Galeotto fu il rognone. Cracco, Baronetto, Scabin e ancora Bartolini, Camanini (che riprende Apicio nel suo mitico rognone alla pressa): nell’alta cucina italiana non c’è frattaglia dell’animale, forse, che abbia avuto la popolarità (anche divisiva) del rognone. Particolarità di quest’organo? La coltre spessa di candido grasso che lo avvolge: se nella cucina classica veniva scartato, oppure utilizzato come involucro di cottura (come nel rognone à la coque), oggi, la musica è cambiata.
Grasso come ingrediente
Il sego - così si chiama l’estrazione del grasso che circonda il cuore e il rognone dei bovini - è un grasso molto versatile, che può essere conservato relativamente a lungo senza refrigerazione, a patto che non sia a contatto con l’aria, pena l’irrancidimento (che però da qualche tempo alcuni chef considerano non necessariamente un difetto). Complice la formazione francese e nordeuropea di molti giovani cuochi, che aiuta a sdoganare l’utilizzo del grasso in cucina, il grasso animale in genere oggi viene rivalutato come ingrediente in sé, sia per ragioni etico-ecologiche (diminuzione degli sprechi), sia come fattore d'ispirazione creativa. Sulla scia dell’approccio “dalla testa alla coda”, il consumo intero dell’animale, “nose to tail”, portato alla ribalta storicamente in Inghilterra da Fergus Henderson negli anni Novanta.
Il grasso nella cucina della chef Valeria Piccini
Più silentemente, anche in Italia, c’è chi dell’animale non ha mai buttato via nulla, perché erede della cultura di campagna. Come Valeria Piccini, fin dagli anni ’80, grande cuoca che ha sublimato la tradizione maremmana, con le frattaglie a far la parte del leone. Non a caso, in questo percorso sul grasso, ritroviamo anche il suo zampino: sia perché è stata maestra di alcuni dei giovani chef di cui parleremo, sia perché lo scorso ottobre, nell’ultima edizione di Identità Golose (edizione digitale, ovviamente), ha preparato una pasta con un’emulsione di grasso di bistecca di manzo alla brace e acqua di Grana Padano, con grattugiata finale di cuore di manzo essiccato. Valeria 1 – Spreco 0.
La cucina di Marzapane infrange i tabù
Vuole una cucina diretta, immediata, di sostanza Mario Sansone quando, nel 2019, avvia la seconda vita del suo ristorante romano, Marzapane, dopo aver interrotto il rapporto con la chef spagnola Alba Esteve Ruiz (che ora gestisce la cucina dell’Antica Fonderia, con proposte delivery molto interessanti). Le scelte nel team sembrano pienamente coerenti con questo approccio: dal principio dell’esperienza come Executive Chef, Francesco Capuzzo Dolcetta, oggi affiancato nel ruolo da Guglielmo Chiarapini, mette in campo gli elementi di una cucina circolare, senza fronzoli, concreta, che parte dai fondamentali, come l’autoproduzione di salumi, l’affinamento delle carni, i fermentati (approfondito lo studio di aceti - ne abbiamo parlato nel numero di febbraio 2020, andate a recuperarvelo - e agrumi).
La chiave che, però, dà inizio a un’evoluzione più personale e identitaria dell’insegna è, probabilmente, l’utilizzo del grasso di rognone. “Avevamo intenzione di proporre una rivisitazione di terra degli spaghetti con le vongole in un piatto con grasso di manzo, al posto dell’olio, e lumachine di mare condite con aglio e prezzemolo”, spiega Francesco (che ci aveva già raccontato in questa intervista il suo percorso nelle cucine francesi e giapponesi): da lì, via via, la preparazione è stata affinata per sottrazione, finché in carta non è si è posizionato il capellino con burro di manzo affumicato, limone e polvere di liquirizia, subito una firma della casa.
