Tor Pignattara (o Torpignattara) non è per tutti, non è piazza Vittorio, non è via Paolo Sarpi. Non è una zona centrale sotto l’occhio delle istituzioni, per intenderci. È un quartiere popolare e multietnico, tanto abitato quanto trascurato, potremmo dire periferico, se non fosse che Roma è così sterminata da avere ancora molti chilometri a disposizione da chiamare periferia.
4 km ci separano da San Giovanni, 5 dal Colosseo, siamo pur sempre nella parte storica della città. Le avessero in altre parti del mondo le periferie con l’Acquedotto Alessandrino a troneggiare. Stretta tra Pigneto, Certosa e Quadraro, Torpignattara non è più quella cattiva di Pasolini e di Ragazzi di Vita, ma forse un po’ lo è ancora. In fin dei conti via di Tor Pignattara è una strada – il traffico è la costante - poco più di mezzo chilometro tra Porta Furba e piazza della Marranella, tra la via Tuscolana e la via Casilina, che condensa intorno a sé il mondo intero, la vecchia Roma e la nuova Roma, quelle che tanti non conoscono.
La storia
Questa era una parte suburbana della città imperiale, con residenze nobiliari, castra (accampamenti militari), aree di esercitazione e zone cimiteriali. Infatti, oltre alle Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, sulla via Casilina - in realtà era l’antica via Labicana - c’è uno dei monumenti meno noti dell’Urbe, il Mausoleo di Elena, madre di Costantino, morta nel 328 d.C. Nelle mura sono ancora visibili delle anfore in terracotta, le pignatte che i romani utilizzavano per alleggerire le costruzioni: da qui il toponimo popolare di Torre delle Pignatte o Pignattara.
La via di Tor Pignattara fu istituita nel 1927, perché questa, durante il Fascismo, era una zona in piena espansione demografica: già allora approdo di immigrati e di persone in cerca di affitti più calmierati, fu teatro di uno sviluppo edilizio per "autopromozione", spontaneo, sorto sull’iniziativa di privati. Le case a due-tre piani, che ancora oggi vediamo tra i palazzi più alti, furono edificate negli anni ‘30, come pure la scuola Carlo Pisacane, vent’anni fa associata a una sorta di ghetto per bambini stranieri, oggi simbolo di inclusione e di buone pratiche.
Durante la seconda guerra mondiale la posizione a cavallo tra le due strade consolari rese Tor Pignattara quartiere generale per la lotta di liberazione di Roma: qui si pagò con il sangue, con i rastrellamenti e con le bombe del ’43. Poi sfollati, baracche, abbandono, criminalità, ma anche vita popolare di quartiere.
L’arrivo delle comunità straniere
È un attimo e siamo alla fine degli anni ’90, arrivano tantissimi stranieri, la popolazione cambia, molti romani vanno via, qui vengono ad abitare bengalesi (la comunità straniera maggiore nel V Municipio), cinesi, pakistani, indiani. Per le strade c’è odore di garam masala, i giornali cominciano a dipingere il quartiere come una polveriera, in realtà Torpigna va avanti come un laboratorio spontaneo (il caso della scuola Pisacane, su menzionata, è esemplare) grazie ai cittadini e alle associazioni, come il Comitato di Quartiere, come Asinitas (che supporta le donne straniere con corsi di lingua, per esempio) o al Comitato Acquedotto Alessandrino, che si prende cura di Parco Giordano Sangalli (intitolato a un partigiano comunista ucciso dalle SS a 17 anni). Alcuni edifici sono fatiscenti, ma c’è la street art, che nell’ultimo decennio ha colorato e fatto parlare i muri, dando nuova notorietà al quartiere. La popolazione conta tanti giovani, in maggioranza nati a Roma, seconde generazioni sospese tra cultura italiana e comunità di origine, raccontate in maniera molto divertita nel 2019 dal film Bangla di Phaim Bhuiyan.
Lo spettro della gentrificazione
Nonostante qualche fattaccio di cronaca (ancora) isolato, Torpignattara è scelta anche da studenti e da tante coppie e famiglie italiane, attratte da un mercato immobiliare meno aggressivo rispetto ad altre parti della Capitale, così come artigiani (vedi la bravissima Marie Ceramiche), artisti (attivissimi quelli di FortezzaEst, del Karawan Fest o del Teatro Torpignattara) e ristoranti di nuova generazione. La gentrificazione pare non essere ancora arrivata, ma il quartiere ha il fiato sul collo con il Giubileo alle porte: da 20 giorni, ad esempio, il collettivo che aveva riportato in vita l’ex Arena Aurora ha annunciato la fine dell’esperienza cinematografica perché la società Avana SPA ha in essere “altri progetti di sviluppo”.
