Ramen bar mania
Quando una tendenza prende piede, al punto persino di modificare le abitudini di consumo di un pubblico trasversale, è difficile tornare indietro a pensare come (e perché) tutto abbia avuto inizio. Fino a un paio d'anni fa, chi in Italia proponeva una cucina giapponese che fosse altro rispetto a sushi e sashimi rappresentava una nicchia gastronomica per appassionati della cultura nipponica. Mosche bianche devote alla causa di ramen, yakitori e cucina kaiseki, perché a propria volta affascinati dal Giappone e dalle sue tradizioni alimentari: Casa Ramen e Zazà Ramen a Milano, Waraku a Roma, e pochi altri in giro per la Penisola. Poi il montare di un interesse crescente per la formula ramen bar, spesso filtrata da esperienze europee di successo: l'intuizione - fondata - che si trattasse di un'ottima opportunità imprenditoriale, come spesso si rivelano le cucine esotiche più popolari, dal ceviche peruviano all'ultima mania per il pokè hawaiano. E nuove realtà pronte ad affacciarsi su piazze inesplorate, da Koto Ramen a Firenze alla più recente scommessa di Lorenzo Costa a Bologna, con Sentaku (gyoza e ramen). Diversa, ed estremamente più dinamica, la situazione a Milano, dove oggi non solo si registra il proliferare di valide iniziative made in Italy, ma pure l'arrivo di grandi realtà giapponesi e internazionali (da Toridoll all'imminente apertura in centro città di Wagamama, alla misteriosa, per ora, sfida del gruppo Tenoha in un grande spazio su via Vigevano).
Umami. Il ramen bar di Marco Pucciotti
A Roma il panorama dei ramen bar si è arricchito di pari passo, e oggi sono diversi gli attori che si dividono la scena: Waraku ha traslocato in uno spazio più grande e più confortevole, in zona Ostiense sono arrivati Mamaya e Akira, che nel frattempo si è moltiplicato in altre zone della città. Ora in partita entra pure un giovane imprenditore romano che certo non difetta in fiuto per gli affari. Nel caso specifico, però, pesa pure la passione per il Giappone, dove Marco Pucciotti è stato più volte inseguendo il suo amore per la birra anche dall'altra parte del mondo. Il quadrante di riferimento, ca va sans dire, è quello che gli è più caro, il VII municipio, dove ormai gestisce un vero e proprio impero del food&beverage, dall'Hop&Pork di Cinecittà (che in serbo ha belle sorprese) al Barley Wine, da Sbanco a Santo Palato, da Epiro al recente cocktail bar con pizza gourmet Blind Pig, non distante da piazza Lodi. Umami, invece, accoglie gli ospiti a pochi metri dalla basilica di San Giovanni in Laterano, un ingresso nascosto ma preannunciato dalla luce calda che filtra dall'interno, su via Veio, civico 45.
Dentro si intuisce la passione di cui sopra, e insieme il gusto per il dettaglio (vogliamo chiamarlo perfezionismo?) di chi l'ha ideato: una sala accogliente, circa 45 coperti distribuiti su due livelli, perché sul fondo è stato ricavato uno spazio rialzato, all'occorrenza schermato da pannelli scorrevoli in stile giapponese. Legno chiaro che disegna intrecci geometrici alle pareti, ma senza intaccare la pulizia dell'insieme; tavoli e sedie altrettanto essenziali, come la mise en place, che all'arrivo del ramen può contare su belle ciotole decorate in bianco e nero.
E all'ingresso la bottigliera, con la selezione di sake e shochu, “per ora un centinaio, ma siamo al 60%”, selezionati con l'aiuto di Luca Rendina per avere un range di proposte articolato, fino alle etichette più pregiate e particolari. Da bere, Umami, proporrà mensilmente anche una sua birra, prodotta in collaborazione con diversi birrifici artigianali del territorio, a cominciare dalla Pacific Pale Ale di Free Lions, con luppoli giapponesi, “ma già stiamo studiando una blanche con yuzu e pepe di Sichuan per il prossimo mese”. Molto fornita anche la carta dei distillati, dal gin al whisky, anch'essi tutti prodotti in Giappone.
La cucina di Giuseppe Milana
Stessa attenzione maniacale all'autenticità della proposta sul menu, che al momento preferisce attenersi alle ricette tradizionali giapponesi, anche se – bisogna riconoscerlo, e non è detto che non sia un pregio – la mano italiana dello chef Giuseppe Milana (che è pure socio, insieme a Davide Frattali, al lavoro in sala con Ilaria Picone) interviene ad alleggerire diverse preparazioni. Basti pensare al ramen, disponibile in 4 varianti – Toriniku con brodo di pollo, Yasay con verdure, tofu e brodo di alghe, Umami con brodo di maiale, Spicy Umami con aggiunta di peperoncino, dai 12 ai 14 euro – tutte caratterizzate da un brodo trasparente, “che si ispira più che altro alla tecnica del consommè” racconta lo chef. Per quello vegetariano, per esempio, lavora molto sulle verdure e sull'estrazione di umori vegetali che diano complessità all'insieme, giocando su cotture e consistenze.
I noodles, invece, sono stati pensati in collaborazione con Mauro Secondi, più simili a un tonnarello che al classico spaghetto orientale: “Avevamo bisogno di un certo nerbo, in vista del servizio delivery (operato da Foodora, ndr), che presto attiveremo nel raggio di 3 chilometri dal locale: così la pasta mantiene una buona resa fino a 15 minuti da quando finisce nella ciotola”. Uovo fondente ben eseguito, selezione accurata anche sulla carne, in arrivo da Pork & Roll e Bottega Liberati, che da Umami è protagonista anche nella costruzione di un piatto come lo Shabu Shabu, che deve avvalersi di una materia prima di qualità: “In tavola arriva la ciotola col brodo bollente, insieme serviamo una selezione di carni scelte e verdure di stagione, e il prezzo varia secondo disponibilità. La differenza la fa la marezzatura, che rilascia nel brodo i grassi della carne, e lo arricchisce: ora serviamo una carne finlandese e una galiziana, ma non escludiamo il wagyu, che chiaramente fa salire il prezzo (si parte da 20 euro per il piatto da condividere in 2, ndr)”.
Oltre il ramen
In menu anche yakitori di pollo cotti alla brace con salsa teriyaki, pollo fritto karaage e cotoletta di maiale tonkatzu, takoyaki di polpo con katsobushi. E poi bun al vapore con pulled pork all'orientale o verdure in tempura e maionese al miso, gyoza in tre varianti (maiale, gamberi, verdure e tofu), tempura e sashimi di tonno con citronette al passion fruit, aria di salsa di soia, cipollotto in tempura. Per cominciare chips di radici di loto, goma wakame (l'insalata di alghe che dà dipendenza), edamame e tsukemono (ora con cetrioli e daikon).
Per i dolci ulteriore collaborazione di rilievo, con i gelati ideati insieme a Marco Radicioni di Otaleg (zenzero fermentato, tè matcha, cocco e wasabi) o un dorayaki homemade. Lo scontrino medio è volutamente basso, per un totale che si aggira su 25-30 euro, con l'idea di accogliere un pubblico trasversale. Per ora solo a cena, ma già da questo fine settimana anche il sabato a pranzo.
Umami – Roma – via Veio, 45 – 3312630870 - www.facebook.com/umami.roma/
a cura di Livia Montagnoli
foto di Alberto Blasetti