È il primo minuto del 1° luglio 1999 quando nelle case degli italiani irrompono il faccione di Marco Bolasco, il sorriso sardonico di Andrea Petrini e i baffetti signorili e gaudenti di Don Alfonso. È l’inizio della storia di Gambero Rosso Channel all’interno di RaiSat. Sullo schermo si accendono i colori della cucina di Sant’Agata sui Due Golfi e si raccontano i sapori agricoli di Punta Campanella; dietro alle macchine, negli studi del Tufello, a Roma, Stefano Bonilli e Bruno Pellegrino danno il via alla festa. Nasce la prima televisione dedicata interamente al cibo e al vino. E nasce all’interno della tv pubblica. È il primo canale tematico in Europa dedicato interamente alla cultura e alla pratica del cibo, del vino e al viaggio.
Gambero Rosso: un nuovo modo di fare tv
Il Gambero era già noto nel mondo gourmet: da una decina di anni il marchio era legato alla guida Vini d’Italia – realizzata insieme a Slow Food – e a quella dei Ristoranti d’Italia. Dal 1986 Gambero Rosso era una testata giornalistica, nata come costola del Manifesto e poi lanciata da sola in edicola. Stefano Bonilli era conosciuto anche al grande pubblico televisivo grazie alle sue partecipazioni alla trasmissione Mi manda Lubrano. Erano gli anni in cui il cibo galleggiava tra inchiesta e godimento. C’era stato il Viaggio nella valle del Po di Soldati e Ave Ninchi e Aldo Fabrizi avevano già condotto dei “siparietti” con (A Tavola alle 7) a tema cibo nell’Italia del boom. La nuova televisione dà un palcoscenico unico ed eccezionale al mondo della cultura materiale e familiare di questo Paese: non c’era nulla di simile prima. «Avevamo tutti un problema di fondo – racconta Alfredo Antonaros, tra i primi intellettuali prestati alla narrazione della tavola italiana sugli schermi di Gambero Rosso Channel – Non avevamo nessun modello da poter copiare! Abbiamo dovuto inventare tutto, giorno dopo giorno: è stata una sfida emozionante. Appena laureato – racconta lo scrittore, autore di diversi romanzi e di una interessante Grande storia del vino per Pendragon – affrontai un incarico rispetto al quale non avevo nessuna esperienza, la direzione di un teatro. Ma lì si trattava di studiare e copiare. Con il Channel, invece, non c’era proprio nessun punto di riferimento».
L'invenzione di un linguaggio per food & wine
La ricerca di un nuovo linguaggio quando la cucina in tv ancora non sbancava l’audience e non aveva un proprio alfabeto. «Ricordo lunghe e frequenti riunioni in cui si parlava sì di televisione, di cibo e di vino, ma anche di teoria della comunicazione. Due sono stati gli elementi dirompenti che sin da subito si imposero e fu Stefano Bonilli a metterli sul tappeto della riflessione. Il primo: le mani. Fini ad allora, in genere le mani di chi faceva qualche ricetta nella tv generalista venivano inquadrate frontalmente. Noi per la rima volta cominciammo a riprenderle dall’alto: questa tecnica permetteva allo spettatore di entrare direttamente nella ricetta, di mettere le mani in pasta. Per spiegare questa scelta, Bonilli usava l’esempio del ballo: c’erano grandi registi che rappresentavano i grandi balli attraverso le figure danzanti, i loro abbracci, i sorrisi, la passione. E c’erano registi grandissimi che raccontano un ballo riprendendo i piedi che danzano: questo abbiamo cercato di fare noi con la cucina. Poi, ci siamo detti che se volevamo fare una televisione avvincente non dovevamo mai dimenticarci che, come nei grandi film e specialmente nei gialli, quando viene inquadrata una pistola prima o poi questa pistola deve sparare. Così, se venivano inquadrati un carciofo, una carota o l’olio, prima o poi quell’elemento che appariva sul monitor doveva essere un soggetto-agente della storia che stavamo raccontando: ecco, tutto questo ci ha permesso di fare una tv dinamica e fresca, assolutamente non ripetitiva».