A ogni carne il suo grasso: la parola agli chef
“Il grasso di rognone è super versatile: nella tradizione francese si usava per ricoprire le costate durante la frollatura e per le cotture”. Da Marzapane, una volta separato dal rognone, viene affumicato con il Green Egg (che sta per essere sostituito da una grande griglia fatta su misura): si avvia il barbecue a fiamma bassa, si posiziona legna umida - dai sarmenti di vite alla quercia - e quando comincia a salire il fumo, si poggia il grasso sulla griglia. A quel punto, colando le prime gocce di grasso, la fiamma si alza all’istante e dà quella bruciacchiatura che ricorda il caratteristico sapore della brace. A coperchio chiuso, il fuoco si abbassa e si lascia affumicare per qualche minuto. “Il grasso diventa molto giallo, lo tagliuzziamo, lo mettiamo in casseruola e lo lasciamo sciogliere a fiamma bassissima. Conserva tutti gli odori del fumo”. E con lo stesso grasso affumicato qui si manteca anche il risotto allo zafferano, omaggio di Chiarapini alla sua prima esperienza professionale al Marchesino di Milano.
I grassi e i fondi nella cucina dello chef Dolcetta
Nei due la formazione francese spinge a una consapevolezza particolare nella preparazione dei fondi e nell’uso dei grassi. “Siamo tra i pochi a preparare, per ogni animale, un fondo dell’animale corrispondente” racconta Francesco. E quindi fondo con ossa di agnello per l’agnello, fondo con ossa di maiale per la cottura del maiale e così via, per bovini, anatre, polli, germani. “In Francia abbiamo imparato che tutte le salse si montano col burro, che ispessisce la consistenza e conferisce dolcezza. Noi, invece, le montiamo con i grassi stessi che estraiamo dai diversi animali: è tutta un’altra cosa dal punto di vista del sapore, ma anche della consistenza, con una stabilità completamente differente”. Sull’onda di questa modalità “verticale” di lavoro nasce un piatto come il rognone, topinambur, falso pepe: rognone cotto confit per una decina di minuti nel suo grasso (alla temperatura di 70 gradi circa), una salsa in cui il fondo di rognone viene montato con il grasso di rognone, topinambur alla brace e foglie di falso pepe in aceto.
La scelta del grasso giusto
L’affinamento delle carni è l’altro caposaldo della squadra di Marzapane: si chiama fat aging l’uso di affinare la carne con una copertura di grasso di maiale, di bovino o nel burro. Il taglio da frollare viene completamente rivestito e messo in cella frigorifera tra 0 e 3 gradi: rispetto ai dry aging, c’è un minor calo di peso della carne e minor scarto al momento di pulirla. Capuzzo Dolcetta e Chiarapini lavorano su diversi fronti, anche qui per ogni carne con il suo grasso: il collo di suino Nero dei Nebrodi (che arriva dall’allevamento della famiglia Agostino, nel messinese) stagiona nella sua sugna per 20 giorni, con una picanha bovina si è arrivati a circa 45 giorni, le cosce d’anatra affinano nel loro grasso per una settimana almeno. Le sperimentazioni sono tutte in divenire, ma da una cosa non si scappa: “Tutto parte dal prodotto: se le bestie mangiano male, il grasso farà schifo”.
QUESTO è NULLA...
Nel mensile di dicembre del Gambero Rosso trovate tutti gli altri chef che utilizzano il grasso nella loro cucina. Qualche anticipazione? Tommaso Tonioni di Achilli al Parlamento, Floriano Pellegrino e Isabella Potì di Bros, Davide Caranchini di Materia, Sebastian Frank dell’Horváth di Berlino e tanti altri. In più, vi sveliamo le tecniche culinarie del Disfrutar di Barcellona e i segreti per l’impiego del grasso in panificazione di Gabriele Bonci. Potrete consultare anche i detti popolari relativi al grasso, i pareri degli esperti e la mappa di tutti i ristoranti italiani che stanno facendo ricerca in questo senso. Il grasso non è più un tabù!
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testo a cura di Pina Sozio
foto di Alberto Blasetti