Muoversi nel mondo della ristorazione è quanto di più complesso ci sia. Allora perché non ricorrere all’aiuto di clienti e operatori del settore affezionati all’insegna? Lo ha fatto una caffetteria di Milano, dimostrando il gran potenziale delle raccolte fondi (nel 2019 lo aveva fatto con successo anche Forno Brisa, e da poco ci ha provato anche il birrificio Baladin).
Cafezal, un modello solido di caffetteria a Milano
Il destino di Carlos Bitencourt, probabilmente, era già scritto. L’ingegnere italo-brasiliano ha imparato ad amare il caffè a Londra, già forte della tradizione del Brasile – maggior produttore al mondo – e quella italiana dell’espresso. Il suo Cafezal, bar e torrefazione a Milano ha aperto le porte nel 2018, puntando proprio sull’unione di più culture: oggi conta tre sedi, a cui se ne aggiungeranno presto altre (e non solo in Lombardia) grazie a una raccolta fondi dall’esito straordinario.
L’ingegnere che ha scommesso sul caffè
Con l’equity crowdfunding lanciato su Mamacrowd in soli quattro giorni ha raccolto 650mila euro, supernado il suo obiettivo (ora si punta al massimo di 1.2 milioni). Un successo che conferma la solidità di un’azienda – 23 dipendenti in tutto, 18 tonnellate di caffè tostato vendute nel 2023 – che può crescere ancora molto. Ma come si sviluppa, in Italia, un modello simile? Lo abbiamo chiesto al creatore in persona.
Cafezal ha conquistato tutti. Chi è stato a investire?
Un bel mix di persone. Alcune di queste le conoscevo già, ma si tratta di una decina appena. Non ho idea di chi siano gli altri, ho visto che sono persone del mondo del caffè ma anche amici di amici.
Cos’è che li ha convinti a investire?
Forse molti stavano aspettando quell’occasione. Mamacrowd è un sito frequentato dagli investitori, alcuni potrebbero averlo trovato per caso, magari volevano scommettere sul caffè e questa è stata l'occasione giusta.
Per molti, però, non è stata una scelta casuale.
Nessuno investe dei soldi se non c’è un progetto solido e chiaro alla base, a prescindere dalla cifra. Il nostro piano era chiaro e abbiamo cercato di rendere il processo il più fluido possibile.
Ovvero?
Un imprenditore deve sempre pensare a lungo termine e proporre progetti comprensibili, nitidi. E deve anche avere chiara la value proposition, il valore che si promette di fornire ai clienti dopo l’acquisto, ciò che rende appetibile il prodotto – in questo caso l’attività – agli acquirenti. Naturalmente, serve anche esperienza: noi lavoriamo su Milano in maniera costante da sei anni, il bilancio è in positivo, abbiamo una squadra solida. Insomma, non ci stiamo improvvisando.
Quant’è stata utile, in questi anni, la formazione da ingegnere?
In Brasile si dice industrial, qui potremmo definirmi un ingegnere gestionale. Mi occupavo di ottimizzazione dei processi, della logistica, per anni sono stato consulente per la Boston Consulting Group… tutto questo in un’azienda è fondamentale. E più Cafezal crescerà, più credo mi torneranno utili queste conoscenze.
Ma Cafezal come ha fatto a fidelizzare così tanto i clienti?
Lavoriamo con persone di Milano ma anche con tanta clientela internazionale, soprattutto stranieri che vivono qui e che da Cafezal ritrovano un po’ di quell'atmosfera contemporanea che all'estero è la normalità.
Però avete conquistato anche i milanesi.
Vero. Ho sempre dato priorità al prodotto, puntiamo sulle singole origini, ma abbiamo anche un blend della casa, il Garibaldi. La qualità è fondamentale ma prima di tutto c’è il servizio: ho voluto puntare su un caffè che fosse buono ma fruibile da tutti. A me piace chiamarlo caffè democratico.
Che intendi per caffè democratico?
Non mi piace la nicchia, credo che il mondo specialty debba uscire dalla sua bolla: va bene informare i clienti, ma bisogna farlo con i modi appropriati. Lo zucchero, per esempio: invito a non utilizzarlo, ma non insisto mai. Il più delle volte dopo l’assaggio tutti si convincono che non ce n’è bisogno.
I caffè di Cafezal riprendono il gusto italiano?
In parte. Con i monorigine mi diverto di più, la miscela è pensata per accontentare un po’ tutti, partendo però sempre da una gran qualità. In Italia, così come in America Latina, c’è una propensione al dolce. E non solo: gli italiani amano anche l’amaro, basti pensare alla liquirizia, l’amaro dopo cena, il sigaro toscano… per molti altri popoli questi gusti non hanno senso, qui sono importanti, e io credo che possa esserci spazio per tutti.
I tuoi caffè hanno una dolcezza pronunciata?
Anche. Mi piace accentuare la dolcezza naturale del caffè con una struttura di corpo medio, così da riuscire ad avvicinare più persone.
Quanto costa un espresso da Cafezal?
Si parte da €1.50 per il blend, un prezzo che non squalifica la materia prima e non spaventa la clientela.
Nessuna lamentela, quindi?
Oggi a Milano è un prezzo medio, a prescindere dalla qualità. Ricevevo più proteste i primi anni, quando costava €1.30: i prezzi ormai si sono alzati un po’ ovunque.
Ma proporre caffè specialty in Italia oggi è possibile?
Non è ancora facile, ma bisogna avere un piano iniziale ben chiaro. Poi qualsiasi forma di imprenditoria ha i suoi rischi.
I più grandi?
I cali di mercato, le attese, i ritardi nelle aperture… per non parlare delle chiusure momentanee, che in questi anni abbiamo subito più volte. Un imprenditore non può spaventarsi, bisogna sempre avere un piano B oppure inventarlo: quando si decide di mettersi in proprio si sa che le cose non saranno sempre lisce.
Com’è la scena dei caffè specialty a Milano?
Sta crescendo, ma non siamo ancora arrivati a quel boom che ci si aspettava. Ci vorrà ancora qualche anno ma poi ce la faremo.
A breve?
Secondo me, sì. Sento che tra un paio d’anni ci saranno nuove insegne, non necessariamente aperte da persone del territorio, magari imprenditori che vengono da altre zone.
Alla fine, a questi 1.2 milioni di euro ci arriverai davvero.
Speriamo! La raccolta fondi è aperta fino al 28 marzo, quindi se il sostegno degli investitori continua, credo proprio di sì.
Cafezal – Milano – via Solferino, 27 – Viale Premuda, 14 – Corso Magenta, 96 - cafezal.it/
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