La Bibbia menziona una sorgente nel Giardino dell’Eden che si divide in quattro fiumi principali, tra cui il Tigri e l’Eufrate. Siccome sia il Tigri che l’Eufrate hanno entrambi le loro sorgenti nell’area circostante il monte Ararat, nell’Armenia storica, diversi studiosi della Bibbia e cartografi (come Emmanuel Bowen nella sua Map of the Terrestrial Paradise del 1780) hanno collocato il Paradiso in Armenia. La natura particolarmente fertile del suo territorio se da un lato è stata la sua benedizione, dall’altro è stata la sua condanna: causa di una storia travagliata che continua fino ai giorni nostri. Nonostante le difficoltà, però, il popolo armeno è riuscito a preservare la propria identità culturale e religiosa.
Armenia, food tour al Gum Market
La sua posizione geografica, tra le montagne del Caucaso e le pianure dell’Anatolia, ha plasmato un territorio variegato e ricco di contrasti, dove si alternano vette innevate, profonde gole, laghi cristallini e fertili vallate. Anche la fauna armena è ricca e diversificata, con specie endemiche come la capra bezoar e il muflone del Caucaso. Con oltre 400 vitigni autoctoni, frutto di mutazioni naturali e incroci, l’Armenia vanta un’agricoltura e un patrimonio verde davvero unico. In particolare sul vino sta andando avanti una vera e propria rinascita dell'identità enologica del Paese. Per toccare con mano la generosità di questa terra e l’operosità delle sue genti è sufficiente visitare uno dei suoi mercati, come quello di Gyumri, seconda città dell’Armenia, vicina al confine con la Georgia, o ancor meglio il Gum Market della capitale Yerevan, ovvero i Mercati Centrali Universali.
Frutta secca e formaggi in salamoia o in orci di terracotta
La varietà di frutta secca e il modo particolare di proporla è davvero unica: si spazia dalle pesche essiccate, farcite con noci, cannella, cardamomo e zucchero (alani), alle sfoglie di gelatina di frutta (kislyy lavash), passando per le “candele” di noci al mosto d’uva (sujukh) assai simili alla churchkhela georgiana. Dal dolce al salato, impossibile non passare in rassegna l’incredibile varietà multicolore di ortaggi fermentati (tourshou), eredi della tradizione persiana esposti in bellavista. E poi ci sono i formaggi, incredibili: sono parte integrante e immancabile della tavola armena. Il più particolare è lo Yeghegnadzor da latte vaccino o di capra pastorizzato e mescolato con erbe locali con il suo sapore forte e pungente, simile a certi erborinati e una consistenza sfilacciata: viene conservato in anfore di terracotta, quindi seppellito in montagna e lasciato stagionare per almeno 6 mesi.
Il Chanakh è invece un formaggio vaccino in salamoia conservato in orci di terracotta: ha una consistenza morbida e un sapore salato robusto. Anche il Chechil è fatto con latte vaccino pastorizzato: sapido e gommoso, ha un sapore affumicato. La sua consistenza è soda e la pasta liscia per cui può essere tirato in corde sottili dal casaro e per questo è anche chiamato String cheese. Nei bar russi è molto popolare come abbinamento alla birra. Da non tralasciare il basturma, una sorta di soppressata di bresaola di manzo, ricoperta di un mix di spezie (cemen), molto gustosa.

La preparazione del pane Lavash
L'ancestrale pane armeno lavash, patrimonio Unesco
C’è un pane, il lavash, che è stato inserito dieci anni fa nella lista del Patrimonio culturale immateriale dell’umanità Unesco: sottile e antichissimo, rappresenta un elemento fondamentale dell’identità e della cucina armena. La sua preparazione è solitamente opera delle donne e richiede grande impegno, esperienza e notevole abilità. La sua lavorazione ha anche un obiettivo sociale: rafforza i legami familiari, comunitari e sociali. Le donne giovani assistono le più anziane (ed esperte) e si appropriano dell’arte dell’impasto. Lavoro da uomini, invece, è la fabbricazione dei cuscini e la costruzione dei forni entrambi elementi indispensabili per la produzione di questo pane: l’impasto di acqua e farina viene lavorata in palline poi arrotolate in strati sottili e stese sullo speciale cuscino ovale; dopodiché con un colpo secco viene fatto aderire contro la parete del tradizionale forno circolare interrato (tonir) in pietra o argilla. Trenta secondi e il pane è pronto per essere servito, disteso o arrotolato attorno a formaggi locali, verdure o carni e può essere conservato fino a sei mesi. Il lavash svolge un ruolo rituale nei matrimoni, quando viene posto sulle spalle degli sposi novelli per portare fertilità e prosperità.
