The truffle hunters - esce nelle sale italiane il 18 novembre - è un omaggio a una generazione di uomini che hanno dedicato la loro vita, quasi con ossessione, alla ricerca del tartufo bianco. Esistenze totalmente estranee alla modernità, alla tecnologia e alla cultura globale che sono trascorse in simbiosi con i boschi e i terreni scoscesi delle colline piemontesi. Ma soprattutto in comunione con i loro cani da ricerca, veri e propri coprotagonisti del documentario distribuito da Sony Pictures.Nel montaggio sono state mantenute molte scene girate con una piccola telecamera fissata alla testa dei cani, dando la possibilità allo spettatore di scoprire le battute al tartufo dal punto di vista di Fiona, Pepe, Yari, Biri, Nina, Charlie, gli inseparabili accompagnatori dei cercatori.
Un lavoro di riprese durato tre anni
Nei tre anni di lavoro – cominciati ad agosto 2017 – che ci sono voluti per completare il film, i registi Michael Dweck e Gregory Kershaw hanno saputo scovare e mettere davanti alla telecamera dei personaggi, per lo più ultra ottuagenari, che sembrano usciti dall’Italia del dopoguerra. “Il nostro è stato un progetto del cuore, abbiamo voluto raccontare la passione per la vita di questi personaggi, la loro empatia con la natura e tutto ciò è stato possibile soltanto grazie alla co-producer Letizia Guglielmino che, essendo piemontese, ci ha fatto conquistare la fiducia di questa comunità abbastanza chiusa”, racconta Michael Dweck. Perché, è necessario dirlo, il film è largamente sottotitolato e non perché si parla inglese, bensì un piemontese molto stretto.
I protagonisti del film
Scopriamo personaggi incredibili, come Carlo Gonella, 88 anni, che si ostina a uscire a cercar tartufi con la cagnetta Titina nel pieno della notte, nonostante i rimproveri della moglie Maria. Ma Carlo ha dalla sua la benedizione del parroco e sa che quelle battute notturne sono la sua ragione di vita. Anche Aurelio Conterno ha superato gli ottanta, per l’esattezza sono 84 anni. Non ha moglie e vive con la giovane cagnetta Birba che tratta come una figlia, facendola mangiare a tavola e intavolando con lei lunghi discorsi. La sua preoccupazione più grande è trovargli una famiglia nel momento in cui lui non sarà più in grado di occuparsene.
I lati oscuri
C’è anche chi come Angelo Gagliardi, un idealista poeta-contadino di 78 anni, ha deciso di smettere di fare il trifolau. Non si riconosce più in un mondo che bada solo al profitto senza rispettare la natura, sradicando tartufi non maturi e impedendo alle spore di diffondersi per la riproduzione. Dove la rivalità esasperata porta a invadere terreni altrui, addirittura ad avvelenare i cani. Lo vediamo discutere con Gianfranco Curti, il commerciante che riceve ordini dalla Francia, dalla Russia, dagli Stati Uniti ed è alla continua ricerca di materia prima, perché la domanda di tartufi bianchi aumenta di anno in anno, anche se la produzione diminuisce. In una breve scena notturna vediamo Gagliardi in un vicolo di Alba contrattare una vendita con Enrico Crippa. E per una manciata di tartufi si tratta a suon di migliaia di euro.
Le conseguenze del cambiamento climatico
I protagonisti forse non ne sono pienamente consapevoli – soprattutto i più anziani chiusi nel loro piccolo universo – ma anche nei boschi e fra le colline del Piemonte il cambiamento climatico impone il suo dazio, con siccità prolungate e temperature troppo elevate che si prolungano in autunno. Condizioni climatiche che non sono favorevoli allo sviluppo di uno degli ingredienti più cari e ricercati sulle tavole di tutto il mondo. Il film è anche un involontario omaggio a Paolo Stacchini, lo storico giudice della Fiera internazionale del tartufo bianco di Alba che dopo aver recitato nel ruolo di sé stesso in diverse scene del documentario è mancato nel settembre dello scorso anno all’età di 80 anni. Stacchini era un volto notissimo del settore, con il suo fiuto e l’esame visivo decideva della qualità o meno di una trifula e della sua possibilità di essere commercializzata nella vetrina più prestigiosa, in programma anche quest’anno nella capitale langarola fino al 5 dicembre.
“Dopo essere stato presentato al Sundance Film Festival 2020, a Cannes, al New York Film Festival e aver girato un po’ in tutto il mondo, siamo contenti che il film arrivi a Torino per questa anteprima e poi in tutta Italia, nel paese che custodisce ancora queste meravigliose storie da raccontare”, ha concluso Michael Dweck presente al Cinema Massimo del Museo Nazionale del Cinema assieme a Gregory Kershaw.
Il film è stato un primo assaggio di quella che sarà la 39esima edizione del Torino Film Festival in programma dal 26 novembre al 4 dicembre.
a cura di Dario Bragaglia