È diventato virale su TikTok il video dell'influencer vegana Giulia Pisco rifiutata (con la sua comitiva di altri 7 amici vegani) da un ristorante in Puglia. Quando ha provato a prenotare un tavolo, il personale al telefono ha categoricamente respinto i potenziali ospiti invitandoli ad "andare da un'altra parte" perché loro non accettano vegani. Non c'è stato nulla da fare nemmeno quando l'influencer ha fatto notare che nel menu fossero già presenti dei piatti vegani della tradizione pugliese.
Ed è così che abbiamo colto la palla al balzo per elencarvi alcuni piatti della tradizione italiana che sono (per l'appunto) già vegani. Dalle friselle, al macco, fino all'acquacotta o alla pappa al pomodoro, eccoli divisi per stagione.
Piatti italiani vegani: le ricette della tradizione
Piatti estivi
Pomodori col riso
Specialità estiva per antonomasia, da accompagnare con un po' di patate al forno: un classico della tradizione laziale diffuso un po' in tutto lo Stivale, piatto unico goloso perfetto da portare in spiaggia o consumare durante una scampagnata. È preferibile scegliere pomodori saporiti e maturati al sole, panciuti, così da poter essere farciti con tanto riso.
Caponata
Melanzane, pomodoro, olive e capperi sono gli elementi che compongono la ricetta della caponata di melanzane siciliana, una pietanza che si distingue per il sapore agrodolce dato dall'unione di zucchero e aceto. Tecnicamente, si tratta di un contorno ma può essere impiegata anche in altri modi: per esempio, trasformandola in un condimento per una pasta fresca fatta in casa oppure nel ripieno per una sfiziosa torta salata.
Panzanella
Ricetta povera e di recupero, la panzanella è un'insalata fredda di pane raffermo bagnato nell'acqua e tagliato a pezzetti, pomodori, cetrioli, cipolla rossa, sale, pepe e olio extravergine d'oliva. Una specialità prettamente toscana, anche se ne esiste una variante laziale, che vuole invece fette di pane intere ad accogliere gli altri ingredienti: una sorta di bruschetta ma fatta con pane secco. Ma variazioni di pane e pomodoro sono presenti in tutta Italia, da Nord a Sud.
Piatti primaverili
Macco di fave
O meglio màccu di favi, come si dice in dialetto siciliano: una crema di fave originaria di Raffadali, comune in provincia di Agrigento, già preparata al tempo dell'Antica Roma e condivisa anche con Puglia e Calabria. Per realizzarla, si parte dalle fave secche, a cui possono essere aggiunte altre verdure come la bieta. Si serve calda, come minestra, con un po' di olio extravergine di oliva a crudo.
Vignarola
Un contorno, ma anche un condimento per un primo piatto, disponibile solo per il periodo primaverile: la vignarola – insieme di fave, piselli, carciofi e lattuga – nasce come piatto povero delle campagne romane, dove le verdure abbondavano. Una delle teorie più accreditate circa la nascita della ricetta ritiene che tutto abbia avuto origine a Velletri, comune in provincia di Roma dove i viticoltori iniziarono a preparare questo piatto al ritorno dalle vigne, utilizzando le verdure appena colte. Un tempo, infatti, era abitudine comune piantare alcuni ortaggi lungo i filari, tra cui fave e piselli. C’è poi chi ritiene che si tratti di una ricetta di recupero, nata per non sprecare gli avanzi della vendita quotidiana in frutteria (il termine “vignarolo” in dialetto romanesco significa, infatti, ortolano). Spesso viene presentata con l'aggiunta di guanciale croccante, ma la ricetta originale è tutta verde.
Piatti invernali
Acquacotta
Tipica della bassa Maremma, è il tradizionale pranzo dei butteri a base di pane sciocco, la pagnotta sciapa toscana, olio extravergine di oliva, acqua, sale, pomodoro e verdure di stagione, dai broccoletti con la cicoria selvatica ai fagiolini con la borragine. Il tutto solitamente condito con una generosa spolverata di pecorino, ma i vegani possono saltare questo passaggio e godere comunque di un'ottima zuppa.
Carciofi alla romana e alla giudia
Due le ricette per cucinare i carciofi nella Capitale: “alla romana”, ovvero farciti con un trito di aglio, mentuccia, pepe nero e sale, cotti in un tegame a fuoco dolce capovolti e ravvicinati tra di loro, coperti fino al gambo con un mix di olio extravergine d’oliva e acqua. E poi “alla giudia”, versione nata nel ghetto ebraico per festeggiare la fine del digiuno dello Yom Kippur, ricorrenza ebraica che celebra il giorno dell’espiazione. In questo caso, i carciofi vengono fritti direttamente in olio bollente, senza pastella o panatura.
