“Volevo raccontare una storia sulla passione, sul desiderio e sul fuoco che brucia forte anche quando il corpo invecchia”, dice Annika Appelin, la regista di Tuesday club – Il talismano della felicità, il film svedese – approdato nelle sale italiane – che spiega come questo fuoco possa essere particolarmente ardente se quella passione, e quel desiderio, si chiamano cucina.
Tuesday club – Il talismano della felicità. Il “tradimento” della cucina
Il film inizia con Karin e Sten che festeggiano i loro 40 anni di matrimonio con un ricevimento i cui piatti assai convenzionali e un po' datati (un cocktail di gamberi, del salmone al forno) sono la rappresentazione gastronomica di un rapporto che ha perso di fantasia e di sapidità. Poi succede che Karin vede spuntare dal cellulare del marito una foto e un messaggio che non lasciano spazio a interpretazioni: il marito ha un'amante. E quella relazione che aveva ormai un gusto un po' spento, diventa un boccone amaro, come esprime il viso contratto di Karin. Sten capisce che ha capito, ed è allora che – mentre sta goffamente tentando di mostrare la sua prestanza con un esercizio ginnico improvvisato – si distrae e cade, finendo in ospedale.
A quel punto le cose prendono una strada imprevedibile fino a poco prima: Karin smette di andarlo a trovare e, nel frattempo, incontra una vecchia compagna di scuola che la invita fuori a cena. Stimolata dalla bontà dei piatti, ricorda che a “tradire” per prima era stata lei: non il marito, bensì sé stessa, perché pur di accudire il coniuge e la figlia aveva rinunciato al sogno di diventare una chef professionista per darsi invece (anche metaforicamente) ai cocktail di gamberi e al salmone al forno di cui sopra. Decide che è ora di riavvicinarsi alla cucina.
Gli chef maschi, sempre antipatici
Al cinema piace ritrarre gli chef maschi secondo il modello antropologico della clava: narcisi, anaffettivi, scortesi e potenzialmente violenti. E questo è anche il ritratto di Henrik, il cuoco stellato presso cui Karin va a fare un corso di cucina con le sue amiche, mentre il marito è sempre in ospedale (e la figlia ancora non capisce perché la mamma “se ne freghi”). Il caratteraccio di Henrik - un uomo che da tempo ha smesso di parlare con sé stesso, e quindi anche con gli altri - non semplifica le cose, tanto che Karin minaccia di lasciare il corso a causa dei suoi modi bruschi e le ripetute scortesie, prima però decide di dargli un’ultima chance. Sarà proprio la forte personalità di Karin, oltre al suo indiscusso talento, che lentamente scioglieranno Henrik, fino a fargli ritornare non solo la voglia di cucinare, anche di amare. Karin, naturalmente.
I corsi di cucina sono un’altra cosa
Pensate se vi iscriveste a un corso di cucina e, invece di sentirvi guidare dall'insegnante nelle fasi di preparazione di un piatto, vi venisse semplicemente data una ricetta e vi venisse detto “leggete, e fate”. Nel film questo succede, e anche se è evidentemente un modo per descrivere il personaggio di Henrik, è indice di quanto la regista Annika Appelin, nonostante abbia dichiarato “Amo mangiare, cucinare e guardare il cibo che viene cucinato”, probabilmente conosca poco il mondo dell’enogastronomia, e non si sia affidata alla consulenza di uno chef (come invece ha fatto il regista di “La cena perfetta”, coinvolgendo Cristina Bowerman) per raccontare il mondo della ristorazione in maniera realistica.
Ancora la retorica del “sì, chef!”
Va bene che il gruppo di lavoro in cucina viene definita come una brigata, e va bene che alcuni chef si distinguono nel mostrare i galloni ai sottoposti, ma continuare a ritrarre i ristoranti come delle caserme in cui i soldati semplici devono battere i tacchi e urlare “si, signore!” è diventata una moda fuorviante, pur sapendo che al cinema un po' di drammatizzazione funziona sempre. Ma se a essere costretti a tanta obbedienza sono addirittura gli iscritti a un corso di cucina, come succede in Tuesday club – Il talismano della felicità, è davvero un po’ troppo.
Ma quale talismano della felicità…
Per finire: non pensiate che il film faccia riferimento all’omonimo libro di Ada Boni, perché il titolo usato nella versione italiana è solo il tentativo dei distributori cinematografici italiani di rendere più appetibili i propri film, risultando però solo fuorvianti. Chiamatela col suo titolo originale, questa pellicola, Tuesday club: è infatti questo il nome che le tre amiche protagoniste daranno al loro progetto professionale, e soprattutto di vita. E sì, perché la storia non finisce qui.
a cura di Marco Lombardi