Global Brooklyn, il libro sullo stile dei locali
È una mattina di agosto a Varsavia, una delle prime giornate calde dopo giorni di pioggia e cielo scuro e Fabio Parasecoli e Mateusz Halawa sono seduti al caffè Relaks. Attorno a loro, giovani baristi tatuati che servono i clienti, una grande lavagna con il menu completo di tutte le estrazioni del caso, ai tavoli a fianco le persone sorseggiando le bevande, chiacchierano, scrivono al computer, lavorano. È un’atmosfera ormai familiare, facilmente riconoscibile un po’ ovunque, quella di una caffetteria che molti definirebbero “hipster”. Ma cosa si cela veramente dietro questo stile, così uniforme eppure così diverso a seconda del contesto socio-culturale in cui è inserito? È da questa semplice domanda che i due autori del libro Global Brooklyn, edito da Bloomsbury e pubblicato lo scorso 16 gennaio in lingua inglese, sono partiti per la loro indagine.
Gli autori
Due colleghi, ma prima ancora cari amici che già da anni collaborano e condividono lo stesso modo di lavorare. Mateusz Halawa è un etnografo esperto e un ricercatore appassionato, Fabio Parasecoli è giornalista, scrittore enogastronomico e docente di cultura del cibo che da molti anni ha scelto New York come sua casa: è a lui che si devono i primissimi corsi delle scuole del Gambero Rosso, gli inizi della Città del gusto e delle lezioni di gastronomia. Ed è lui a raccontare come è nata l’idea di Global Brooklyn, “nome che abbiamo scelto per via della forza caratterizzante del quartiere newyorkese, anche se si tratta in realtà di uno stile che viene in parte anche da Seattle e Berlino”. Un look comune a tanti negozi, bar, ristoranti, pub, che nel 2017 incuriosisce così tanto gli autori da spingerli a iniziare un’accurata ricerca sull’argomento.
Come è nato il libro Global Brooklyn
Si rivolgono così a professionisti di tutto il mondo, gastronomi ma anche designers, architetti, attivisti, agricoltori, “c’è anche chi a Rio de Janeiro ha messo su una rete di mercati contadini”. Perché se è vero che quello del Global Brooklyn è uno stile facilmente riconoscibile, è altrettanto vero che le interpretazioni dello stesso cambiano molto a seconda della zona, “per questo abbiamo voluto capire che tipo di esperienza offrissero i locali negli altri Paesi”. Alcuni elementi sono comuni a tutti: “L’estetica è quella post-industriale, con muri a vista e pavimenti di cemento, tanti oggetti di recupero inseriti in maniera originale, come le biciclette appese alle pareti”. Fondamentale, poi, l’atmosfera, “stiamo andando sempre più incontro al design dell’invisibile, che coinvolge una serie di esperienze, servizi e modi di fare. Si pensa all’atmosfera giusta più che al prodotto di design in sé”. La cura del cliente è infatti alla base di questa tipologia di locali, “baristi e camerieri sono preparati, spiegano ogni dettaglio e consigliano”. I prodotti sono perlopiù naturali, provenienti da aziende etiche e sostenibili, artigianali, di nicchia.
Il ruolo dei social media nella diffusione dello stile
Elementi ben definiti che qualunque consumatore è in grado di richiamare alla mente. Ma da dove vengono? Più che da un luogo specifico, come si legge nel primo capitolo, questi temi “vivono nello spazio digitale dei social media”. Scorrendo la bacheca Instagram, per esempio, è facile incappare nella foto di una caffetteria con baristi dalla lunga barba e la camicia bianca che versano del caffè filtro sullo sfondo di uno spazio tutto legno e acciaio contornato da piante da interno: “Tutti questi elementi ridondanti trasmettono la stessa sensazione di cura, attenzione al dettaglio, comfort e accoglienza, riflettendo un approccio al servizio che abbandona le formalità per focalizzarsi su ciò che conta: l’esperienza del consumatore (e, in questo caso, anche lo spettatore)”. Pagina dopo pagina, con uno stile fluido, diretto e coinvolgente, Parasecoli e Halawa raccontano come questa atmosfera così familiare si è sviluppata a Parigi, Rio, Mumbai, Copenhagen e molte altre città in diversi continenti, accompagnando i testi con una galleria fotografica straordinaria, ricchissima, capace di tradurre graficamente le parole degli autori.