La storia di Gambero Rosso Tv, da RaiSat a Sky
RaiSat, poi, nel 2009 esce dalla piattaforma Sky, mentre il Gambero Rosso rimane nella squadra di Murdoch. Una nuova avventura che durerà fino a pochi mesi fa, quando la casa editrice del gruppo Class - pur restando sempre sulla piattaforma Sky - decide di andare oltre il satellite e di fare la sua piattaforma OTT, direttamente fruibile da tutti attraverso internet in streaming e on demand, ma anche sul digitale terrestre al canale 257.
Una televisione inedita: novità e gap culturali
Una nuova sfida, quella di poter entrare nelle case di tutti senza le barriere dei costosi abbonamenti per i canali satellitari. Un’ambizione che da sempre ha animato i protagonisti del Channel, tanto che uno dei «grandi dispiaceri» che Alfredo Antonaros ci tiene a raccontare è proprio legato alla incomprensione della forte valenza culturale che quella televisione aveva. «Un dispiacere che ha un nome e un cognome: Aldo Grasso: lui, il maggior critico televisivo italiano, non ha mai capito l’importanza e la novità della tv del Gambero. Non ha mai capito che quando descrivevamo una mortadella, quando riprendevamo il colore del taglio e quando la assaggiavamo prima sul pane caldo e poi su quello freddo, non stavamo facendo una marchetta al produttore, ma stavamo raccontando una grande storia e facevamo così il nostro lavoro. Questo, però, ci ha tenuto un po’ lontani da un pubblico più ampio che invece avrebbe potuto maturare una maggiore coscienza e consapevolezza sul fronte del cibo e della cultura materiale di questo Paese».
In Francia sarebbe stata un'altra cosa!
Certo, probabilmente in Francia sarebbe andata diversamente. Lì – avessero avuto la mortadella – sarebbe stata un monumento nazionale! Ma c’è un altro dispiacere che Antonaros vuole raccontare, anche questo parla di un certo vezzo purtroppo sintomatico del Belpaese. «Il canale di Gambero Rosso nacque nel grembo Rai che era ed è proprietaria dell’archivio di Raisat: si sono dimenticati che in quell’archivio giacciono decine di migliaia di ore di girato in cui i protagonisti dell’arte, della scienza, della cucina, della cultura e della politica (cito solo due nomi: Andreotti e Ciampi) raccontano un decennio della nostra storia. Un patrimonio di cui non si è più avuta traccia». Un “vizio” di casa nostra, l’oblio e la perdita: tanto che quando Gambero Rosso Channel decise di rimandare in video il Viaggio nella Valle del Po di Soldati, poté programmarne solo 9 puntate su 13 perché 3 non si trovavano più, disperse.
Freccero: il nuovo Gambero, anti-Masterchef
A cavallo tra storia e futuro c’è un altro grande nome della televisione e del mondo della comunicazione: Carlo Freccero, il prof che dal 2007 è stato alla guida di Raisat e che l’avventura del Gambero Rosso l’ha vissuta con passione. «Erano gli anni in cui ci ospitava Murdoch che era un padrone di casa ingombrante – sorride Freccero – Io vivevo con insofferenza i paletti e le intrusioni che da americano prepotente voleva imporre. La nascita del canale televisivo Gambero Rosso è stata l’archeologia della cucina in tv, un’esperienza che ha seminato e posto le basi di quel fenomeno che di lì a qualche anno diventerà dilagante nel panorama dell’intrattenimento televisivo. Gambero Rosso ha avuto un ruolo molto importante: ha seminato la curiosità, l’interesse verso la cucina in tv. Tanto che a breve, sempre in ambito Sky, sarebbe nato il format di Masterchef. Ma il Gambero aveva un modo diverso di narrare rispetto alla tv generalista: era più interessato a raccontare e spiegare la qualità del cibo che non a fare spettacolo. Quella tv non era interessata alle Stelle ma privilegiava la qualità del cibo e della cucina».
