Può un'insalata di radici e carote conquistare gola e cuore? Tommaso Melilli è riuscito nel piccolo miracolo profano colmando qualsiasi tipo di aspettativa. Nel piccolo bistrot di Milano, in via Pichi, zona di case occupate a due passi dai Navigli, quotidianamente si celebra una cucina acuta e spigliata, di sacro c'è poco se non l'atmosfera rilassata. «Ehi, stai con noi al bancone?», risponde uno degli osti al telefono quando si prenota in solitaria. Non c'è imbarazzo né snobismo. Anche da soli, infatti, da Trattoria della Gloria si sta benissimo, al piccolo bancone, dentro le mura di una vecchia osteria meneghina (Carmine e Gloria sono andati in pensione), c'è tutto ciò che serve per tornare di continuo. C'è della magia che viaggia a ritmi come non se ne vedono spesso in Italia. Si è un po' stranieri in patria, così simile ai bistrot parigini ma ben lontano dai cliché di cui sono intrisi certi ristorantini new age che fingono polvere e sedie in legno per assomigliare a qualcosa che non conoscono davvero. A casa Melilli, invece, l'atmosfera è croccante e dinamica, niente finzioni, quindi finisci per sentirti residente anche se sembra di stare all'estero.
Il ristorante nascosto dietro ai Navigli trasfigurati
Fuori piove, a quattro strade più a nord c'è Porta Genova, ci sono i Navigli trasfigurati dalle offerte gastronomiche di dubbia qualità, le luci a neon tamarre, palloni giganti a forma di zucca di Halloween che sorvolano centinaia di ombrelloni anonimi. Pure quello che si mangia è quasi tutto uguale, i "buttadentro" fanno il resto. Passeggi lungo i canali tra rabbia e sconforto. Ma a pochi passi da quel regno della mediocrità, in mezzo alle palazzine silenziose, le tende a strisce bianche e verdi del ristorantino di Tommaso, Rocco e Luca trasmettono subito tranquillità, dalle vetrate appannate le sagome dei clienti seduti al tavolo si muovo, alcuni parlano, altri no, molti ridono, assaggiano, stupore e meraviglia si intrecciano dentro a un quadro sfocato al vapore acqueo.
Il bancone delle conoscenze
Si entra, ci si siede al piccolissimo bancone, dicevamo. In sala l'accoglienza è gentile e dinamicissima. Rocco Galasso, sommelier, è competente e molto attento al tipo di cliente che ha davanti. Chi vuole essere lasciato in pace, viene lasciato giustamente in pace. Chi vuole sapere, parlare, capire cosa mangia viene accontentato con garbo. Con lui c'è Luca Gennati, un professionista serio e preciso. Entrambi lavoravano all’Enoteca naturale. E non a caso la carta dei vini è splendidamente artigianale, senza eccessi o improvvisazioni. Si beve bene e i ricarichi sono onesti.
Una volta al bancone il vicino di posto può essere chiunque, una coppia che si dilunga in un'aperitivo infinito a parlare del lavoro di lei, della contabilità, delle scarpe, della Milano che schiaccia anche la classe media e lascia indietro chi non ce la fa, oppure uno chef silenzioso di San Francisco, in giro per l'Europa dopo aver lasciato da poco il suo ristorante a Los Angeles. Prossima tappa Lago di Garda.
Radici che commuovono
Cosa si mangia? L'insalata di radici amare di Soncino fa commuovere pure i più duri di cuore. Provengono dal piccolo comune lombardo in provincia Cremona. Spellate, sbollentate, ripassate in padella con l'aceto di moscato bianco, e poi un bel contrasto sotto il segno della dolcezza con le carotine di Polignano, servite bianche. Un piatto piacevole e intelligente, un piccolo viaggio tra dolcezza, amarezza, acidità e consistenze. Insieme merita un passaggio di cucchiaio il minestrone tiepido, interessante grazie alla sua semplicità e croccantezza (si può ordinare anche la porzione piccola).
Nel frattempo, al bancone viaggiano piccoli calici di rosso e rosato, Susumaniello, Gaglioppo, Negroamaro. Il primo bicchiere di Cirò Rosato di Tenuta del Conte rende i caratteri più espansivi. Il secondo - uno sconosciuto Negroamaro di Antonio Quarta ("è il cognato di Natalino Del Prete") - accompagna bene la rusticità del colombaccio che condisce il risotto insieme alla melagrana. Per chi ama il genere, rimarrà soddisfatto, anche se non è tra i piatti più notevoli della carta.
Tiramisù for president
Tra una pausa e l'altra è difficile non fermare lo sguardo sugli arredi. Una Madonna di Lourdes formato bottiglietta spunta su uno scaffale, poco più in basso una tanichetta di plastica bianca con scritte religiose, oggetti di ogni tipo, altri non identificati sopra al frigo. È tutto coerente. Il bigliettino "for president" scritto da qualche amico o cliente abituale. Ci piace pensarla così mentre arriva una piccola coppa color argento con dentro un mestolo di dolce, poggiato da un lato come se lo avessero fatto volutamente in fretta. Il tiramisù può essere il più scontato dei dessert, non questo però perché Gloria ha imparato a stupire i milanesi pigri. Sulla base il pane tostato a mo' dì pain perdu alla francese, niente biscotto, sopra un mascarpone i-n-c-r-e-d-i-b-i-l-e proveniente da un piccola famiglia di artigiani che ancora lo fa a mano, cacao amaro. Tutto qui. Niente effetti speciali, sarà per questo che vorremmo tornare ancora e ancora da Gloria.