L’Umbria non ha mai avuto un ruolo centrale nella geopolitica della ristorazione italiana, specie in quella di fascia “alta”. Regione piccola, isolata, con una popolazione storicamente poco avvezza a investire nel “mangiar fuori” e un tessuto industriale limitato che non sostiene il settore. Perché certe tavole si frequentano per il gusto di farlo, ovviamente, ma senza una clientela business è dura far tornare i conti. Per questo, quello che è successo negli ultimi anni ha dell’incredibile. Come se qualcuno avesse innescato una miccia, dando vita a una serie di aperture di qualità numericamente fuori scala, capaci di stravolgere l’identità stessa e la percezione gastronomica esterna della regione.
Umbria, tavole e chef famosi
Chiariamoci subito: in Umbria ci sono stati grandi cuochi e ottimi ristoranti anche in passato ma non è questo il punto. I casi di successo sono sempre sembrati episodici, frutto di esperienze individuali più che di un terreno fertile e men che meno di un “sistema”. Non a caso, uno dei talenti più cristallini che la regione e l’Italia abbiano mai avuto, il cannarese Angelo Paracucchi, ha cercato e trovato gloria lontano da casa. Altri? Ovviamente Gianfranco Vissani, a lungo lo chef più innovativo, famoso e mediatico, quindi i Sette Consoli e Trippini, per restare in terra orvietana. Al Trasimeno ha brillato la stella Luciano, a Foligno quella di Luisa Scolastra (Villa Roncalli), a Spello Marco Gubbiotti (La Bastiglia, oggi impegnato nell’originale progetto Cucinaa), a Città di Castello Marco Bistarelli col suo Postale, a Perugia l’Osteria del Bartolo. Più di recente il Vespasia a Norcia, Stella Michelin dal 2016 e ora anche Stella Verde.
La nuova Umbria del gusto
Casi isolati nello spazio e mescolati nel tempo, che nulla hanno a che vedere con la ricchezza e la portata collettiva della proposta attuale. L’Umbria del gusto è qui e ora: una fucina di giovani promesse ai fornelli e di locali contemporanei, capaci di disegnare un firmamento sempre più luminoso e articolato. Una modernità arrivata all’improvviso, ma forse non per caso. Intanto la regione ha una vocazione turistica sempre più spiccata ed è meta di viaggiatori meno “mordi e fuggi” rispetto al passato, vogliosi di esperienze autentiche e con una buona fascia alto-spendente. Poi c’è una generazione di locals molto più curiosa di quelle precedenti, attenta alla qualità e alla provenienza delle materie prime, più che mai disposta ad investire in esperienze ristorative appaganti. Fare nomi ed elenchi non è facile perché la scena è frizzante e dinamica, capace di esprimere diversi vertici ma anche un corpo centrale mai così nutrito e interessante.
Dall’Acciuga a Luce
A Perugia, iniziare da L’Acciuga di Luca Caputo è doveroso. Non solo perché ha riportato un “macaron” in città ma soprattutto per lo stile con cui lo ha fatto; tanto in quello della cucina quanto nella gestione della sala e degli arredi. Un ristorante che nasce in periferia, capace però di ritagliarsi un ruolo centrale con caparbietà, visione e una formula cresciuta nel tempo. Le idee dello chef Marco Lagrimino sono apparentemente semplici ma tecnicamente complesse e restituiscono con pulizia, dettaglio e immediatezza il grande lavoro fatto dietro le quinte.
Un posto in cui si sta bene e si beve benissimo, tra cocktail e una selezione di vini di primissimo piano; un tempo quasi esclusivo appannaggio di produzioni “naturali” e iper-artigiane, oggi capace di spaziare su tutti i fronti, con diverse bottiglie iconiche in carta. Sempre a Perugia, ma nel cuore dell’acropoli, c’è Luce. Un ristorante suggestivo e di grande atmosfera che i fratelli Francesco e Paolo Gori, cuochi per formazione ma capaci di dividersi tra sala e cucina, hanno costruito a loro immagine e fanno girare alla perfezione. La proposta parte dal meglio del territorio e finisce in piatti originali, gustosi, immediatamente comprensibili, con un tasso di creatività “inclusivo” che non si appiattisce su nessun cliché, equidistante dalla tradizione nuda e cruda e dal “fine dining” fine a sé stesso.
Da Ada Gourmet ad Annina Locanda
La seconda Stella cittadina è merito di Ada Stifani, sorprendente per la velocità con cui se l’è accaparrata. L’insegna Ada Gourmet, che segue i successi e lo spirito innovativo de L’Officina, nasce al piano terra di un palazzo in zona Sant’Ercolano: caratterizzato da volte a mattoni, arredi eleganti, cucina a vista e una suggestiva cantina sotterranea. Lo stile è quello a cui la chef ci ha abituato, ricco di innesti creativi, combinazione di elementi e sapori articolati, portato tuttavia ai massimi livelli possibili. E siamo solo agli inizi. Il cerchio perugino è chiuso da un’altra giovane scommessa: Annina Locanda dei fratelli Matteo e Lorenzo Rossi. Posto splendido, immerso nella natura ma a pochi chilometri dalla città, con vista pazzesca e cucina fondata su rimandi “baschi” di cotture alla brace e affumicature. Vedremo dove saprà arrivare.
