Elsa Schiaparelli. La stilista amica di Duchamp e Dalì
Dici Schiaparelli e pensi a quella tonalità di rosa che ha guadagnato un posto nella palette di colori che ogni bravo stilista deve conoscere. Ma il caratteristico colore rosa shocking è invenzione piuttosto recente, merito di una delle personalità più influenti della moda della prima metà del Novecento: bisogna risalire al 1936, quando ormai la carriera di Elsa Schiaparelli a Parigi è ben avviata, e la sarta italiana si spartisce con Coco Chanel il palcoscenico dell'haute couture parigina dalla sua maison al 21 di Place Vendome. La stilista romana di origini aristocratiche ebbe una vita piuttosto movimentata e si nutrì dello scambio con i grandi protagonisti della stagione dadaista a New York, da Man Ray ad Alfred Stieglitz,a Marcel Duchamp; poi, negli anni Venti arrivò nella Ville Lumiere, dove sarebbe rimasta per il resto della sua vita, cavalcando l'onda della moda pret-a-porter interpretata con estro e stravaganza, dagli abiti in vetro alle mantelle rosa shocking, alle decorazioni vivaci, per costruire un immaginario di giocolieri e trapezisti, cappelli-scultura (all'ideazione partecipa anche Salvador Dalì), bottoni a forma di caramella.
La tavola che ispira la moda. Il cibo sfila in passerella
Oggi, a più di 40 anni dalla scomparsa della geniale stilista, è Bertrand Guyon – attuale direttore creativo della maison – a celebrare questa stravaganza (che all'epoca era soprattutto voglia di libertà) sul filo dell'ispirazione gastronomica, con una collezione, quella primavera/estate 2016, che attinge a piene mani all'immaginario del cibo. D'altronde i biografi della Schiaparelli ci hanno tramandato il pensiero di una donna che indugiava volentieri a tavola e amava ripetere che “Mangiare non è solo un piacere materiale. Mangiare bene dà una incredibile gioia di vita e contribuisce immensamente alla voglia di fare e alla felicità di stare in compagnia. È di grande importanza per il morale”.
E in occasione dell'ultima sfilata parigina Guyon “apparecchia” un omaggio ad Elsa che passa per la declinazione del surrealismo in cucina, tra porcellane che fluttuano sugli abiti da sera, teorie di cucchiai e forchette che diventano trama geometrica, rape e aragoste (in memoria dell'abito ideato proprio da Elsa per omaggiare l'aragosta telefono di Dalì) che catturano la scena, torte glassate, frutta e foglie di lattuga che celebrano con ottimismo il piacere della convivialità e un vestito che si finge tavola imbandita, simbolo per eccellenza di questo banchetto artistico dal piglio ironico. Mentre la passerella si trasforma nella cucina di una casa d'epoca, in un tripudio di porcellane e piattaie che rivestono le pareti della sala. E così, ancora una volta, l'universo della moda attinge all'arte della tavola, rinnovando un legame privilegiato che in passato ha conquistato maison del calibro di Moschino, Fendi, Krizia, solo per citarne alcune.
a cura di Livia Montagnoli