Il segreto? Le nuove leve che, accanto ai nomi storici della denominazione, adesso hanno voglia di entrare nella serie A del vino italiano. Nel numero di luglio del Gambero Rosso siamo andati nella terra del Verdicchio dei Castelli di Jesi per capire cosa sta avvenendo. Qui un assaggio.
I Castelli di Jesi e il ritorno alla terra dei giovani
Da queste parti il vino si fa da sempre, ma quella che stiamo per raccontare è una storia piuttosto recente. Una storia fatta di nonni e nipoti, di padri e figli o semplicemente di giovani appassionati, che hanno girato il mondo per poi tornare alle loro radici, pronti a riscrivere quella storia o, almeno ad entrarci dentro da protagonisti.
Siamo all'interno del perimetro dei Castelli di Jesi, la terra dell'omonimo Verdicchio. Ed è qui, al cospetto di questo “rosso vestito di bianco” (titolo onorifico, che si è conquistato sul campo, grazie alla sua longevità) che, nell'ultimo decennio, il ritorno alla terra è stato massiccio, premiato dai tanti riscontri positivi che vengono sia dall'Italia sia dall'estero.
A favorirne il posizionamento verso l'alto sono state anche e soprattutto quelle scelte – in passato considerate controcorrente – che oggi sono, invece, premiate dal mercato: la determinazione nel puntare sugli autoctoni (i Castelli di Jesi non hanno mai ceduto al canto delle sirene esterofile) e la scommessa sul biologico. E, poi, ci sono loro: gli artefici del cambiamento, l'anello di congiunzione tra il passato e il futuro della denominazione, i Verdicchio Boys, come qualcuno ha iniziato a chiamarli.
La storia di Leopardo Felici della cantina Andrea Felici
“Vi ricordate i Barolo Boys? Ecco la nostra rivoluzione è già iniziata”, ci dice senza esitazione Leopardo Felici che conduce, insieme al padre e alla compagna Ilaria, la cantina Andrea Felici. Grazie alla sua determinazione quella che era una realtà di viticoltori è diventata, nell'arco di 15 anni, una delle cantine più in vista nel panorama dei Castelli di Jesi (Tre Bicchieri per il Cantico della Figura Riserva 2015 in Vini d'Italia 2019). “Se prima qua erano solo pochi grandi nomi – continua – ora siamo in tanti, anche piccoli, con tanta voglia di fare. I rapporti sono diventati sempre più collaborativi, ci si incontra, si discute. Anche grazie al maxi consorzio Imt (l'Istituto Marchigiano di Tutela Vini, ndr) che fa un po' da collante”.
L'esperienza all'estero prima di tornare nelle Marche
La sua cantina si trova ad Apiro. La sua storia, invece, lo ha portato per anni fuori dalle sue Marche: “Mio padre mi aveva detto che prima di lavorare in azienda avrei dovuto conoscere profondamente il vino. Così a 22 anni andai a lavorare nella ristorazione: a Londra al Savoy Hotel e a Firenze all'Enoteca Pinchiorri. Due esperienze che mi hanno segnato e insegnato molte delle cose che oggi so sul vino. Anche la mia idea di Verdicchio è maturata in quegli anni, sebbene, allora, di bottiglie marchigiane a Londra ce ne fossero ben poche”. Oggi, invece, non è così strano trovarle visto che praticamente metà del prodotto prende la via dell'estero.
Verdicchio dei Castelli di Jesi senza legno e biologico
“Nel 2006 – continua Felici – tornai in azienda con le idee chiare. A quel punto sapevo quale vino volevo fare. Prima di tutto, solo Verdicchio: era arrivato il tempo di crederci, senza farci distrarre dalla facile presa dei vitigni internazionali. Poi, un vino senza legno: la mineralità viene dal territorio e il legno potrebbe coprirla. Per questo motivo il nostro vino fa solo cemento. Infine, un vino biologico (anche se la cantina non ha ancora richiesto la certificazione, ndr), tanto che oggi abbiamo anche un'oasi naturale: c'è un laghetto che crea l'ecosistema e il bosco che fa da anfiteatro”. E questa è ormai l'oasi di felicità di Leopardo, sebbene dalla sua esperienza all'estero abbia imparato come aprirsi al mondo sia fondamentale in questo lavoro: motivo per cui, oggi, passa cinque mesi l'anno in giro per il mondo a promuovere i suoi vini. Il resto del tempo in vigna. Un po' come tutti gli altri Verdicchio Boys.
Nel numero di luglio del Gambero Rosso trovate tutte le testimonianze dei Verdicchio Boys.
a cura di Loredana Sottile
QUESTO È NULLA...
Nel numero di luglio del Gambero Rosso, in questi giorni in edicola, trovate il racconto completo con le testimonianze di: Roberto Cantori della Fattoria Nannì, Alessandro Fenino e Silvia Loschi di Pievalta, Riccardo Baldi de La Staffa e Giacomo Mattioli enologo di Umani Ronchi. Un servizio di 11 pagine che dimostra come il Verdicchio dei Castelli di Jesi, oggi, sia una realtà corale con grandi nomi – nel servizio trovate le testimonianze di Michele Bernetti (titolare di Umani Ronchi), Ampelio Bucci (titolare di Villa Bucci) e Doriano Marchetti (presidente di Moncaro) - e nuovi produttori che lavorano fianco a fianco per valorizzare il loro vino e il loro territorio. Non solo, trovate anche i Tre Bicchieri della guida Vini d'Italia 2019 e i piatti pensati da Andrea Tantucci della trattoria Gallo Rosso di Filottrano, perfetti da abbinare al Verdicchio.
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