Da Torgiano a Foligno
Anche Torgiano, terra da tempo vocata al turismo enogastronomico, tocca vette culinarie inesplorate con Elementi Fine Dining del bellissimo Spa Resort Borgo Brufa (altra Stella Michelin nuova di zecca). Qui Andrea Impero, umbro acquisito, ha saputo fare una clamorosa indagine su materie prime e artigiani del territorio per confezionare dei menu di golosa eleganza, capaci di unire percorsi ragionati con immediata soddisfazione e perfetta rappresentazione scenica.
Altra tavola stellata, ma di ispirazione totalmente diversa per tecnica, esperienze, concept, ambiente e spirito è quella di Giulio Gigli e della sua crew. Une nasce in un vecchio mulino di Capodacqua di Foligno ed è tra i locali più dinamici, contemporanei e rock della scena gastronomica umbra. Non poteva essere altrimenti, visti i lunghi trascorsi dello chef in giro per il mondo e in particolare nel parco giochi di Oriol Castro, Mateu Casañas ed Eduard Xatruch: il Disfrutar di Barcellona. Allacciate le cinture, qui i sapori della memoria viaggiano in un flusso canalizzatore di tecnica e fantasia, regalando scintille. A Foligno città, altra novità in rampa di lancio è Silene Piccolo Ristorante della chef Nicoletta Franceschini, già ai fornelli di Niko Romito e Antonia Klugmann. Mano sensibile, specie coi vegetali, e accostamenti non usuali per sapori che sconfinano dai perimetri puramente territoriale.
Dal lusso alla natura
Come detto, la lista potrebbe proseguire e per forza di cose è impossibile comprendere tutti nella ricognizione. Tra le novità, tuttavia, scommettiamo su due realtà lontane, geograficamente e stilisticamente, accomunate da un’idea forte di fondo che mal si piega ai compromessi. Parliamo del ristorante Radice del Relais La Chiaracia a Castel Giorgio, nell’orvietano, e di Tenuta Santa Cecilia, vicino Gubbio. Nel lusso del primo lo chef Daniele Auricchio gioca ai contrasti e propone piatti affatto accomodanti, di grande grinta e intensità, mentre la sala è magistralmente diretta da Mauro Clementi, tra i più bravi in Umbria nel ruolo. Il secondo è un posto straordinario per paesaggio, natura e progetto: 320 ettari di boschi, olivi, foraggi, fauna selvatica, agnelli e maiali allevati allo stato brado (da cui salumi meravigliosi), suite diffuse e ristorante. Qui, il patron Giuseppe Onorato si occupa di accoglienza e cantina mentre la cucina è in mano all’eugubino di ritorno Alessio Pierini e a Serena Sebastiani. Realmente immersivi, i piatti evocano il territorio con classe e acume, richiamando i sapori del bosco e la natura selvaggia in maniera originale. Per noi tra le migliori esperienze della regione.
Creatività e tradizione
Andrebbero poi citate insegne forse meno “hype” ma di qualità, come il San Giorgio, Bosco 131, Osteria del Posto, Officina dei Sapori, Al Divino, Il Frantoio ad Assisi e altri che, in qualche modo, hanno imboccato percorsi capaci di lasciare il segno e contribuiscono alla policromia scenica. Sarebbe inoltre ingiusto confinare lo stato di grazia dell’Umbria ai soli ristoranti “fine dining”. Sul fronte della “tradizione” le cose non vanno meno bene, con alcuni capisaldi consolidati come Il Capanno, nei pressi di Spoleto, e Stella Ristornate Vineria, a Perugia, ma anche con tavole aperte più di recente e gestite da giovani. Meritano attenzione, su questo fronte, esperienze come quelle de La Risulta a Ponte San Giovanni e di Lillero a Terni, gemme di un trend che ci auguriamo porti altri frutti. E poi ci sono locali che hanno fatto del contesto territoriale una chiara cifra stilistica, diventando baluardi dei rispettivi prodotti. Il Rosso di Sera e il Molo per il pesce del lago Trasimeno, Re Tartù e San Pietro a Pettine per il tartufo, tanto per fare qualche esempio. Senza considerare il momento positivo delle pizzerie di qualità (qualcuno ha detto Meunier a Corciano?) e degli etnici, a cominciare dal magico mondo de Il Vizio nel Best Westwern Quattrotorri di Perugia.
Quella di oggi è un’Umbria che porta sé stessa più in alto, certo, ma che sa anche imboccare sentieri del tutto nuovi e per certi versi inesplorati. Piena di forze fresche, cariche di sogni ed energia, che sembrano voler continuare a correre e giocare.