La storia di Marco Roscioli raccontata dal figlio Pierluigi «Ci ha insegnato a trovare il giusto bilanciamento tra umanità e azienda»

4 Mar 2024, 13:08 | a cura di
Marco Roscioli se ne è andato il 9 febbraio lasciando ai figli Alessandro, Pierluigi e Maria Elena un'eredità che va ben oltre la florida azienda

Marco Roscioli, scomparso il 9 febbraio, è stato una leggenda della panificazione romana. Una storia che parte da lontano, come ci racconta il figlio Pierluigi «Papà era originario di Rocca di Montemonaco, un piccolo paese delle Marche, ed è venuto qui a Roma a soli undici anni in cerca di emancipazione, anche economica. La sua era una famiglia di pastori ma i fratelli della mamma – pure loro facevano Roscioli di cognome! - erano tutti panettieri».

Undici fratelli, tutti maschi, tutti e undici panettieri. A partire dal primo, Franco. «Franco andò negli Stati Uniti e tornò con la macchina per tagliare il pane in cassetta, era un visionario, è stato lui a portare la famiglia Roscioli sulla strada del pane». È lui a convincere i fratelli ad andare a Roma, insegnando loro il mestiere. «Man mano ognuno ha aperto una propria attività in varie zone della Capitale, dalla Roma “pasoliniana” della Maranella fino al centro. Una volta finita la forza lavoro dei fratelli, cominciò la “transumanza” dei nipoti». Con la “transumanza” dei nipoti arrivò pure Marco Roscioli.

La dinastia dei Roscioli

«Ha cominciato in via della Maranella, dallo zio Franco, poi si è trasferito in via Venezia e dopo qualche anno di gavetta ha deciso di rilevare, dalla famiglia Belmestieri, l'attuale forno in via dei Chiavari». Un antico forno presente nel Rione della Regola sin dalla prima metà dell’Ottocento: un editto papale predispose che ci fosse proprio in via dei Chiavari un forno che vendesse il pane a prezzi accessibili alle persone indigenti, e la censita vaticana datata 17 agosto 1824 conferma il tutto. «Era il 1972. In quegli anni ci fu una vera espansione dei Roscioli a Roma, alcuni sono ancora in attività, come il forno di mio zio a Piazza Vittorio o quello dell'altro zio in via Buonarroti, o il banco al Mercato Esquilino di mia cugina, poi c'è il Forno di Campo de' Fiori che è dell'ultimo dei fratelli di mia nonna rimasto in vita, Mario, però è gestito da una società, Roscioli-Bartocci, sono altri due miei cugini», spiega Pierluigi. Non gli nascondiamo di avere le idee un po' confuse. «La maledizione dei Roscioli», ride.

Marco Roscioli e Anna Fidani pic Maurizio Camagna_

Foto di Maurizio Camagna

Il matrimonio con Anna Fidani

Dopo l'Antico Forno Roscioli Marco ha aperto la pizzicheria in via dei Giubbonari nel 1992 (diventato nel 2002 il Ristorante Salumeria Roscioli come lo conosciamo oggi). Parliamo dello spirito imprenditoriale di suo padre. «Era un uomo pragmatico, “forgiato” dalla campagna. Ma il merito di aver fatto i giusti investimenti va dato anche a mia mamma Anna. Si sono sposati molto giovani, lei aveva quindici anni e mezzo, lui nemmeno ventuno. Potrebbe sembrare un matrimonio riparatore, mamma era incinta di Alessandro, ma si sono amati per tutta la vita, quest'anno avrebbero fatto 54 anni di matrimonio. Ad ogni modo mamma è sempre stata una brava amministratrice e la coppia ha funzionato negli affari di famiglia grazie alla matematica e al lavoro applicato».