Radici e contaminazioni della cucina armena
Come dimostrano già pane e formaggi, tutta la cucina armena nasce da un inedito mix di antiche tradizioni e influenze moderne: una tradizione stratificata e plasmata dalla storia travagliata del Paese. L’Impero persiano, che ha dominato l’Armenia per secoli, ha lasciato tracce significative nell’uso gentile e mai aggressivo di spezie preziose come lo zafferano, la cannella e il cardamomo, così come un’importante tradizione di carni alla griglia kabab, qui ribattezzate khorovats. Durante l’era bizantina, la cucina armena è stata contaminata dalle tradizioni culinarie greche e romane. Sotto l’Impero Ottomano, poi, l’Armenia ha scoperto nuovi ingredienti come il basturma, i dolci paklava e piatti come le verdure ripiene (dolma) e il riso pilaf. In epoca più recente, invece, con l’Impero Russo e fino agli anni dell’Unione Sovietica il Paese ha conosciuto l’ebbrezza legata alla Vodka e il piacere delle insalate (olivier, vinegret) e delle zuppe. E poi, ultima ma non ultima, c’è la cucina siro-armena che rappresenta un mix inedito di tradizioni plasmate da secoli di resilienza e adattamento e le cui radici risalgono alle abitudini acquisite dagli armeni emigrati in Siria tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo: nascono qui alcuni dei più gustosi e diffusi appetizer (meza) come il tabbuli. Tutto questo spessore conferisce alla cucina armena una sua propria identità ben distinta dalle tradizioni turche o greche cui spesso (erroneamente) si accosta.

Chef Yurik Sargsyan
Yurik Sargsyan, uno chef a caccia di radici
Fa parte di questo manipolo di chef Yurik Sargsyan, impegnato da anni in un lavoro di ricerca storica sulle radici della cucina armena. Nel suo ristorante e guesthouse di Tsaghkunk, un villaggio di circa mille abitanti nella regione dello Gegharkunik a ridosso del lago Sevan, insieme alla moglie Ani serve un menu basato su ingredienti di stagione e di primissima qualità selezionati da contadini, allevatori e pescatori a lui vicini. «Senza di loro, la mia cucina non potrebbe esistere!», esclama. E ne va orgoglioso. Dai taglieri di formaggi (Yeghegnadzor, Chanakh, Chechil) alle insalate di trote del lago Sevan, con le loro uova, passando per le “fettuccine” arishta saltate con broccoli e funghi, qui gli ingredienti della tradizione armena trovano una dimensione moderna.
Arte e cucina ai tavoli di Abovyan 12
Cucina, a Yerevan, fa rima anche con arte: situato nel cuore della capitale, nella via dalla quale prende il suo nome, il ristorante Abovyan 12 fa parte infatti del complesso della Dalan Art Gallery che – fondata nel 2011 – presenta le opere di 26 artisti contemporanei armeni dell’era post-sovietica. L’arredamento del ristorante riproduce gli interni di una casa tradizionale, creando l’atmosfera calda di un’Armenia che guarda ai tempi passati. Il menu presenta i grandi classici della cucina armena, realizzati in modo fedele e con ottimi prodotti: Khashlama, uno stufato saporito di carne e verdure cotto in una pentola di terracotta, Tolma, involtini di foglie di vite ripieni di riso e spezie, Bozbash, zuppa densa di agnello e verdure, Khinkali, un piatto nazionale di ravioli ripieni di carne, serviti con brodo e burro fuso.
Rafik Sinanyan e Vahan Arakelyan: i Soviet menu
In un ambiente che riproduce gli interni di un raffinato ristorante dell’era sovietica degli anni ’70-’80, il giovane e bravo chef Rafik Sinanyan ha creato un menu davvero esuberante oggi decisamente più “libero” dagli stereotipi soviet. Dopo una lunga ricerca lo chef ha infati recuperato e modernizzato i piatti più iconici della cucina di quel periodo. S’inizia con gli appetizers (zakuska) dal caviar di melanzane a quello di storione, per passare al Soviet Salad Set (Stolichniv, Canozak, Beetroot salad), servito con pane di segale Borodinsky. Si prosegue con i ravioli Vareniki con patate e funghi o con i Pelmeni siberiani all’angus, per passare alle zuppe Borsch o Solyanka… e alle specialità alla brace tra spiedi Šašlyk, Khorovats e Kebab.
