Il Consiglio di Stato pone fine alla disputa tra Veneto e Trentino sulla presunta confusione tra "Igt delle Venezie" e "Doc Venezia". Dando ragione ai veneti e consentendo loro di continuare a produrre vini a marchio "Venezia".
I giudici hanno confermato la sentenza del Tar del Lazio a cui la Provincia di Trento (assieme a Cavit, poi defilatasi) si era rivolta nel febbraio 2011 dopo che Mipaaf e Regione Veneto avevano approvato la nascita della Doc Venezia (che comprende 140 Comuni tra Treviso e Venezia, con circa 80 aziende). I trentini, in sostanza, lamentavano una confusione commerciale tra l'Igt delle Venezie (sotto cui ricade soprattutto il Pinot grigio) e la neonata Doc Venezia. Per il Consiglio di Stato il problema non si pone in quanto tra le due c'è "sufficiente differenziazione" sul piano "fonetico e lessicale". Inoltre, è corretta per i giudici l'estensione della Doc a diversi comuni trevigiani, visto che il confine della denominazione non coincide con il mero limite amministrativo.
Soddisfazione è stata espressa dal Consorzio vini Venezia: "Ce lo aspettavamo visti i precedenti pronunciamenti", dice a Tre Bicchieri il direttore Carlo Fàvero. "Piuttosto" aggiunge "una volta chiusa questa pagina spero si riesca a ragionare tutti assieme all'idea di un marchio unico per il Pinot Grigio, non più sotto l'Igt ma sotto un'unica Doc. Penso che così si possa dare un contributo a risollevare le sorti di questo vino, oggi in sofferenza".
La proposta è riunire sotto una Doc (ma senza creare un nuovo Consorzio) che, sul modello del Prosecco, coinvolga le maggiori aree produttive: Veneto, Friuli, Trentino. "In questo modo" rileva Fàvero "il Pinot grigio potrebbe diventare un vino meglio certificato, gestito in maniera unitaria, con un piano di promozione unico, un potenziale produttivo di 150-200 milioni di bottiglie, in grado di confrontarsi con i Pinot di Australia, Usa e Nuova Zelanda. Sono questi i nostri veri competitor. Molto, però, dipenderà dalla nostra capacità di rinunciare ai soliti nostri campanilismi".
a cura di Gianluca Atzeni