Un ristorante toscano serve un intero menu dedicato alle frattaglie (dolce incluso)

28 Lug 2024, 12:38 | a cura di
Al Linfa di San Gimignano il quinto quarto è cosa seria, anzitutto è cultura: alla fine del percorso "Quinto quarto" viene servito un dolce con fondo di arrosto di maiale (da provare)

È solo al termine di un entusiasmante quanto insolito menu che uno dei ristoranti di punta della Toscana, il Linfa di San Gimignano (SI), due forchette per la Guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso, apparirà sotto una luce diversa. Quando il dessert servito dal suo chef Vincenzo Martella mostrerà una delle strade oggi più intriganti imboccate dall'alta ristorazione. Quel Migliaccio della Valdera è infatti un dolce assai particolare, che chiude degnamente il percorso "Quinto quarto" - «un menu dedicato alla Toscana più ancestrale e autentica» come viene presentato, e che verrà accompagnato da un altro abbinamento inconsueto, un "rimedio" preparato dal sommelier Cesario Delle Donne: sakè tiepido dove l'alcol è completamente evaporato.

Un dessert di quinto quarto

Certo quella sorta di crepe spolverata di anice, cannella e zucchero a velo e servita con un gelato al panforte e a una mousse di latte e pane scorrerebbe via agilmente come dessert (di classe) grazie anche all'abbinamento (analcolico) azzeccato che enfatizza i suoi sentori di anice, se non fosse per quel fondo di arrosto di maiale che lo accompagna e che inevitabilmente richiama l'attenzione su di sé. Perché qui il quinto quarto è cosa seria, anzitutto è cultura, a cominciare dai protagonisti della nostra storia, che a esso vi dedicano infinite energie fino a intitolargli - aspetto più unico che raro nel panorama dei ristoranti di punta italiani - un intero menu.

Il Migliaccio alla Volterrana

Spiega lo chef Vincenzo Martella, salentino, classe 1977, in Toscana da 15 anni: «Ho appreso la base della ricetta di questo dolce da una donna di 96 anni di Volterra, cittadina in cui vivo: la signora è la bisnonna di un amichetto di mio figlio che un giorno mi ha chiesto se conoscevo la ricetta del migliaccio alla volterrana e ha aggiunto: "sono rimasta l'unica depositaria perché tutte le altre donne che lo preparavano sono morte". Fu felice di donarmela. Ovviamente era priva di grammature, perché quel che mi insegnò era piuttosto il processo. Questo migliaccio non si prepara con il sangue del maiale ma con il brodo delle zampe e delle orecchie di maiale cui si aggiunge il pane raffermo e i biscotti vecchi. E ancora dei semi di finocchio, le bucce e il succo di arancia, quindi un po' di farina così da ottenere la consistenza di una pastella da crepe. Mi ci sono voluti diversi tentativi che compivo a casa e che sottoponevo poi all'anziana signora fino a ottenere la sua "benedizione". Al Linfa gli darò una veste gourmet, servendolo con gelato e una mousse, ma il dessert, come l'intero menu, resta un'ode all'utilizzo di tutti gli scarti».

Le frattaglie, una storia di famiglia

Ed è a un'altra nonna, Pasqualina e pugliese questa volta, cui il nipote Vincenzo pensa con affetto ricordando quando da bambino fu proprio lei a insegnargli il valore, prima ancora che il gusto, delle interiora: «Il suo era un approccio arcaico, intriso di una sacralità quasi pagana per quanto era legata alla terra - ricorda lo chef -: il fegato mi veniva dato perché acquistassi forza. Il cervello così da crescere in intelligenza. Se a casa nostra non c'era pesce si mangiavano solo interiora: come le animelle e il cuore. O il rognone trifolato di mamma Pasqualina che resta uno dei miei piatti fondativi, persino migliore di quello di Davide Scabin» sorride. Così stupisce ma non più di tanto sapere che il giovane e squattrinato Vincenzo Martella ai tempi dell'Università di Scienze dell'Alimentazione a Tor Vergata a Roma, cui è giunto quasi alla laurea, s'alimentava cucinando per lo più il cuore e i durelli di pollo. E oggi quando va a fare la spesa con i suoi figli, Natan e Aaron di 6 e 11 anni, non presta nemmeno più attenzione a quella loro richiesta così poco comune: «Stasera, papà, ci prepari i bocconcini di cervello?»

