Il 19 marzo, che per molti è il giorno della festa del Papà, ricorrenza proveniente dall’America dove fu istituita nei primi del Novecento, è anche la festa di San Giuseppe celebrata in tutta italia con i dolci tipici. Una commemorazione che in Sicilia è accompagnata da rituali, cerimonie, tradizioni e piatti tipici che rappresentano la devozione dell’isola su cui convergono tradizioni diverse.
San Giuseppe nella tradizione della Sicilia
In molti paesi della Sicilia, questa festa è - da sempre - un momento speciale che coinvolge numerose persone, riportando alla luce tradizioni che risalgono a culto dellle divinità pagane. Il 19 marzo, infatti, è la vigilia dell’equinozio di primavera, giorno in cui si svolgevano i riti dionisiaci, baccanali contraddistinti da una smisurata dissolutezza, celebrazione e auspicio di fertilità. San Giuseppe, inoltre, oltre a essere il papà adottivo di Gesù, nella tradizione popolare è il patrono di falegnami e artigiani ed è anche il protettore delle orfani, delle nubili e dei poveri, proprio per questo c’è il costume di preparare un ricco banchetto che, nei vari paesi, è chiamato in diversi modi: cena, ammitu, artaru, tavulata.
Il rito della Tavola di San Giuseppe
Originariamente offerto ai bisognosi e agli orfani del vicinato (i vicineddi o virgineddi), il banchetto è una tradizione che risale al ‘700 come ringraziamento da parte dei devoti per una grazia ricevuta: una leggenda racconta di una grave siccità che causò in Sicilia una incessante carestia. Molti morirono di fame, e i siciliani invocarono San Giuseppe, pregandolo di liberare l’isola. A seguito di questo episodio fu preparata la “Tavola di San Giuseppe”: un altare decorato con cibi prelibati e speciali, fiori e altri oggetti per ringraziare il Santo dei miracoli. Da allora, ogni anno, in molti paesi si rinnova questa tradizione. Secondo altre credenze, soprattutto dell’entroterra dell’isola, il banchetto rappresenterebbe il pranzo di consolazione (il consolo) portato alla Madonna per la morte di San Giuseppe.
Anche oggi le Tavole nascono in segno di ringraziamento per una grazia ricevuta o come voto. Sono allestite da famiglie devote che, per la preparazione delle pietanze, chiedono la collaborazione di parenti, amici e vicini di casa, perché è proibito comprare cibo pronto e perché, secondo la tradizione, San Giuseppe esige per l’allestimento un intenso lavoro, che richiede l’aiuto di chiunque voglia contribuire. I lavori per la realizzazione iniziano infatti diversi giorni prima.
In diversi posti, il 18 Marzo tutto deve essere pronto, perché viene fatta la benedizione degli “altari” e durante la sera e la notte numerose persone visitano le tavolate, segnate da insegne luminose con scritto W San Giuseppe. Numerosi sono i posti dell’isola in cui si onora il Santo e diversi sono i modi.
La Tavola di San Giuseppe a Santa Croce Camerina
Nella Sicilia orientale, a Santa Croce Camerina, la celebrazione della festa risale al 1832, quando - per solennizzare la festa del Santo - si preparavano grandi tavolate, le cosiddette “Cene”, che ancora oggi i fedeli fanno.
Su una coperta colorata, che fa da sfondo alla tavolata, ci sono arance amare e limoni. Al centro c’è un piccolo altare con un quadro della Sacra Famiglia, davanti al quale si accende una lampada, ai lati si trova il grano fatto germogliare al buio. Sulla tavola ci sono piatti caratteristici molto semplici: baccalà, polpette di riso, frittate agli asparagi, pasticci di spinaci e uva passa, vari tipi di biscotti e dolci, cubaita (dolce tipico fatto con sesamo, miele e mandorle), torrone, mostata e altri dolci tipici del luogo, primizie, ortaggi, fiori profumati e, naturalmente il Pane di San Giuseppe, vero protagonista, chiamato anche “pani pulitu”, lavorato e decorato con diverse forme simboliche. Il 19 a pranzo, ai tre ospiti che rappresentano la Sacra Famiglia, è servita la tipica pasta di San Giuseppe: “a principissedda”
La Tavola di San Giuseppe a Leonforte
A Leonforte, in provincia di Enna, San Giuseppe è il più amato e venerato tra i Santi. Secondo un’opinione comune, sembrerebbe che la tradizione delle tavolate - che nel corso degli anni hanno mantenuto, più o meno, la loro ritualità - sia stata introdotta a Leonforte dalla famiglia del Principe Branciforti intorno al 1630. Queste, venivano e vengono tuttora imbandite di ogni ben di Dio per renderle più belle e allestite secondo un preciso rituale: una tavola grande ricoperta di candide tovaglie, il “cielo”, cioè il tetto dell’altare, fatto con veli da sposa disposti ad arte come un baldacchino, piante con germogli di frumento e di lenticchie, lampade accese che illuminano tutto. Sul fondo, al centro della stanza, c’è il quadro di San Giuseppe circondato da angeli. Sulla tavola ci sono tutte le primizie, frittate di cardi e finocchi, torte di diversi formati, salami di cioccolata, sfingi, pagnoccata (dolce tipico della festa) e tanto altro ancora, ma l’alimento che abbonda più di tutti è il pane, che al di là dell’uso alimentare, diventa offerta e dono votivo, strumento di solidarietà e di aggregazione, oggetto di propiziazione e di ringraziamento. Oltre al pane tradizionale, si preparano pani votivi chiamati cuddure (nella forma simili a corone di fiori) che rappresentano le diverse caratteristiche simboliche del Santo, secondo il Vangelo.