Quando si investe umanamente su una persona, non si perde mai”

Il più grande insegnamento che vi ha lasciato? «Non mettere mai l'aspetto imprenditoriale davanti a quello umano». Pur avendo organizzato il funerale in forma privata e non vicino al forno, volutamente, le quattrocento persone presenti in chiesa, tra amici, dipendenti ed ex dipendenti, hanno confermato questo suo insegnamento e la bontà di questo insegnamento. «Non essere spietati dal punto di vista imprenditoriale e cercare il giusto bilanciamento tra umanità e azienda; una tendenza di oggi (forse più a parole che nei fatti), all'epoca non scontata. Forse se siamo riusciti in qualcosa, io, Alessandro, Maria Elena e chi sta con noi, è grazie a questo equilibrio, che continuiamo a mantenere nonostante ormai i dipendenti siano arrivati a quota duecento». Pierluigi ricorda di aver visto passare in azienda moltissime persone che venivano da situazioni particolari: «Abbiamo avuto tanti dipendenti che facevano una sorta di affidamento post carcere, seguendoli, a volte, anche negli aspetti legali. Ricordo che con Alessandro – Pierluigi e Alessandro sono entrati giovanissimi in azienda, ndr – ci si domandava spesso: ma perché? Nostro padre ci rispondeva che ognuno ha qualcosa da dare. Ed è la verità. Chiaro, non sempre questo percorso di riabilitazione è andato a buon fine, abbiamo avuto grandi delusioni, ma anche nelle delusioni papà cercava sempre la parte positiva. Diceva che non si perdeva mai quando si investiva umanamente su una persona: o si imparava una lezione o si riceveva della gratitudine».

Alessandro, Maria Elena e Pierluigi Roscioli

Il rapporto con i figli

Tanto era tollerante con i suoi dipendenti, quanto era poco indulgente con i figli: «Perdonava più volentieri fuori casa, che a casa, credo per la volontà di insegnarci qualcosa nonostante non avesse studiato». Marco non aveva una grande formazione scolastica ma almeno la terza media se la portò a casa. «Diceva sempre che era arrivato qui a Roma in corriera e con il diploma di scuola elementare, quindi si iscrisse alle serali per prendere almeno la terza media, che gli consentì quanto meno di parlare correttamente l'italiano. Considerate che fino a undici anni lui ha fatto il pastore in una realtà abbastanza depressa dal punto di vista economico, la volontà di finire le medie era un altro modo per emanciparsi, umanamente ed economicamente». È stato lui ad affidarvi la gestione o ha fatto un po' di resistenza? «La gestione idealmente non ce l'ha mai affidata! Fino a poco tempo fa ancora si sorprendeva di come non avessimo fallito. “Non riesco a capire come riuscite a stare ancora aperti”, diceva, abbiamo scherzato proprio su questo pochi giorni prima che morisse. Lui era un uomo pratico e di una semplicità assoluta, per papà non serviva ingrandirsi ulteriormente, era un rischio inutile per lui. Almeno su questo si è sbagliato». Oggi Roscioli, anche grazie al laboratorio in via Augusto Armellini, arriva a produrre 25 quintali di pane al giorno. Solo per comprendere la potenza di fuoco che Roscioli è diventato con gli anni.

Il ciambellone con la ricetta originale di Marco Roscioli

C'è una cosa, però, che è rimasta invariata negli anni: la ricetta del ciambellone. “Lui lo chiamava ciambellotto». Il ciambellotto di Mario, di origine marchigiana anche questo, è senza mistrà perché gli ricordava l'aroma dei semi di finocchio che detestava, finivano sempre in mezzo ai denti. «Papà aveva i denti davanti un po' separati e con i primi soldi messi da parte ha pagato un dentista serio per sistemarglieli, ma i semi di finocchio ha continuato ad odiarli». Oltre al ciambellone, semplice come in fondo era lui, altro prodotto immancabile per volere di Roscioli senior era la pizza al formaggio. «La voleva provare sempre in anteprima, non era mai soddisfatto, c'era sempre qualche difetto per quello che era il suo gusto “ancestrale”. Ciambellone e pizza al formaggio non li abbiamo mai abbandonati, un po' come lui non ha mai abbandonato le sue Marche. Forse non se n'è mai andato dalle Marche».

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