Carnevale rimane una delle grandi feste, insieme a Natale e Pasqua, in cui ancora oggi vengono preparate alcune specialità che non si trovano durante il resto dell’anno. In gran parte sono dolcetti fritti in decine di varianti per forma, dimensioni e consistenza che mantengono una forte connotazione regionale.
Le fonti storiche, almeno fino all’Ottocento, si soffermano raramente sulle specialità alimentari dei festeggiamenti carnacialeschi, dando spazio piuttosto alla descrizione dei magnifici banchetti, tornei, balli, e commedie tipici di questo periodo. Allo stesso modo i ricettari si preoccupano di più di fornire ricette per il periodo quaresimale che ne sarebbe seguito, quando il digiuno imponeva l’astensione dalla carne e dai derivati animali, restringendo le scelte alimentari al mondo vegetale e al pesce. Non mancano nemmeno le voci critiche verso questa festa connotata da eccessi e sregolatezze come quella di Girolamo Savonarola che nelle sue prediche si scaglia più volte contro queste licenze del costume.
Struffoli, berlingozzi e borlenghi
Nonostante i rari riferimenti, già nel Rinascimento appare qualche accenno alle preparazioni tipiche del Carnevale ed è così che veniamo a sapere che esistevano gli “Strufoli alla romanesca” che “si fanno per il più nel tempo del Carnevale” la cui ricetta è strettamente imparentata con quella delle frappe di cui abbiamo parlato qui.
Altra specialità legata al Carnevale, stavolta Toscana, è il berlingozzo, una sorta di ciambella di forma rotonda che prende direttamente il nome dal “berlingaccio” ovvero il giovedì grasso. Francesco Alunno nel 1584 sottolinea che il berlingozzo non si deve confondere con lo “zuccarino” - che evidentemente doveva avere una forma simile - perché il berlingozzo non era zuccherato e inoltre era più grande e di pasta più dura.
La ricetta dei “Belingozzi alla senese” la fornisce nel 1570 Bartolomeo Scappi cuoco di Papa Pio V. L’impasto era realizzato con sole uova, farina e poco sale, tenuto piuttosto morbido -l’autore suggerisce di utilizzare 16 uova per poco più di un chilogrammo di farina- che viene diviso in due ciambelle da sovrapporre dopo averle bagnate con l’albume in modo che si attacchino tra loro. Prima di infornare il dolce vi si praticano tre tagli (probabilmente sulla superficie) e si spennella con uova sbattute e zucchero.
La radice del nome berlingaccio sembra rimandare anche a una specialità dell’Appennino modenese: il borlengo. Per chi non lo conoscesse, si tratta di cialda rotonda sottilissima, praticamente trasparente che, ancora calda, viene tradizionalmente condita con un battuto di lardo aglio e rosmarino e una spolverata di Parmigiano grattugiato. Questa golosa specialità è ormai slegata dalle feste di Carnevale e, se capitate nel modenese, vi consigliamo caldamente di assaggiarla.
Lasagne e maccheroni dolci
È però nell'Ottocento che appaiono nuovi piatti dedicati al Carnevale, tra cui le lasagne descritte dal napoletano Ippolito Cavalcanti nel 1837. Questa sontuosa preparazione era composta da larghe tagliatelle condite con sugo di stufato, polpette, fette di mozzarella e poteva essere addolcita con zucchero e cannella, con un forte richiamo alla tradizione rinascimentale.
Lo zucchero è protagonista anche in una seconda specialità di pasta, ovvero il pasticcio di maccheroni, ripreso anche da Artusi nel 1891 e da Ada Boni, nel “Talismano della felicità” del 1927. Questo “piatto famoso dei buongustai romani, e gioia dei conviti Carnevaleschi”. come lo descrive Ada Boni - già all’epoca della redazione del ricettario si poteva considerare una specialità di altri tempi della quale si stava perdendo la tradizione. Nel ricchissimo pasticcio, i maccheroni sono conditi con sugo di brasato senza pomodoro oltre a “animelle, fegatini, creste, ovetti, funghi freschi o secchi, polpette di carne, pezzetti di salsiccie ecc.”, il tutto ricoperto di crema pasticcera (sì, proprio la crema pasticcera con uova e zucchero), racchiuso infine da una crosta di pasta frolla dolce. Come se non bastasse, una volta cotto in forno, questo straordinario timballo veniva spolverato con abbondante zucchero vanigliato prima di essere servito. Si potrebbe considerare un antenato delle paste dolci di Carnevale.
Tra blinis russi e sanguinacci napoletani
Carnevale, si sa, è tempo di piccoli dolci e Alberto Cougnet ne “L’arte cucinaria in Italia” del 1910 ci ricorda che esistono “le sfrappole a Bologna, co’ crostoli o galani a Venezia, co’ cenci o bioccoli a Firenze, cogli intrigoni a Reggio Emilia, colle ganse a Nizza, ecc.”. Ma il suo ricettario testimonia anche una vera e propria infatuazione per i blinis russi che contagiò il nostro paese tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo. Cougnet riporta l’usanza per cui in Carnevale “nelle case ricche, almeno due volte per giorno, i servitori circolano, intorno alle tavole, colle guantiere d’argento, dove, sulle salviette ricamate a punti policromi, stanno impilati i blinis. Questi pasticcetti vengono accompagnati, a parte, da salse al burro fuso, o da panna montata; oppure da uova sode finamente tritate, che servono a spolverare i blinis, ed altre simili salse dolci, creme, e via dicendo”.
Sul versante dei dolci al cucchiaio non si può invece non citare il sanguinaccio alla napoletana (ne abbiamo parlato qui).
La ricetta che ci fornisce Ada Boni in sé è piuttosto semplice, composta da una morbida crema pasticcera a cui vengono aggiunti cioccolato fuso, pinoli e canditi tritati, ma replicarla oggi è piuttosto complicato venendo a mancare il sangue di maiale cotto, quell’ingrediente che l’autrice trovava “in vendita da tutti i norcini”.
a cura di Luca Cesari