Gli Stati Uniti hanno iniziato da pochi giorni la campagna di vaccinazione massiva anti-Covid, somministrando le prime migliaia di dosi del vaccino perfezionato dalla Pfizer. In Europa, fatta eccezione per il Regno Unito, che per primo ha avviato le pratiche, l’atteso V Day sarà “celebrato” entro l’anno, già qualche giorno dopo Natale. Poi sarà compito – oneroso – di ogni Paese pianificare la strategia più efficace per non vanificare lo straordinario lavoro di ricerca scientifica portato avanti negli ultimi mesi. Dall’altra parte dell’Atlantico, gli Stati Uniti stanno facendo da apripista, a confronto con le ben note difficoltà logistiche che dovranno garantire la corretta somministrazione del vaccino (la produzione di ghiaccio secco ha subito un’impennata nelle ultime settimane, e le immagini dei contenitori refrigerati necessari per mantenere la temperatura del farmaco a -70 gradi centigradi hanno catalizzato tutte le cronache mediatiche).
Vaccino anti-Covid. Chi ha la priorità?
L’altro tema di dibattito riguarda l’ordine di priorità che guiderà la campagna di vaccinazione: quali categorie hanno diritto a vaccinarsi per prime? Se è unanime e condivisa in tutto il mondo la decisione di privilegiare personale medico e sanitario e lavoratori impegnati nelle rsa - come sdoganato è pure il criterio di procedere secondo età anagrafica, iniziando dagli anziani tanto martoriati dalla pandemia - l’approccio delle diverse autorità sanitarie si differenzia sulla definizione delle altre categorie a rischio. Negli Stati Uniti la discussione si frammenta tra dipartimenti sanitari e governatori dei diversi Stati federali, alle prese con un numero limitato di vaccini a fronte di una campagna che si auspica potrà coinvolgere più persone possibile (la vaccinazione non è obbligatoria, ma il nuovo presidente aveva già iniziato in campagna elettorale la sua opera di persuasione sull’importanza del vaccino per la ripartenza dell’America). E la priorità che raccoglie più consensi si concentra sul dare precedenza alle persone che svolgono una funzione di utilità sociale rilevante per il Paese. Tra questi, anche i lavoratori impegnati nel settore primario e nella trasformazione di prodotti alimentari. Il comparto, che mai si è fermato durante la pandemia, assicurando l’approvvigionamento di cibo anche nei frangenti più duri del lockdown, ha scontato numerosi casi di positività, peraltro a carico di lavoratori che spesso non dispongono delle risorse economiche per garantirsi un’assicurazione sanitaria e cure mediche adeguate. Per questo, al pari di insegnanti e forze dell’ordine, agricoltori, allevatori e lavoratori dell’industria alimentare – che certo non possono lavorare da remoto – sono balzati in cima alla lista delle categorie cui dovrebbe essere garantito il vaccino in tempi rapidi.
Il ruolo di chi produce cibo. E i rischi corsi a beneficio di tutti
Ma la questione - che contempla risvolti etici, economici, sociali – non è affatto semplice da dirimere. E ogni stato, alle prese con una disponibilità limitata di dosi, ha iniziato a definire il suo orientamento: c’è chi sceglierà di privilegiare gli insegnanti di scuola elementare, chi tutte le persone over 65, chi - come la Pennsylvania - i “lavoratori a rischio”, come sono considerati anche i braccianti agricoli. In Idaho, invece, accanto a vigili del fuoco e polizia, avranno precedenza anche gli addetti alle rivendite alimentari, con l’obiettivo di ridurre le occasioni di trasmissione del virus accordando la priorità a chi commercia cibo, rispetto a chi lo produce. E com’è consuetudine negli Stati Uniti, le lobby che rappresentano gli interessi dell’una o dell’altra categoria hanno già iniziato a far sentire la propria voce: la Consumer Brands Association, che rappresenta anche diverse aziende alimentari, avanza il diritto alla priorità dei propri associati, che dall’inizio della pandemia stanno scontando tassi di assenteismo elevati dovuti al timore di contrarre il virus, con conseguenze evidenti - spiega l’associazione - per la produzione di cibo e prodotti essenziali. La United Farm Workers Foundation, nel frattempo, perora la causa dei lavoratori agricoli, non solo perché sono essenziali per la società, ma anche perché fortemente a rischio (pur lavorando all’aperto, spesso si spostano in gruppo a bordo di mezzi o vivono per lunghi periodi in alloggi comuni). Considerazioni ancor più sensate a fronte del gran numero di lavoratori irregolari, e dunque anche privi di assicurazione sanitaria, impiegati nel settore. L’istanza sta trovando credito soprattutto in California, dove si apre in queste settimane la raccolta invernale dei limoni. E le parole di Tellefson Torres, membro del comitato sanitario per le vaccinazioni della California, riassumono il senso del dibattito: “È importante garantire a chi ha sempre continuato a produrre il cibo che arriva sulle nostre tavole, pur lavorando in un settore così vulnerabile, la considerazione che merita. Hanno priorità per ricevere il vaccino”.
a cura di Livia Montagnoli