Fagioli all'uccelletto
Ne “La Scienza in Cucina e l'Arte di Mangiar Bene”, Pellegrino Artusi li cita come “fagiuoli a guisa d'uccellini”, ma afferma di averli sentiti chiamare semplicemente “fagioli all'uccelletto” nelle trattorie fiorentine. Solitamente vengono utilizzati i fagioli cannellini, cotti in una pentola di coccio con un soffritto di olio extravergine d'oliva, aglio e salvia, a cui viene aggiunta la salsa di pomodoro allungata con un po' d'acqua. Tante le ipotesi circa l'origine del nome: c'è chi dice che si riferisca alla salvia, usata per insaporire l'arrosto di uccellini, chi sostiene che invece venisse preparato un tempo un piatto di fagioli e uccelletti insieme, che veniva fatto senza carne nei periodi in cui non si cacciava.
Minestrone e vellutate
Piatti poveri per eccellenza, zuppe e minestre affondano le radici nella cultura contadina più antica: il termine minestra è presente già nei ricettari del Duecento e deriva dal latino minestrare, ovvero somministrare e servire a tavola. La parola zuppa, invece, compare attorno al Cinquecento, periodo in cui era diffusa soprattutto fra le famiglie più povere, che per sostenersi riutilizzavano il pane secco immerso in un brodo di legumi e verdure; il nome, infatti, viene dal gotico suppa, che significa “fetta inzuppata”. Per il minestrone, si parte da un soffritto di sedano, carote e cipolla e poi si aggiungono legumi e verdure a piacere, sommerse con il brodo e cotte a fuoco lento. La vellutata è più cremosa: c'è chi la addiziona con panna o formaggi, ma noi consigliamo di gustarla in purezza, cercando di ottenere la giusta densità con l’aggiunta di patate o mantenendo un’equilibrata proporzione fra verdure e brodo.
Pappa al pomodoro
Nonostante sia famosa per la bistecca alla fiorentina, la tavola toscana vanta una serie di ricette vegane sfiziose. Altro piatto imperdibile, da assaporare nei mesi più freddi, la pappa al pomodoro, zuppa a base di pane raffermo, pomodoro, olio extravergine di oliva, odori e brodo vegetale, semplice e sostanziosa, le cui origini sono da sempre contese tra Siena e Firenze.
Pasta e fagioli (e ceci, patate, lenticchie)
Che si tratti di reginelle, sagne o ditaloni, poco importa: pasta e fagioli, così come pasta e lenticchie, pasta e patate o pasta e ceci, è uno dei piatti più amati in tutta Italia, specialità dal sapore rassicurante e familiare, perfetta per riscaldarsi nei mesi invernali. Regina indiscussa fra tutte le ricette, la versione napoletana, che vuole che la pasta venga cotta direttamente con i legumi in modo da conservarne l'amido e rendere il piatto ancora più cremoso (“azzeccato”, come si dice in dialetto). Spesso, viene arricchita con cotiche di maiale o cozze.
Ribollita
Zuppa simbolo della cucina toscana, dove a fare la parte del leone è il cavolo nero, insieme ai fagioli e la verza. A caratterizzare il piatto è la doppia cottura: deve infatti il suo nome all’usanza delle contadine di prepararne grandi quantità il venerdì (giorno di magro) e poi ribollirla nei giorni successivi.
Dolci
Cavallucci
Tipici dei comuni della provincia di Macerata, in particolare Cingoli e Apiro, i cavallucci sono dei biscotti preparati originariamente dalle vergare locali (le massaie marchigiane) per le feste natalizie, oggi disponibili tutto l'anno. La farcia è fatta con sapa locale (sciroppo d'uva ottenuto dal mosto), noci, nocciole, mandorle, zucchero, pangrattato, cacao amaro, Marsala, vino bianco, caffè, scorza di limone e arancia. La pasta invece è a base di farina, zucchero, vino bianco, olio di semi e cannella grattugiata. I dischetti ripieni vengono richiusi a mezzaluna e infornati.
Ciambelline al vino
Biscotto condiviso da tante regioni dell'Italia centrale, in particolare Lazio (soprattutto la zona dei Castelli Romani, dove sono chiamate “'mbriachelle”), Abruzzo e Umbria. Sono delle ciambelline semplicissime dal gusto casalingo, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Gli ingredienti sono pochi, solo quattro: farina, zucchero, olio d'oliva, vino. Prima di infornarle, vengono passate nello zucchero semolato.
Celli ripieni
Sembrano biscottini di frolla, ma in realtà l'impasto è fatto con farina, vino bianco e olio d'oliva, ingredienti che danno vita a una pasta dal sapore neutro, perfetta per accogliere un ripieno dolce di scrucchiata, la tipica confettura d'uva abruzzese. A conferire ancora più sapore alla farcia, poi, mandorle tostate, cacao amaro, cannella e scorza di limone. Il nome significa “uccello ripieno” e fa riferimento alla forma che ricorda quella di un uccellino accovacciato.
Mandorle atterrate
Ancora un pasticcino dell'Abruzzo, regione in cui la maggior parte dei dolci sono preparati a partire dall'olio d'oliva, prodotto che non è mai mancato in dispensa, neanche nei periodi di carestia. Ne sono un esempio le mandorle atterrate, nate dall'esigenza di impiegare le mandorle spezzate inutilizzabili per i confetti e prodotte con mandorle tosate tritate grossolanamente, zucchero, acqua, cacao in polvere, scorza di limone e cannella. Spesso viene aggiunto anche un goccio di caffè o di alchermes.
