto naturale di un piccolo gregge di pecore dei Pirenei. E salvare così dalla scomparsa quel paesaggio di vigneti terrazzati a pergola, unico al mondo, di questo scampolo di Piemonte. “Sarebbe stato più facile - spiegano – eliminare tutto e impiantare nuovi vigneti, in cui si potesse passare con le macchine, ma si sarebbe persa la bellezza del paesaggio e la storia dei nostri terrazzamenti. L’abbiamo battezzata “azienda- paesaggio”, un bene comune da salvare. E siamo convinti che fare vino sui nostri versanti montani voglia dire rispettare la tradizione e la saggezza di chi da generazioni è vissuto qui: la montagna insegna, a chi la sa ascoltare, le scelte più idonee per i vigneti, l'uso dei materiali più economici e riciclabili, le forme di coltivazione della vite più adatte, anche alla prova dei cambiamenti climatici”. La coltivazione promiscua con altre colture, oltre ad essere un valore culturale, è fonte di reddito, equilibrio ecologico e bellezza. “Per questo, i nostri vigneti sono solo su terrazzamenti e le nostre viti allevate solo a pergola canavesana. E la manteniamo anche nei nuovi impianti”.
L’azienda Figliej è uno dei custodi delle orchidee spontanee
Arrivare qui, in questo anfiteatro naturale di roccia e vigneti modellato dal paziente lavoro dell’uomo (e soprattutto delle donne) è una scoperta che emoziona. Terrazzamenti, muri a secco, camminamenti, canalizzazioni delle acque, antiche scale di pietra (finite anche nel nuovo logo della rinata azienda), sono gli elementi fissi, le montagne alle spalle e la Dora Baltea proprio difronte. Qui passa anche la Via Francigena e c’è l’idea di creare un percorso a mezzacosta che arrivi fino all’ultimo vigneto acquisito, verso Borgofranco d’Ivrea. Riccardo ha pazientemente risistemato tutti i sostegni delle pergole, legandoli con il salice, come una volta, Bianca, che fa parte delle “magistre” che vanno alla ricerca di erbe spontanee, controlla l’ajucca, il timo, il tarassaco e le orchidee selvatiche: da quest’anno l’azienda è uno dei “custodi delle orchidee spontanee della rete europea”. Un sistema integrato di vito-agricoltura contadina dove la vigna è la protagonista e le uve certificate biologiche.
Il loro primo vino
Quest’anno uscirà il primo vino prodotto da Figliej, secondo il principio della minima enologia: lunghe macerazioni su lieviti, fermentazioni spontanee e follature a mano. I suoli dell’azienda sono molto diversi a seconda che i vigneti siano addossati ai versanti rocciosi della conca, vocati al nebbiolo, o su terrazzamenti più dolci, ideali anche per l’ Erbaluce. Oltre al nebbiolo picotener, la stessa varietà che ha reso celebre Carema, si coltivano una ventina di vitigni tradizionali della zona, fra cui neretto, barbera, vernassa dal picul rus, croatina, tipici del vigneto contadino, che è l’esatto l’opposto del vigneto intensivo monovarietale. E sono viti antiche, anche cento anni di età e varietà perdute, fra cui una "sconosciuta" oggi studiata e conservata presso la collezione di Grinzane Cavour per i vitigni autoctoni minori del CNR.
Nascono così vini di territorio, 4 in tutto
Toppia (toppia è la pergola in piemontese) e Darecà (letteralmente: dietro casa, la vigna più vicina), nebbioli in purezza, Perserverance, nome beneaugurale per l’erbaluce in purezza, e il Chèmp, nome antico per indicare il vigneto contadino plurivarietale, e un vino fatto con le tante uve della tradizione: il “vino del contadino” insomma, che oggi sta suscitando un nuovo interesse. Bianca e Riccardo hanno creato anche un centro studi e ricerche per promuovere azioni territoriali. Ovvero, raccogliere saperi sulla viticoltura contadina di montagna perché non vadano perduti e diventino strumento per l’agricoltura di domani, svolgere attività di formazione e ricerche sul paesaggio coltivato contemporaneo. Tutto per promuovere la viticoltura contadina, i suoi valori e i suoi paesaggi rurali.
Oggi si viene a Settimo Vittone per acquistare direttamente in azienda il vino, per fare un giro per i terrazzamenti. E per scoprire, ultimo atto di un viaggio nel tempo, il piccolo tesoro di Figliej: la cantina storica con uno straordinario torchio da vino del ‘700, un vero pezzo da museo. Qui, nella cantina antica, Riccardo e Bianca hanno voluto una frase di Adriano Olivetti che è perfetta per la loro filosofia: “Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande”.
Figliej - Settimo Vittone (TO) - via Figliei, 11 – 348/8869770 – 347/8373778 - www.facebook.com/Figliejvino
a cura di Rosalba Graglia