È nato invece in una famiglia di cuochi Vahan Arakelyan: fin da bambino ha visitato con il padre i migliori ristoranti armeni in epoca sovietica; trasferitosi a Mosca, ha lavorato come sous chef al fianco di grandi cuochi moscoviti, greci e italiani. Nel 2015 è tornato in patria per proseguire la sua ricerca sulle ricette tradizionali armene, pubblicando il volume “Yooo Cook”, la prima enciclopedia dei piatti armeni. Oggi gestisce Su Chef Gourmet Boutique, importando in Armenia quasi tutto per il segmento HoReCa dall’Italia e da diversi paesi del mondo.
ArArAt Brandy: il preferito da Churchill
Dalla cucina al vino. Risale ai tempi degli zar la storia del brandy Ararat. Nel 1887 nasce infatti la Yerevan Brandy Factory, fondata dall’enologo e distillatore Nerses Tairyan. Con la rivoluzione russa, l’azienda venne nazionalizzata e diventò uno dei fiori all’occhiello dell’industria sovietica; il liquore era il più apprezzato dai leader sovietici, dopo la Vodka. Con l’indipendenza dell’Armenia, la società è stata privatizzata e il suo marchio ha puntato al monte-icona dell’Armenia, l’Ararat, di cui riprende come in un acronimo il nome ArArAt. A costruire il mito della sua alta qualità, tra i vari aneddoti ce n’è uno che ha per protagonista uno dei maggiori “nemici” dell’Urss sovietica, il primo ministro Winston Churchill: quando Stalin a Yalta gliene offrì un bicchiere, l’inglese ne rimase folgorato tanto che – finita (e vinta) la guerra, ogni anno 400 bottiglie di brandy sovietico cominciarono ad espatriare verso il 10 di Downing street. Oggi il distillato – che era anche il preferito di Agatha Christie e Frank Sinatra – è un marchio di proprietà del gigante francese Pernod Ricard e viene declinato in svariate edizioni, ciascuna con le proprie caratteristiche e sfumature di sapore (e di prezzo: dai 40 euro ai 3.500 dell’ArArAt Erebuni, invecchiato 70 anni).
Il vino delle origini e 400 vitigni autoctoni
Non ci sarebbe brandy, però, senza vino. E la tradizione vinicola dell’Armenia è millenaria, tanto da essere considerata la vera e propria culla della viticoltura. Le viti che crescono in questo terroir – caratterizzato da suoli vulcanici ricchi di minerali, da un clima continentale con estati calde e inverni rigidi e con altitudini elevate – sono spesso coltivate su terrazzamenti che garantiscono un’esposizione ottimale: tutti fattori che garantiscono una notevole concentrazione aromatica. Una simile tradizione non poteva non dar vita a un immenso “catalogo” di uve: sono circa 400 i vitigni autoctoni, alcuni coltivati da millenni. È così radicata e variegata, qui, la tradizione vinicola, che in cantina si è andati ben oltre l’uva, tanto che una delle curiosità e bontà di questa terra è il vino al o di melagrana, frutto profondamente radicato nella cultura e nella mitologia armena e utilizzato per secoli sia in cucina che in medicina.
Il vino armeno oggi: cantine, anfore e sostenibilità
Testimonianza del ricco patrimonio vinicolo del paese è la cantina Voskevaz. Fondata nel 1932 nella pittoresca regione di Aragatsotn nota per i suoi suoi diversi microclimi e terreni vulcanici, la cantina produce vini di alta qualità da quasi un secolo. Utilizzando tecniche di vinificazione tradizionali, come la fermentazione in anfore di argilla (karasi), combinate con tecnologie moderne, punta a creare vini autentici e innovativi a partire dalle varietà di uva autoctone Areni Noir, Voskehat e Karmrahyut: tanto che Voskevaz ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti sia a livello nazionale che internazionale. Qui vale la pena programmare una sosta per visitare le cantine secolari all’interno di un particolare complesso architettonico che riproduce le fattezze di un castello immaginario.
Armenia Wine Company è invece un esempio virtuoso del movimento di rinascita della vinificazione armena. Fondata nel 2008, unisce tradizioni secolari a moderne tecniche di vinificazione, pratiche sostenibili in vigna e in cantina che puntano a ridurre al minimo l’impatto ambientale nella produzione di etichette di alta qualità. Anche questa cantina ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti per i suoi vini, sia a livello nazionale che internazionale ed è rinomata il suo rosso Areni, corposo con ricchi sapori di frutta scura e spezie, per il suo Voskehat, bianco fresco e rinfrescante con note agrumate e floreali e per il Takar Rosé: un vino rosato delicato ed elegante con una bella, fresca acidità. Oltre all’enoteca, dove degustare una gamma notevole di produzioni, merita una visita lo splendido Museo interattivo e molto scenografico, allestito con oggetti e reperti di grande valore storico-culturale.