Una materia prima che non teme confronti

Il menu "Quinto quarto" del Linfa (disponibile solo su prenotazione e proposto a un impegnativo prezzo di 120 euro a commensale così da sottolineare, una volta di più, tanto l'importante lavoro che gli si dedica in cucina che la dignità impressa a questa materia prima, mai ritenuta inferiore a quella dell'ingrediente più blasonato) poggia del resto su un aspetto assai indicativo: «Per il menu del personale - spiega chef Vincenzo - non serviamo carne rossa, ma carne di coniglio e di pollo. Attenzione però: perché le loro frattaglie io le servo solo ai clienti. Per me restano infatti la parte più nobile».

La magia nel piatto nasce dall'alchimia segreta tra le persone che vi lavorano e che certo poi trova una cornice affascinante in un ristorante come il Linfa, ricavato com'è all'interno di un antico palazzo nel cuore della meravigliosa cittadina toscana e impreziosito da opere d'arte contemporanea, secondo il gusto raffinato del patron Lorenzo Di Paolantonio, che creano un piacevolissimo contrasto "antico e moderno"; e dove la cantina del XII secolo vanta oltre 1100 referenze. Ma dove è proprio il suo cantiniere, Cesario Delle Donne, sommelier e degustatore AIS, 38 anni lui pure salentino come lo chef, a far la differenza con quella "Combinazione di Rimedi" analcolici da lui pensati e preparati così da accompagnare in maniera insolita ma efficace lo straordinario menu.

Racconta Cesario: «Osservando un giorno la fatica di chef Vincenzo nel lavorare le frattaglie per nobilitarle e farle amare a una clientela parecchio internazionale, in un circuito certo prestigioso ma non facile come quello dell'alta ristorazione, non volevo pensare a un semplice abbinamento con i vini, pur ovviamente sempre disponibile. Volevo dare identità a ciascun piatto. Il termine "rimedio" nasce su suggerimento del nostro patron dal momento che questa sorta di brodi servono a compensare, a "rimediare" l'indiscutibile potenza delle interiora, sgrassando il piatto, rendendolo più leggero ma insieme dando continuità alla successione delle portate».

Un'educazione salentina

Anche l'ispirazione di Cesario affonda le radici in un tessuto familiare in cui le frattaglie sono da sempre presenza viva e fonte d'innumerevoli stimoli. Prosegue il sommelier: «Nonno Cesario, di cui porto con orgoglio il nome e il cognome, di nascosto dai genitori mi faceva bagnare le labbra con il vino. Avevo sei anni e la mia educazione enologica - in vita mia non mi sono mai ubriacato - nasce lì. A 14 anni ho cominciato a lavorare nei bar a Torre dell'Orso, la perla del Salento, e da allora non mi sono più fermato. Determinante per queste combinazioni di rimedi è stato l'esempio di nonna Maria che ogni volta che ci preparava le frattaglie ci dava da bere del brodo di pecora o di pollo: quello che rimaneva dell'acqua di cottura».

Interiora in livrea gourmet

Di qui un menu, con il suo pairing, che rivestendo di una livrea gourmet una materia prima povera non intende però nascondere quell'origine popolare quasi se ne vergognasse: al contrario, la coraggiosa operazione anche culturale qui compiuta serve, piuttosto, a ribadire la necessità di considerare  il quinto quarto come protagonista a tutti gli effetti del circuito dell'alta ristorazione. Dopo un benvenuto con un panforte di fegati e cuore di pollo e un altro con le creste del gallo, assaggeremo le rigaglie di agnello avvolte in una crepinette di maiale e passate alla griglia, impreziosite da un tocco di caviale e servite con un brodo di pecora freddo cui è stato aggiunto del basilico, rosmarino e della birra analcolica.

Una fantasia a briglia sciolta

Un eccellente primo piatto come le pappardelle ai fegati e rognoni di coniglio vive del miracoloso equilibrio tra le note ematiche ed amare espresse dalla carne con quelle acide di un aceto di marsala quindi con quelle dolci date dalle albicocche al forno. E dove un delicato brodo vegetale con infusione di rosa canina e menta ripulirà il palato dopo l'incontro con questo piatto succulento. Ci saranno i tortelli di patate al ragout di lampredotto, ma anche il cervello di vitello rosolato nel burro e servito con il rafano e i lampascioni. La curiosità si fa inesauribile, al pari della fantasia che la sostiene, quando corre lungo i sentieri meno battuti del gusto.

Ristorante Linfa - piazza S. Agostino 19/A, San Gimignano (SI)

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