Per ogni tavolata viene stabilito il numero di Santi, che deve essere dispari, da un minimo tre a un massimo di trentatré - simbologia numerica legata alla Trinità, alla Sacra Famiglia e agli anni di Cristo - scelti tra le persone più povere, che il 19 marzo all’ora di pranzo mangeranno sia quello che verrà loro preparato, sul momento - generalmente pasta con le fave e i ceci, o la pasta con le sarde e il finocchietto selvatico - sia ciò che si trova sulle tavolate. Quello che resta verrà riposto in un grande recipiente e distribuito per essere portato a casa.
Le famiglie che decidono di allestire un altare, gli riservano una stanza della loro casa che aprono alle centinaia di visitatori durante la lunga veglia del 18, tradizionalmente la notte del “transito” di San Giuseppe, cui viene distribuito del cibo: polpettine di finocchio selvatico, cardi fritti in pastella, ceci bolliti, sfingi, pane, preparato assieme a quello destinato all’altare.
La Tavola di San Giuseppe a Castel di Lucio
In provincia di Messina, a Castel di Lucio, il 19 marzo le famiglie che avevano fatto il voto organizzavano il pranzo “delle verginelle”: in cui veniva riservato un posto nella tavola addobbata a un’immagine del Santo. Da diversi anni l’amministrazione comunale, per non far perdere la tradizione, si è sostituita alle famiglie e il 19 organizza la tavolata tipica “delle verginelle” in un locale del Comune in cui chiunque, secondo l’antica tradizione, può prendere un posto a tavola senza essere invitato. Il menù del pranzo prevede fagioli, cardi in pastella fritti, finocchio selvatico bollito e condito, baccalà in pastella fritto, pane e arance. Quest’anno saranno ospitati diversi profughi perché il Comune ha aderito a un progetto di accoglienza.
La Tavola di San Giuseppe a Salemi
Anche a Salemi, in provincia di Trapani, la tradizione delle Cene di San Giuseppe è molto sentita. Il periodo della festa dura un’intera settimana, ma la celebrazione vera e propria si svolge il 19 marzo. Da oltre 20 anni è diventata una tradizione a cui l’amministrazione e la Pro-loco hanno dato grande importanza. Le persone devote offrono la Cena a tre bambini bisognosi, che rappresentano la Sacra Famiglia, secondo la tradizione passata. Per l’occasione vengono preparate 101 pietanze diverse, con tutto ciò che la natura rende disponibile in quel momento, tranne la carne, perché si è in Quaresima. Tra queste ci sono frittate di carciofi, di asparagi, di finocchi, le polpette di finocchi, i cardi in pastella fritti, le uova, gli spaghetti con la mollica di pane non tostata, mescolata a olio, zucchero, cannella e un pizzico di prezzemolo tritato, i dolci e, naturalmente gli immancabili pani, realizzatiti in modo particolare, per questo chiamati “gioielli di pane”.
La cena è allestita in una struttura dalle linee rinascimentali a casa di privati o in associazioni in cui è appeso un quadro con la Sacra Famiglia, con tessuti di lino, foglie di alloro e mirto, decorati con i tipici pani dalle svariate forme, in segno di abbondanza, e con arance, limoni e fiori. Chiunque organizzi la cena può scegliere o di aprire le porte della sua abitazione per mostrare ai passanti il proprio altare, oppure può decedere di non farlo e offrire la cena ai tre bambini, assolvendo così il proprio voto.
La festa di San Giuseppe, un mix di fede, tradizione e suggestione che riveste ancora il suo fascino.
a cura di Cristina Barbera