Nei gesti, nelle atmosfere e nei profumi della Napoli di un tempo: è qui che si devono ricercare le origini della pizza fritta. Quella che raccontava De Sica ne “L’oro di Napoli”, a rievocare l’anima popolare partenopea. Che si è conservata e rinnovata. Anzi, sta diventando un'occasione anche per gli chef che la usano come ‘piatto di portata’ e ne esaltano le caratteristiche in espressioni assolutamente moderne.
La pizza fritta
Un pentolone d’olio bollente, gli attrezzi giusti, pochi gesti e un prodotto antico... che oggi vive un nuovo corso. Soffici e asciutte montanare sono infatti entrate di diritto tra i fritti che precedono la tonda al forno, da nord a sud, condite con le più diverse specialità regionali: dalla classica con pomodoro basilico e Parmigiano (o Grana), a quella con la genovese, al ragù napoletano. Stefano Callegari a Roma da Sbanco ci ha messo sopra il buonissimo pollo alla cacciatora e il sugo della coda alla vaccinara.
Ciro Oliva a Napoli da Concettina Ai Tre Santi ha creato la sua montanara con ricotta di fuscella di bufala, pancetta e zest di limone, Marco Manzi di Giotto a Firenze la condisce con pomodoro San Marzano, pesto di basilico e crema di Parmigiano Reggiano 24 mesi e persino Stefano Vola, di Vola Bontà per Tutti in quel di Castino serve in apertura delle soffici e buonissime mini-montanare. E seguendo la scuola di Franco Pepe e della sua Crisommola (la pizza fritta dolce con cui si è aggiudicato il primo premio dato a una pizza dolce su la Guida Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso), in molti la propongono a fine pasto, in versione dessert.
Tradizione e tendenza
Sulla fritta oggi ci lavorano in tanti e piace a tal punto che finisce persino nei ristoranti. Una storia e l’evoluzione del prodotto popolare napoletano per eccellenza che ripercorriamo con Enzo Piccirillo, patron e pizzaiolo de La Masardona (Tre Rotelle, ovvero il massimo dei voti, sulla Guida Pizzerie del Gambero), uno dei pochi locali interamente dedicati alla fritta rimasti a Napoli e in Italia.
La Masardona era Anna Manfredi, la nonna di Enzo, che nel dopoguerra faceva pizza fritta per strada. “All’epoca erano in molte a farlo, per portare economia in casa, era una buona opportunità. Non serviva un’attrezzatura troppo complicata da improvvisare in strada, bastava un bruciatore, un focone, dei cocchi e del carbone, si tirava fuori la tavola e si era pronti per friggere”, racconta Piccirillo.
Ogni donna aveva il suo giorno della settimana, per esigenze dettate proprio dalla preparazione (l’impasto si faceva tutto in casa e a mano), e per una questione di rispetto, si stava attenti a non farsi concorrenza. “Mi ricordo ancora quando ci fu il terremoto a Napoli, per strada si usciva poco, ma il mercoledì iniziammo alle 5 a fare le pizze e alle 8 avevamo già finito tutto l’impasto”, continua il pizzaiolo. Nel giro di qualche anno la famiglia di Enzo si ritrovò con un’attività avviata, quella di una pizzeria abusiva fuori la porta di casa, che riscontrava un gran successo. “Avevo ventidue anni quando abbiamo deciso di trasformarla in una pizzeria vera e propria e questo devo dire ci ha salvato e ci ha dato la possibilità di essere quello che siamo oggi”.
Perché tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80 la pizza fritta se l’è vista brutta. Nemica del colesterolo e delle prime norme igieniche Asl, la buonissima dorata iniziò a sparire tra i vicoli di Napoli. “In strada prima ce n’erano davvero tantissimi, eppure a fare pizza fritta negli anni ’80 eravamo rimasti noi e De‘ Figliole. Oramai eravamo un nome conosciuto, a comprare a La Masardona venivano da tutto il quartiere e non solo, anche dai limitrofi, lavoravamo soprattutto con la nostra città”.
La rivoluzione della qualità
Oggi lo scenario è tutt’altro. Perché la rivoluzione della qualità e il boom mediatico che ha investito il mondo della pizza si è trascinato dietro anche quello della fritta, trasformandola completamente nell’immaginario collettivo: da alimento grasso elaborato in un luogo unto e bisunto a trasgressione di grande piacevolezza a cui abbandonarsi non più tanto di rado. “Nel 2014 con mio figlio Cristiano siamo andati a presentare lo street food napoletano per eccellenza a San Sebastian al congresso Gastronomika. L’attenzione per la pizza fritta è stata davvero incredibile e dopo le prime perplessità abbiamo conquistato anche il pubblico”. Un cambiamento che si registra soprattutto se si guarda alla clientela attuale de La Masardona: “È composta al 90% da chi da ogni parte della città (ma non solo) vuole provare il nostro prodotto e per il 10% dai nostri fedelissimi del quartiere, quasi lo stesso nella nuova sede che da un paio di anni ha aperto mio figlio Salvatore in piazza Vittoria”. Quando si parla di fritta, la logistica del locale - va detto - fa la sua parte e Piccirilo conosce bene i rischi di chi accende l’olio bollente alla mattina presto e smette di friggere alla sera: cattivo odore, vetri unti, vestiti dei clienti marchiati per sempre dalla fragranza tutta partenopea. “Lavoriamo moltissimo sulla pulizia, sul ricambio dell’olio, sul mantenere una temperatura sempre costante e questo non solo per questioni di odore, ma soprattutto per la qualità del prodotto”. Si tratta in effetti di una preparazione molto semplice sulla carta, ma che necessita di grandissima attenzione a ogni singolo passaggio.