La percezione del ruolo del cameriere
In molti scatti si possono ammirare giovani di tutto il mondo alle prese con estrazioni o preparazioni di drink. È un’altra caratteristica da non sottovalutare, l’età del personale e soprattutto il motivo che ha spinto queste persone a lanciarsi in un settore fatto di duro lavoro, orari impossibili, turni faticosi e poche ferie: non più disoccupati o studenti vogliosi di racimolare qualche soldo, ma “ragazzi preparatissimi, colti, perlopiù laureati, che si re-inventano”. Quello che per molto tempo è stato considerato “un mestiere proletario, che può essere il macellaio o il ragazzo di bottega, qualsiasi professionalità che coinvolga la sfera manuale”, ora diventa un sogno per molti, un ruolo a cui aspirare, “non è solo accettabile culturalmente, ma auspicabile”.
Il look dei camerieri e la cultura hipster
Anche lo stesso barista, quindi, presenta nella maggior parte dei casi delle caratteristiche estetiche distintive, dalla barba lunga al papillon nero. Hipster, verrebbe da dire: ma è proprio così? “A Brooklyn sì, è sicuramente un’espressione della cultura hipster. Il trasferimento dei tanti millenials nel quartiere fa parte del grande processo di gentrificazione ed è la base su cui poggia questo stile”. In ogni contesto, però, questo modello cambia forma, assume un nuovo carattere, pur mantenendo molti dei tratti originari. Perché ciò che per alcuni Paesi può essere scontato, per altri è un’avventura nuova, magari rischiosa. Prendiamo The Slow Bakery a Rio de Janeiro, citata nel libro: “Nonostante l’enfatizzazione dei prodotti e le tradizioni locali, andare alla Slow Bakery significa accettare il gusto globalizzato che ha preso piede anche in Brasile”. Nel 2019 il forno che ha fatto parlare di sé perché ha portato a Rio il concetto di pane artigianale fatto con farine di qualità, grani antichi e lievitazioni lente, ha cambiato sede e ora si trova “in compagnia di altre panetterie di nicchia che hanno aperto a Rio e nelle maggiori città brasiliane”. Un’altra forma di lavoro manuale che “è stata elevata a uno stato sociale più alto, visto che anche le persone più colte e abbienti vengono coinvolte”.
Il Global Brooklyn… a Brooklyn
Parigi, Copenaghen, Chicago, Melbourne, Roma (presente con Litro, Porto e L'Osteria di Birra del Borgo), Barcellona… sono tante le città prese in esame nel libro, e ancora di più le tematiche trattate in ogni capitolo. E forse è proprio con Brooklyn, dove tutto è partito, che è giusto chiudere il cerchio. Un luogo che attualmente vanta produzioni artigianali di livello, che non sono però un’invenzione moderna, ma il prodotto di tante trasformazioni urbane avvenute negli ultimi tre secoli: “Molte delle zone in cui le birrerie artigianali sono oggi simbolo della gentrificazione di Brooklyn, un tempo ospitavano le industrie della più fiorente produzione commerciale”. Posti come Williamsburg o Bushwick sono stati infatti famosi per molto tempo proprio per le grandi birrerie aperte dagli immigrati tedeschi. Negli Anni ’70, quando queste imprese non c’erano più, iniziarono a fare capolino i primi birrai indipendenti, che rivoluzionarono gradualmente il settore grazie al rapporto di fiducia con il consumatore, “mentre le vecchie birrerie erano solo luoghi di produzione inaccessibili al pubblico, le nuove erano degli spazi comuni”. E così la birra artigianale è diventata prima di tutto un argomento di conversazione, concetto alla base di quello che è diventato oggi uno stile internazionale. Nonostante le tante variazioni nel mondo, Brooklyn resta il cuore di questo modello, “punto di origine dei valori, dell’estetica e del gusto”.
Global Brooklyn, Fabio Parasecoli e Mateusz Halawa – ed. Bloomsbury - $21.56 - bloomsbury.com/us/global-brooklyn-9781350144491/
Per la galleria fotografica, fabioparasecoli.com/global-brooklyn-gallery/
a cura di Michela Becchi
foto di apertura di Truth Coffee, Città del Capo