Cos’è il cibo halal e come è sviluppato in Italia
Immaginiamo ondate di turisti che arrivano in Italia e si ritrovano a doversi accontentare di un piatto di pastasciutta e pochi altri prodotti. Buoni, ma di certo non sufficienti per mostrare la bellezza e la forza del made in Italy. È quello che accade quotidianamente ai musulmani, nonostante il mercato internazionale halal sia stato quotato 2 miliardi di dollari e i musulmani nel mondo – secondo quanto riportato da Pew Research – rappresentino il 23% della popolazione dell’intero Pianeta. Una parola conosciuta perlopiù per il cibo, halal – letteralmente, lecito - ma che si applica anche ai comportamenti e alle interazioni tra le persone all’interno di una comunità. Il contrario di haram, il proibito, come l’alcol o la carne di maiale. Non c’è una vera lista di alimenti consigliati dal Corano, piuttosto una serie di norme per regolamentare la produzione della carne che riguarda il benessere dell’animale, a cui deve essere garantita una vita sana fino al momento della macellazione, e che prevede il totale dissanguamento prima della vendita. Una dieta non poi così restrittiva, ma che fatica ancora ad attecchire in Italia. Andando così a perdere un turismo milionario in continua espansione.
Le certificazioni halal in Italia
Ne abbiamo parlato con Wiaam Ahmad della World Halal Authority, l’ente di certificazione internazionale e formazione halal. Una realtà nata “per rispondere alle esigenze delle aziende italiane ed europee, e soprattutto quelle dei consumatori”, da tempo tra gli enti più accreditati a livello internazionale e l’unico riconosciuto in Italia per un’ampia gamma di categorie merceologiche. Ma come funzionano, esattamente, le certificazioni? “Forniamo un disciplinare tecnico standard di riferimento, con una serie di requisiti che, una volta soddisfatti, possono garantire all’aziende il certificato halal”. Aziende di gastronomia, servizi di catering, ristoranti, strutture alberghiere e ricettive, punti vendita, “e più in generale tutto il settore del turismo”: a essere vagliati non sono solo ingredienti e tecniche, ma l’intera parte logistica, “dai magazzini ai macchinari”, un esame che coinvolge ogni fase della produzione tramite analisi di laboratorio e documenti, “a cui chiediamo di avere accesso per controllare tutte le materie prime utilizzate”. E dopo? “C’è un vero e proprio audit presso le sedi produttive delle aziende, per garantire che i processi interni siano adeguati agli standard”. Che siano tracciati, sicuri, “per la salute umana e quella degli animali”, che siano etici “sotto ogni punto di vista, benessere degli operatori in primis”.
Il mercato halal in Italia, tra ristoranti e mense scolastiche
Insomma, un processo minuzioso che porta con sé una serie di parole complesse. Etica, morale… ma cosa si intende, precisamente? “Un cibo halal è innanzitutto un cibo lecito, sobrio, sano”. Un alimento sicuro? “Esattamente. Privo di sostanze nocive o potenzialmente dannose, prodotto tramite processi tracciati, messi a punto in modo da tenere in considerazione il benessere di tutti”. Un cibo che racchiude in sé “un grande valore etico”, quello della preservazione della salute, “tra i requisiti più noti, per esempio, c’è l’assenza dei derivati del maiale, del sangue soprattutto, proprio perché considerato veicolo di infezioni”. Un cibo decoroso, adeguato… e richiestissimo. “Purtroppo, non c’è una risposta a questa domanda. L’offerta in Italia è modesta, le poche realtà che si sono affacciate al mercato halal sono i ristoranti di cucina internazionale che offrono magari anche piatti marocchini o turchi, ma non è un numero sufficiente per soddisfare la richiesta di mercato”. E non solo per gli adulti: spesso sono i più piccoli i primi a pagare le conseguenze di questo mancato sviluppo, poiché il concetto di cibo halal è ancora poco diffuso nelle mense scolastiche, “molti genitori alla fine sono costretti a richiedere una dieta vegetariana o comunque priva del tutto di carne per sopperire alla mancanza di opzioni adeguate”.
Ramadan, pasti concessi e il senso di convivialità
Eppure, il potenziale del mercato halal in Italia non è per niente quello di una nicchia. “Riceviamo continuamente richieste di informazioni da turisti in giro per l’Italia che chiedono consigli su dove mangiare ma quasi sempre dobbiamo comunicare che non ci sono strutture certificate”. E pensare che la cucina italiana non è poi così lontana dalla cultura halal, “basterebbero davvero pochi accorgimenti per proporre comunque gran parte della tradizione ai musulmani”. Mancano ristoranti e negozi appropriati, ma anche iniziative volte a far crescere e sviluppare il settore, “c’è stato qualche tentativo in passato ma non ha funzionato granché. Occorre un’operazione di comunicazione attenta per far comprendere al meglio i princìpi dell’alimentazione halal, che non sono poi così complessi”. Prendiamo il Ramadan, per esempio, attualmente in corso fino alla sera del 20 aprile: tutti conoscono almeno una persona che in questi giorni sta osservando il digiuno, ma in quanti sanno cosa avviene al momento della rottura? “La bellezza di questo periodo – mese sacro che corrisponde al nono mese lunare – è il senso di convivialità”. Parola d’ordine: ospitalità, “ci si raduna e si condivide il cibo, le cene sono abbondanti e fatte insieme alla comunità, non solo la propria famiglia o il cerchio di amici più stretti”. Due i pasti principali previsti, il suhur, “poco prima dell’alba, in modo da poter essere di supporto durante la giornata”, e poi l’iftar, “al tramonto”, che finisce sempre con tanti prodotti di pasticceria, “datteri e in generale molti dolci”.
Cosa mangiare durante il Ramadan
Difficile stabilire dei pasti tipici del periodo del Ramadan, considerando che la religione islamica è condivisa da più Paesi con abitudini e tradizioni diverse. Ciò che accomuna tutti è la differenza tra suhur e iftar: il primo è generalmente un pasto più leggero, a base di yogurt, frutta secca e fresca, mentre al tramonto ci si concedono piatti più abbondanti, pietanze ricche e sostanziose, e gli immancabili datteri, zuccherini e perfetti per recuperare le forze a fine giornata. Si consumano anche molte zuppe come la shorba, a base di lenticchie e verdure, oppure i kibbe, fatti con carne macinata e bulgur, e ancora l’haleem, lo stufato con orzo, carne, lenticchie e spezie, l’ideale per rifocillarsi dopo le ore di astinenza. Fondamentale la frutta fresca e secca, i prodotti dolciari da forno e anche i succhi di frutta, oltre a varie bevande fredde utili soprattutto quando il Ramadan cade in estate.
a cura di Michela Becchi