Si parte dalla pasta, una ricetta che Enzo si porta dietro (con le dovute evoluzioni) da i tempi di sua nonna. Da questa si tagliano le pallette per quelle che poi saranno le pizze fritte (due dischi sovrapposti ripieni) o i battilocchi (un disco di pasta ripieno chiuso a mezzaluna). E ora veniamo alle fantastiche farciture: la "completa" ha ciccioli di maiale, provola, pomodoro, ricotta; ci sono quella senza pomodoro e con il salame. E poi ci sono le variazioni che negli anni hanno piacevolmente modificato il menu de la Masardona, con qualche proposta che arriva dai figli di Enzo: “Io sono un grande fan della tradizione, ma mi rendo conto che qualche divagazione sul tema ogni tanto non può che far bene”.
L'importanza degli strumenti
Dopo la farcitura, che deve essere ben dosata e ben chiusa con la pasta, ammaccata per l’esattezza, si passa alla frittura. Partiamo dagli strumenti: friggitrice o pentola con bruciatore, spido (il ferro che tiene fermo il disco di pasta), la schiumarola. Si immerge la pizza o il battilocchio, si tiene ferma con lo spido e si irrora continuamente con la schiumarola. Al momento giusto si solleva e si lascia asciugare, si serve caldissima. Il consiglio di Enzo è di mangiarla con le mani, di rompere la pizza intorno, scoperchiarla un poco e fare la scarpetta piano piano. Un prodotto ben fatto lascerà la bocca pulita e si digerirà facilmente. «Per questo quando i clienti fanno i complimenti io dico sempre loro che dopo qualche ora sarebbero ancora più graditi!»
Per Franco Pepe la fritta non è altro che l’arte pratica di fare la pizza. “Per me era un dovere lavorare su un prodotto così popolare. Come mi piace proporre da sempre nel mio locale la pizza a libretto, mi sono messo a lavorare anche su questo altro grande pilastro dello street food campano”. Fare bene per rilanciare un prodotto, perché riacquisti identità e valore: Franco in questo è un vero maestro.
Questioni di forma: dalla tonda ai coni
“Chi fa bene la fritta oggi e chi l’ha sempre fatta ha dovuto fare i conti con un prodotto considerato pericoloso per la salute e ai limiti delle norme igieniche - spiega Pepe - certo, qualche pentolone nero che girava per Napoli ci avrà messo del suo, ma è importante ribadire che chi lavora bene su quel prodotto può tirar fuori risultati meravigliosi. Noi, da Pepe in Grani, abbiamo voluto dargli una veste nuova. Siamo partiti studiando il modo di utilizzare la materia prima sul disco di pasta fritto. Con la Sensazioni di Costiera, per esempio: pomodoro ramato a fette, al centro di ciascuna fetta peperoncino, aglio in polvere (per evitare l’olio agliato su un prodotto fritto) l’acciuga di Cetara, il prezzemolo e la zesta di limone. Così come con quella con la mortadella, abbiamo creato delle rose di mortadella, sulle rose abbiamo messo ricotta di bufala, che difficilmente avremmo potuto mettere la ricotta su una base fritta calda, una polvere di pistacchio e scorza di limone”.
La vera rivoluzione, per Franco, è arrivata con i coni, Ciro primo tra tutti. Un involucro di pasta leggera e asciutta (l’impasto è lo stesso delle tonde) che accoglie una fonduta di Grana Padano 12 mesi, pesto di rucola e oliva caiazzana disidratata. “Oggi è senza dubbio la preparazione più richiesta nella mia pizzeria ed è proprio dal successo riscontrato che ho deciso di creare un menu ad hoc, Assoluto di Fritto”. Si parte dai conetti e dalle fritte salate, fino alle tonde dolci. Già perché Franco ha sdoganato anche un altro dei cliché legati al mondo della pizzeria e in questo caso non solo napoletana: la pizza dessert. Per lui è fritta con confettura di albicocca del Vesuvio, ricotta di bufala profumata al limone, nocciole tritate e menta (la famosa Crisommola), per suo figlio Stefano Pepe è pizza fritta farcita con Falernum, sfoglia fredda di fiordilatte aromatizzata all’arancia, cioccolato fondente fuso, foglia di menta, fior di sale, scorza d’arancia con ciliegia sotto spirito, la buonissima Cerasella. Il percorso si abbina alle bollicine: Champagne soprattutto, ed è uno dei più gettonati di Caiazzo. In barba alla lotta ai grassi e ai carboidrati, a riprova che se un prodotto è ben fatto la frittura non può che essere un valore aggiunto: leggero, asciutto e buonissimo proprio come una montanara.
a cura di Sara Bonamini
foto di Danilo Donzelli
Articolo uscito nel mensile di dicembre del Gambero Rosso. Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store
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