I vegani in Italia
Cinque anni di crescita lenta, ma costante, che agli onnivori ortodossi ha fatto temere il peggio. Perché la causa vegana ha dalla sua ben più che una semplice preferenza alimentare, ed è invece emblema di una scelta di vita cruelty free che si traduce in una filosofia gastronomica intransigente verso ogni prodotto animale o derivato. Una dieta rigida, che oggi può contare anche su un buon numero di surrogati (ha fatto discutere, negli ultimi mesi, l’hamburger di carne sintetica perfezionato in laboratorio) e molteplici suggerimenti e consigli per l’uso per non rischiare la ghettizzazione a tavola (o, peggio ancora, l’emarginazione sociale). Eppure, lo dice l’ultima indagine Eurispes (il Rapporto Italia 2018), nel 2017 il numero dei vegani in Italia è calato sensibilmente, interrompendo l’ascesa degli ultimi anni: solo lo 0,9%, oggi, rappresenta la categoria che consuma solo alimenti di origine vegetale, circa un terzo della quota registrata nel 2016. In tutto, dunque, i vegani convinti sarebbero qualche centinaio di migliaia di persone in tutta la Penisola, mentre i più moderati – quelli che fino all’anno scorso avevano rinunciato non solo alla carne, ma pure a latte e formaggi, miele e uova – potrebbero aver abbracciato un regime alimentare meno restrittivo, passando alla causa vegetariana, che non a caso viene segnalata in leggero aumento, di poco superiore al 6% sul totale della popolazione nazionale.
La scelta veg
Volendo scendere nel dettaglio, la grande famiglia dei vegetariani continua a ospitare pure chi opera scelte ancor più radicali e insolite, come i crudisti, i fruttariani e i cosiddetti raccoglitori, che mangiano solo ciò che cade dagli alberi, ma in piccolissime percentuali. Per il numero complessivo di vegetariani, nella fattispecie, c’è chi parla, dati alla mano, di un boom senza precedenti, dal 4,6 al 6,2% nell’ultimo anno. Diverse le motivazioni alla base della scelta: per la maggior parte dei vegetariani si tratterebbe di una decisione volta a migliorare il proprio stato di salute, mentre il 20% di loro cambia alimentazione per rispetto nei confronti degli animali. Solo il 3,8% trova una giustificazione nella salvaguardia dell’ambiente, ritenendo che eliminare i prodotti di origine animale possa avere un impatto positivo sulla tutela del territorio e del pianeta.
La dieta vegana. Al supermercato e a scuola
Il Rapporto indica comunque una decisa diminuzione del consumo di prodotti di origine animale, specie per le carni rosse e suine (-5,8%) e per i prodotti caseari (-3,2%). Mentre cresce il consumo di frutta, verdura e legumi da parte degli italiani. Dunque, veg sì o no? Il tema resta caldo, come dimostrano le recenti polemiche sui pasti vegani nelle mense scolastiche: le linee guida 2010 del Ministero della Salute ammettono la possibilità di richiedere una dieta priva di prodotti di origine animale per i propri figli (senza necessità di presentare certificato medico), ma ogni scuola fa storia a sé, e continuano a moltiplicarsi processi e sentenze che prendono le difese di una o dell’altra parte. L’ultima pronuncia sul caso è quella del Tar di Bolzano, che ammette pasti vegani all’asilo e alle elementari, ma li vieta al nido, con la benedizione della Società italiana di pediatria. A Roma, invece, l’amministrazione M5S prevede la possibilità di richiedere menu vegani e vegetariani, mentre le mense di Torino, una volta al mese, servono solo piatti vegetali.
Vegani in Europa. Le ultime da Francia e Regno Unito
E invece, cosa succede nel resto d’Europa? Solo qualche giorno fa, un report della BBC ha registrato l’aumento significativo, sul lungo periodo, del numero dei vegani nel Regno Unito: negli ultimi 10 anni, il numero di chi segue una dieta cruelty free è passato da 150mila a 542mila persone. E dal 2014, la Vegan Society promuove nel Paese il cosiddetto Veganuary: un mese, quello di gennaio, dedicato alla divulgazione della filosofia vegan, con l’obiettivo di sensibilizzare alla causa un gruppo sempre più nutrito di inglesi. Anche la Francia dibatte sulla questione: una recente inchiesta della rivista francese 60 Millions de consommateurs ha analizzato le etichette di molti prodotti vegani in vendita nella grande distribuzione, sfatando il falso mito della salubrità degli alimenti in questione, e anzi appurando il largo utilizzo di additivi e aromi per riprodurre il gusto del prodotto di origine animale. Senza contare la media dei prezzi, generalmente alta più del doppio rispetto all’alimento “tradizionale”. Ma intanto, proprio dalla Francia arriva notizia del lancio sul mercato del primo Camembert vegano ottenuto senza l’impiego di latte vaccino. L’invenzione si deve a una piccola azienda della regione della Mosella, Les Petite Veganne, non nuova a questo genere di esperimenti, guidata da una vegana che non sa resistere al fascino dei formaggi della tradizione francese. Il trucco per superare l’ostacolo? Gli anacardi, lavorati con tradizionali metodi di fermentazione e stagionatura.
a cura di Livia Montagnoli