Cos’è e come nasce il curry
Definire il curry una spezia è tecnicamente errato. Si tratta, infatti, di un mix di spezie sapientemente miscelate fra loro, usato specialmente nella cucina indiana per insaporire piatti di carne, verdure o pesce. Quello che la giornalista del New York Times Jane Holt nel ‘41 descriveva come un “raro ragù orientale”, era in realtà un condimento già conosciuto al tempo, e documentato anche nel libro di ricette “The Virginia Housewife” del 1824. L’origine del curry sembra risalire al Quattrocento, quando i portoghesi giunsero in India alla ricerca di alcune spezie, tra i prodotti più preziosi al mondo a quel tempo. Lì scoprirono degli stufati speziati addensati con latte di cocco, che chiamarono carel, dalla parola in lingua tamil kari, che la storica del cibo Colleen Taylor Sen, autrice del libro “Curry: A Global History”, traduce come “salsa speziata”.
L’origine della parola curry
Prima di lei, già Lizzie Collingham nel suo “Curry: A Tale of Cooks and Conquerors” aveva dato un significato al termine: “mordere”. In qualsiasi caso, come si intuisce dal titolo della Collingham, quella del curry è una storia di conquiste e dominazioni, soprattutto di conquistatori. Gli inglesi, per la precisione, che presero subito in prestito la parola carel. A farlo fu la Compagnia Britannica delle Indie Orientali costituita a fine Seicento, che nel giro di un secolo aveva strappato il dominio mercantile al Portagallo. Oltre al carel, che in lingua inglese è diventato curry e si è iniziato a usare per descrivere un’ampia gamma di stufati speziati preparati dai cuochi nativi, che adattarono le loro ricette tradizionali, dal sapore intenso e complesso, per andare incontro al palato degli invasori non abituato all’uso delle spezie.
Il curry, dall’India all’Inghilterra
Si deve proprio agli inglesi gran parte del successo internazionale del curry e più in generale della cucina indiana: non c’è da stupirsi che a Londra, così come in tante altre città britanniche, si trovi una serie di ristoranti indiani deliziosi, che realizzano piatti classici proprio come da tradizione. I burocrati inglesi, al contrario dei dominatori portoghesi, non erano soliti mettere radici: andavano e venivano dall’India in continuazione, portando ogni volta con loro i sapori della terra conquistata. A metà del Novecento qualsiasi ricettario inglese contava almeno una ricetta con il curry e le farmacie del Regno Unito, che in passato vendevano anche le spezie, cominciarono a mettere a disposizione il mix in polvere. Mentre in Inghilterra impazzava la moda del curry, in India le compagnie inglesi producevano e commercializzavano il mix con il nome “The Empress” (L’Imperatrice), e lo vendevano non solo a Londra ma anche allo stesso pubblico indiano.
La diffusione negli altri Paesi
Un dettaglio da non sottovalutare, considerando che proprio gli indiani consentirono agli inglesi di far fronte alla mancanza di manodopera dopo l’abolizione della schiavitù del 1833. Negli anni seguenti, fino al primo decennio del Novecento, più di un milione di indiani lavorarono nelle piantagioni di canna e gomma alle Mauritius, le Fiji, in Sud Africa, Guyana e i Caraibi, in cambio di qualche razione di riso, lenticchie e curry. La domanda e il costo delle spezie in Europa, però, nel frattempo era precipitato. Gli inglesi decisero allora di commercializzare qualcosa di ben più prezioso: l’oppio. Per farlo in sicurezza al ritorno dalla Cina, dove era stato bandito, dovettero però stabilire degli insediamenti negli stretti a Penang, Malacca e Singapore, dove arrivarono carichi di droga e anche curry, ormai immancabile sulle tavole degli inglesi.
Il curry in Cina, Tailandia e Giappone
Il successo del mix orientale fu immediato. Dapprima a Hong Kong, dove venne chiamato gah-lay in cantonese e aggiunto ai vermicelli di soia, e poi in Tailandia, Paese che già vantava una sua versione originale, il kaeng, ma che grazie alla polvere inventò quello che oggi è chiamato curry giallo, in lingua originale kaeng kari, fatto con curcuma, cumino e coriandolo. È stata poi la volta del Giappone: nel 1868 l’imperatore Meiji rinnovò, dopo oltre 200 anni, il libero scambio, che nel Paese scatenò una vera mania per i piatti occidentali, fra cui anche il curry, considerato specialità del West nonostante la sua origine orientale. A rendere popolare l’abbinamento con il riso furono invece i militari: sotto il governo di Meiji la marina cercò di rafforzare i soldati attraverso un’alimentazione altamente proteica, e il curry si rivelò fondamentale per insaporire piatti altrimenti poco gustosi. Si mangiava anche tanto riso, diffuso poi dai sudditi imperiali rimpatriati sulla scia della Seconda Guerra Mondiale. Alcuni portarono riso e curry in Corea del Nord, dove i pacchetti di curry inviati dalle famiglie rimaste in Giappone divennero una sorta di valuta in tempi di magra.
Le varianti del curry
Alla fine, il curry fece ritorno a casa. In India, però, il termine viene usato prettamente nei menu internazionali scritti in inglese o per indicare generalmente piatti a base di sugo, mentre il mix di spezie viene chiamato masala. Nel tempo, sono poi nate moltissime versioni di curry: c’è il tandoori, che deve il suo nome al forno e metodo di cottura tandoor dell’India del Nord, simile al tikka, che però si differenzia per l’uso del pollo disossato (in entrambi i casi, la carne o le verdure vengono marinate con yogurt e spezie e cotte nel tandoor). Celebre è poi il tikka masala, invenzione inglese che unisce la cottura tikka con un sugo di cipolle, pomodori e spezie, mentre dallo Sri Lanka arriva il Ceylon, fatto con cocco, lime a un curry particolarmente piccante. Le varianti sono moltissime, tutte gustose e aromatiche, da accompagnare a riso e magari a un po’ di raita, la tipica salsa di yogurt, cetrioli, cumino e coriandolo, perfetta per smorzare l’intensità delle pietanze speziate.
Le ricette con il curry
Ravioli di rapa rossa con crema al curry
Alette di pollo marinate con yogurt, curry e spezie
Pollo al curry e riso basmati
a cura di Michela Becchi