"Gambero Rosso: un marchio di difesa del made in Italy"
E poi? Da quei primi semi, cosa è venuto fuori dagli schermi del Gambero? «Il canale è diventato più specialistico: è la vittoria della qualità del cibo italiano e l’esaltazione di alcune cucine tipiche italiane e di alcuni vini italiani. In qualche modo Gambero Rosso è diventato sempre più un marchio per la difesa dello stile italiano». E ora che diventa una piattaforma in streaming accessibile a tutti, cosa consiglia un guru della tv al Gambero Rosso per la nuova avventura? «Intanto, credo che sia una scelta importante e assolutamente giusta – spiega il Freccero – Ora, il Gambero deve fare l’opposto di quello che fa Sky: non Masterchef, ma gli chef quotidiani, veri, in carne e ossa. Deve insegnare come fare una buona cucina con pochi soldi, perché non ci sono più molti soldi. Il gambero deve costruire la rete per far vivere meglio gli italiani in questo periodo di poche risorse. È finita l’epoca del virtuale, della Finanza e della ricchezza, dell’illusione: siamo tornati a sopravvivere. Gambero Rosso annulla Masterchef – afferma il prof – e ci aiuta a mangiare bene con gusto e con pochi soldi. Una cosa del tipo: oggi facciamo la spesa con 10 euro e cuciniamo per padre, madre e due figli. Lo slogan dovrebbe essere: oggi Gambero Rosso vi aiuta a vivere una vita reale non più dominata dalle illusioni e dalle Stelle, siamo tornati a un nuovo super-neo-realismo».
Giorgione, Pascucci & co: tutti in barca
Accetta con entusiasmo la nuova sfida anche un talent ormai storico del Gambero: Gianfranco Pascucci, chef a Fiumicino. «Per noi che in ogni puntata facciamo e raccontiamo un viaggio, più gente riesce a salire sulla barca e meglio è – esclama – La nostra è una mission: ogni ricetta è tesa a valorizzare e utilizzare il pescato locale delle diverse zone, a non buttar via nulla, a dare valore a tutto. I piatti che io vado a fare sono per tutti: facili e ripetibili, interpretabili, piene di consigli e non solo di prescrizioni, non sono ricette da stellato o per chef professionali. Sono piatti legati a consigli che dopo anni e anni di esperienze posso condividere». Un’idea di tv che va quindi nella direzione suggerita da Freccero? «Io giro il Mediterraneo a bordo di un catamarano e non tutti possono permetterselo – spiega lo chef – Ma tutti possono accompagnarci e venire con noi a conoscere persone, realtà, territori che non potrebbero mai raggiungere in luoghi che non avrebbero la forza di farsi conoscere: invitiamo a salire su quel catamarano non per scattare una cartolina patinata, ma per provare a conoscere e immaginare una idea di viaggio non legata a un’agenzia turistica e fuori sia dalle rotte più battute che dalle stagioni più piene di vacanzieri. Così, anche chi quel viaggio vorrà poi farlo davvero può immaginare il suo percorso».
I nuovi programmi: più sostanza, meno spettacolo
Una linea, questa, sposata totalmente anche da uno dei più popolari volti di Gambero Rosso, Giorgione. «La mia scelta è di continuare con sempre più forza l’impegno sulla tv che da anni mi ospita con un obiettivo chiaro e preciso: valorizzare e comunicare il nostro patrimonio gastronomico. Io voglio parlare di cucina, non fare spettacolo! La mia idea è raggiungere il pubblico più ampio, ma con le mie forze e le mie idee: io non uso copioni, faccio e dico quello che voglio. Credo di essere intergenerazionale e interclassista: mi seguono i ragazzini e gli anziani, i gourmet e i golosi, i professionisti e gli operai». Una cucina popolare, dunque? «La mia è una cucina, non so se sia popolare, tradizionale o di altro genere: è la mia cucina, non prescrivo dosi, non scomunico nessuno e non mi scandalizzo se uno nell’amatriciana vuol metterci la cipolla. Non stiamo facendo la Rivoluzione Francese, stiamo cucinando. Credo che la nuova fase televisiva di Gambero Rosso possa raggiungere un pubblico più ampio e far conoscere prodotti, storie, cibi da ogni angolo d’Italia». E sul dissing fra ristorante e trattoria, qual è la posizione di Giorgione? Più creatività o più tradizione? «Mi sembra che la divisione oggi non abbia confini molto netti – spiega Giorgio Barchiesi – Forse in Italia la trattoria allude a una idea di cibo più semplice e tradizionale in un ambiente più familiare, ma sono stato in una trattoria a Città del Messico che sembrava un fine dining stellato. Meglio concentrarci sulla sostanza delle cose, raccontare storie e persone, cibi e territori. Mi sembra sia questo il percorso che Gambero Rosso vuole percorrere ed è anche il mio»