Il futuro dei grandi vini rossi è in mano all'ovest del mondo e ai grandi sommelier. Il nuovo consumatore europeo vuole vini più esili, leggeri, freschi. Vini contemporanei, li chiama Gabriele Gorelli – primo Master of Wine italiano – in antitesi ai parkeriani. Gli dà anche un anno di nascita: il 2015, momento in cui individua il giro di boa che ha fatto salutare estrazioni estreme, legni invadenti e tagli bordolesi. Le cose si erano mosse anche prima, ma è in quell'anno che la tendenza sparuta è diventata una realtà consolidata, affiancata da un cambiamento su diversi fronti: climatico, di consumi e generazionale. Il mondo dei vini da boomer – la definizione è ancora sua – ha lasciato il passo a quello dei vini della Gen X. E poco importa se poi i maggiori consumatori di vini sono proprio boomer e Gen X. Il 2015, che ha consegnato un'annata generosa per quantità e qualità, è stata un turning point che ha lasciato alle spalle i vini di cantina per aprire le porte ai vini di vigna, incontrando anche le richieste di un pubblico stufo di questa onnipotenza enologica. Il cambiamento è stato repentino e a doppio senso: là dove i produttori imboccavano una nuova strada, trovavano ad aspettarli (o a seguirli, secondo i casi) i consumatori, desiderosi di nuovi vini. Vini di territorio, autentici, essenziali, spesso monovitigno. Vini che si sono a volte definiti per contrapposizione, ma che nella piccola Italia trovano terreno fertile e riescono a dare voce alla caratteristica varietà ampelografica nostrana, ricca di varietà autoctone e produzioni tradizionali. Quelle che negli ultimi 10 anni sono state riscoperte, valorizzate, prodotte con spirito nuovo, più contemporaneo, nel senso di cui parlavamo sopra.
La conseguenza è stata l'avanzata del bere bianco, tutto l'anno e a tutto pasto, e la preferenza per rossi più esili e semplici, in un territorio anche da grandi rossi. «Vediamo numeri spesso preoccupanti», ha detto Gabriele Gorelli nell'incontro Vino al bivio: Cambio di consumi e di trend durante Festa a Vico; «qualche tempo fa un importatore tedesco ha detto che nei prossimi anni il 70% di vini importanti sarà bianco, sarà eroso il 20% di quota mercato dei rossi». Una prospettiva cupa, in cui però non manca qualche spunto di speranza: «I vini italiani stanno crescendo in Cina, i dati della dogana nei primi 4 mesi dell'anno ci dicono che stanno crescendo anche in valore ed è una cosa che non succedeva da tempo». L'andamento positivo però riguarda ancora una volta i bianchi. Possibile che non esista un futuro per i grandi vini rossi? «I vini più strutturati hanno un mercato che noi forse abbiamo trascurato: quello dell'America del Sud, dove il vino rosso piace anche ai giovani, fa status ed è molto presente nonostante il clima. E poi – continua – sono paesi che sentiamo più vicini, con i quali non ci sono alte barriere culturali. Non è che negli ultimi anni siamo andati troppo a est invece di andare a ovest?». Lo dice come provocazione, ma non troppo. Perché la realtà è fatta anche da mercato da ricostruire, nelle grandi vendite come nelle piccole, di bicchiere in bicchiere, all'interno di un contesto che vede diminuire i consumi di vino tra i più giovani, affascinati da altre bevute, mentre soffiano venti di neo proibizionismo in Europa.
Cantine e ristoranti
Lo ha spiegato bene Gianni Piezzo, sommelier de La Torre del Saracino da Gennaro Esposito, organizzatore dell'evento benefico che da 21 anni anima Vico Equense: «I consumi di vino si sono contratti: si beve meno, forse si beve più di qualità, i giovani scelgono soprattutto cocktail e vini leggeri e immediati». E se pure questo è l'andamento di mercato, i grandi ristoranti hanno un patrimonio enologico da gestire: «Oggi trovo difficoltà a vendere vini di grande struttura», quei monumenti enologici che devono essere in carta in un grande ristorante e che comportano un investimento economico rilevante, lo stesso che implica stappare le bottiglie al momento giusto senza cedere alla tentazione di una vendita frettolosa, ma conservandole anno dopo anno, con grandi capitali fermi in magazzino. Ma se poi si faticano a vendere è un problema. «I vini più opulenti non si usano più a tutto pasto, li abbiniamo ai piatti più complessi». Il pairing è la via per movimentare la cantina e rilanciare il consumo di vino in una realtà radicalmente cambiata rispetto a una decina di anni fa, e in cui è sempre più importante intercettare i nuovi gusti dei clienti. «Si è allargata la proposta di abbinamenti: non solo vino, ma anche cocktail e proposte analcoliche».
L'abbinamento giusto e il ruolo del sommelier
«L'abbinamento giusto è una magia che succede poche volte e che può aiutare a gestire i problemi di consumo del vino» commenta il padrone di casa Gennaro Esposito, che aggiunge: «Nei ristoranti si assiste spesso a spiegazioni sul vino e molto poco sull'abbinamento». Una prova che mette in gioco la personalità del sommelier e del ristorante, per questo non esiste il pairing perfetto in assoluto: «L'abbinamento è un'esperienza, uno stile, un ethos legato al locale – commenta Gorelli - con cui si può sentire qualcosa in più rispetto a quel che c'è nel calice». E non si parla solo di percezioni organolettiche, ma anche di quel portato culturale, storico, ambientale che il territorio consegna al vino e che il sommelier deve trasmettere: «Il vino non è solo acqua e alcol ma ha un valore culturale, che è la risposta alla campagna di aggressione europea nei confronti del vino – dice Tommaso Luogo, di Ais Campania - Dal mio osservatorio posso dire che la Campania è una regione in cui si intreccia una filiera che include archeologia, paesaggio, vitigni, valore umano, con il riflesso del paesaggio nel vino, il lavoro dell'uomo con i terrazzamenti: camminiamo su patrimoni incredibili, che il sommelier si deve fare carico di trasmettere tutto questo, per questo dico che quella del sommelier è una figura ancora sottovalutata». Il modo però deve essere leggero, immediato: «i tecnicismi lasciamoli alle scuole - dice Lorenzo Mancusi, sommelier e general manager Drink Kong Bar di Roma - meglio più semplicità nella descrizione, serve un po’ di ritorno all’essenziale per connetterci con i giovani, che cercano non tanto virtuosismi ma un approccio più spensierato. Il vino è la schiettezza che si può descrivere in modo deduttivo e semplice». E se per farlo occorre prendere a modello un altro vino, va bene: «Dichiarare uno stile e prendere a riferimento un certo vino per spiegarne un altro è una forma di comunicazione inclusiva – aggiunge Gorelli – perché il primo obiettivo è arrivare al consumatore».