Le botteghe di quartiere
Negli ultimi venticinque anni sono cambiate le insegne, il piccolo commercio è quasi tutto in mano alle comunità straniere, tra minimarket e macellerie halal, ma qualche bottega storica resta. Come la pasticceria Signorini, che è qui dal 1929 con il sorriso delle sue infaticabili donne dietro al banco, a dispensare bigné, crostate e la torta Signorini, vanto di casa. O come il Bar Fiorucci dal 1969, classico presidio di quartiere da cinquant’anni, che tutti i martedì serve maritozzi con la panna e il venerdì ciambelle xxl e propone pure selezioni di vini e specialità. Su via di Torpignattara dal 2000 c'è il Forno Spiga D'Oro dei fratelli Della Rosa, fornai da generazioni oltre che pugili, ormai non più una botteguccia, ma una corazzata da quintali di pane che ha conquistato il quartiere e le zone limitrofe con l'insegna Fatti di Farina (ultima apertura, pochi giorni fa, in via Collatina), 4 locali polifuzionali con caffetteria, ristorazione e pasticceria. Più lontano (quasi al Pigneto, diciamo) quel monumento alla pasta fresca che è dagli anni '60 la Bottega Gamberoni di via Bufalini.
L’occasione persa del Mercato Coperto
Grande buco nell’acqua il mercato coperto di via Laparelli, al centro di mille denunce. Fino al 1958 gli ambulanti erano sui marciapiedi di via di Torpignattara: un suq a cielo aperto – in alcuni tratti oggi lo ricorda – che fu trasferito in una struttura coperta, interamente rinnovata nel 2004, nella Roma post Giubileo, con uno stabile di tre piani, con tanto di piazza coperta al centro. Sono trascorsi due decenni nell’incuria da parte delle stesse istituzioni che lo hanno voluto: lo visitiamo oggi, in un giorno infrasettimanale, e sulle centinaia di box disponibili ci sono solo due negozi aperti, in uno spazio immenso e semi abbandonato.
Cibi del mondo
Tutti gli anni a giugno l’Associazione Pisacane (legata alla scuola di cui sopra) organizza Taste de World, una festa che riunisce cucina internazionale e musica, con tutte le anime di Torpigna, dal cibo bengalese a quello curdo, argentino, indiano, afgano, etiope, siriano e, ovviamente, romano. Anche sul versante ristorazione, però, Torpignattara non è Piazza Vittorio: non ci sono ancora insegne di cucina migrante attrattive per il resto della città, come un distretto gastronomico, con qualche eccezione. Una di queste è sicuramente Bazar – Taverna Curdo Meticcia, un ristorante militante che propone piatti della cucina curda, come le kofte (polpette di manzo speziate) o gli spiedi di pecora e agnello con insalata di melagrana, qualche inserto di specialità napoletane, vini naturali e birre artigianali. Da qualche mese, al 129 di via di Tor Pignattara ha aperto Angel's Wings, che prepara piatti filippini, mentre al civico 50/a una ravioleria cinese dall'insegna incomprensibile propone zuppe e ottimi ravioli artigianali con carne, pesce e verdure. Una scoperta passeggiando su via Laparelli è il forno Alawi, laboratorio su strada dove si sforna esclusivamente pane arabo (una sfoglia molto ampia e soffice, detta khobz) cotto tradizionalmente a parete, nel forno tannur, condito del sorriso del titolare: 3 pezzi per 1 euro.
Una nuova generazione di locali
C'era una volta (e c'è ancora) Betto&Mary, trattoria fané fondata nel 1969 dove mangiare l'insalata di nervetti e la lingua arrostita: però è a Certosa, vicino, ma non proprio Torpigna. Circa un decennio fa, invece, a Torpignattara si è cominciato a venire da fuori quartiere per la cucina romana di Osteria Bonelli: al limitare dell'Acquedotto Alessandrino, si gustano i piatti della tradizione verace, dagli involtini alla trippa, dalla minestra di piselli e quadrucci al bollito, in un ambiente caotico e a un ottimo rapporto qualità/prezzo (tanto da meritarsi un premio sulla guida Roma 2017 di Gambero Rosso).
A inizio del 2020 (non in un momento fortunatissimo per altro) su via di Tor Pignattara hanno preso il via invece due insegne che sono presto diventate un riferimento in zona, la pizzeria A Rota di Sami El Sabawy, asso della tonda romana, in società con Marco Pucciotti, patron anche del locale adiacente, Eufrosino, oggi dedicato alla cucina capitolina.
Non c'è un disegno istituzionale o di forti poteri imprenditoriali, ma piccole insegne che tentano di distaccarsi dal mucchio continuano ad aprire in zona. La scorsa primavera, in via Laparelli 86, nella parte del quartiere che conduce verso il Pigneto, ha aperto i battenti Nando's, pizzeria originaria di Latina, che propone un impasto a metà tra la napoletana e la romana. Sempre nella stessa strada c'è Mastico, bar bistrot aperto tutto il giorno, nel quale fermarsi per una colazione lenta o un pranzetto con piatti di stagione. Gli appassionati di birra artigianale si fermano da Ziwataneo- Redemption Pub, che fa un'ottima selezione tra Italia ed estero (via Ciro da Urbino, 65).