Mostaccioli
Sono tantissime le variante dei mostaccioli, dolcetti comuni a tutto il Centro e Sud Italia, dall'Abruzzo alla Calabria, passando per Campania, Molise, Basilicata e Puglia, senza dimenticare la versione lombarda dei mostazzit, tipica del varesotto e del ticinese. Originariamente venivano preparati in occasione della vendemmia con la pasta di pane, il miele, le mandorle e il mosto d’uva. Negli anni, la ricetta è un po’ cambiata e oggi si compone principalmente di farina, zucchero, miele, cacao, mosto cotto, mandorle tritate, acqua e bicarbonato, con le dovute varianti regionali. La radice del nome è ambigua: potrebbe derivare sia dalla parola mustum, mosto, che da mustace, alloro, le cui foglie servivano ad avvolgere un’antica preparazione importata dai paesi arabi, per proteggerla durante il viaggio.
Focacce e prodotti da forno
Farinata
Una preparazione diffusa in molte zone, soprattutto in Liguria, in Toscana, dov’è conosciuta come cecìna (Pisa) o torta di ceci (Livorno) e in Sardegna, dove è chiamata fainè, senza dimenticare le panelle siciliane. È una torta salata molto bassa – creata impastando farina di ceci, acqua, sale e olio extravergine di oliva – dalla storia antica. La leggenda narra che sia stata una battaglia, quella fra Genova e Pisa del 1284 (conosciuta come battaglia della Meloria) a generare le condizioni perché questa ricetta fosse messa a punto, complice un evento sfortunato: una terribile tempesta durante la quale, in una galea genovese, alcuni barili d’olio e dei sacchi di ceci si rovesciarono, inzuppandosi di acqua salata.
I marinai cercarono di recuperare il più possibile di queste preziose provviste, mettendo in alcuni contenitori purea di ceci, acqua e olio d’oliva. Lasciato al sole per un giorno, questo impasto divenne secco, ma i membri dell’equipaggio, presi dai morsi della fame, la mangiarono voracemente, accorgendosi così della sua bontà. Una volta tornati sulla terraferma i genovesi pensarono di migliorare la ricetta scoperta per caso, cuocendo la purea in forno.
Focaccia genovese
Nota in città con il nome dialettale di fugàssa (letteralmente “cotta sul focolare”) è una delle preparazioni più popolari del capoluogo ligure: una sorta di pane alto un paio di centimetri, “pizzicato” in superficie e ricoperto da una miscela di acqua e olio extravergine d’oliva, oltre che da granelli di sale grosso.
Focaccia barese
Nata con molta probabilità come variante del pane di Altamura, diventata poi celebre in tutta Italia e anche oltre, la focaccia barese veniva preparata in principio per sfruttare il calore iniziale del forno, non ancora a temperatura per cuocere il pane, e serviva a sfamare i panettieri durante le ore di lavoro. La ricetta originale prevede semola rimacinata, patate lesse, acqua, lievito e sale: l’impasto viene steso su una teglia unta d’olio dove continuerà a lievitare per qualche ora. Il condimento classico è a base di pomodorini freschi tagliati a metà e spesso anche olive nere baresane, ma sono tantissime le varianti.
Focaccia tarantina
Al contrario di quella barese, nell’impasto della focaccia tarantina scompare il vino bianco, la lievitazione è diversa e rende il prodotto più basso e compatto. Il ripieno è fatto con fettine sottili di cipolla bianca e olive nere “ad inchiostro”, ovvero le olive celline, chiamate così perché talmente scure e succose da “sporcare” tutto, come succede appunto quando si versa l’inchiostro. Questo mix dà al ripieno della focaccia un colore nero-violaceo inconfondibile.
Taralli
Altro prodotto da forno tipico della Puglia ma presente, seppur in maniera diversa, anche in altre regioni. Quelli pugliesi sono taralli fatti con farina, acqua o vino, olio e sale, insaporiti con semi di finocchio, cipolle, peperoncino o altri ingredienti. Vengono prima bolliti e poi cotti nel forno. Altra versione famosa è quella napoletana dei taralli sugna e pepe ('nzogna e pepe in dialetto), in cui però c'è la presenza dello strutto, che li rende quindi non adatti a una dieta vegana.
Friselle
Specialità comune a diverse regioni – Campania, Calabria, Basilicata e Puglia – a base di farina di grano duro, acqua, sale e lievito, solitamente consumate come pasto unico abbinate a verdure o ortaggi di stagione (preparazione classica è quella con i pomodori freschi in estate). L'impasto è cotto due volte e, una volta pronto, viene inumidito leggermente con dell'acqua e ammorbidito con olio extravergine di oliva, prima di essere condito.
Schiacciata all'olio toscana
Tanti prodotti in Toscana vengono chiamati con il nome di schiacciata. In questo caso, ci riferiamo alla schiaccia, la più tradizionale e antica, la schiacciata all'olio bassa e cotta nel forno a legna, condita con abbondante extravergine. Si prepara con farina, acqua, latte o vino (naturalmente, la seconda per i vegani), sale e olio per condire.