È il panino per antonomasia, da spaccare in due e farcire con ogni bendidio per un pranzo al sacco che non stanca mai: merenda dei più piccoli, pausa pranzo dei lavoratori, la ciabatta fa parte dei pani tradizionali italiani, pur essendo in realtà un prodotto di storia piuttosto recente. Nelle boulangerie francesi, quei paradisi dell’arte bianca dove trovare croissant, quiche e baguette, si trova già da tempo, ma quest’estate tra i fornai d’oltralpe si è aperto un dibattito: olio sì o olio no?
La ciabatta, il panino italiano nato negli anni '80
Si sa, in cucina ogni ricetta è soggetta a discussioni, diatribe, e ogni prodotto cambia a seconda della mano dell’artigiano, della zona, del passare del tempo. Più curiose sono le storie che ruotano attorno a dibattiti simili: per esempio, per molto tempo, francesi (ma non solo) hanno pensato che la ciabatta fosse la risposta italiana alla baguette francese, una specie di mossa strategica per fare concorrenza alla grande panificazione delle boulangerie, teoria che ha alimentato ancora di più quell’eterna competizione tra le due cucine, entrambe ricche, entrambe buonissime. Una gara gastronomica di lungo corso: vino, cioccolato, formaggi, alta cucina… è sempre una sfida aperta, quella tra Francia e Italia. In questo caso, però, i fatti parlano chiaro: la ciabatta è stata inventata da Arnaldo Cavallari negli anni ‘80 per salvare il mulino di famiglia in tempo di crisi. Lo specifica anche Alessandra Pierini, italiana trapiantata a Parigi, autrice ed editor della trasmissione On va Degustér, oltre che co-autrice dell’omonimo libro: “Vedendo che importavamo il pane dall’estero, congelato, per fare i panini, Cavallari decise di farne uno lui stesso”.
Il successo della ciabatta italiana
La storia è questa: originario di Adria, in Veneto, Cavallari ha messo a punto insieme a un amico fornaio una ricetta povera, senza grassi, e quindi senza olio d’oliva, pensando una miscela di farine adatta per la preparazione, così che il mulino potesse risollevarsi dalle difficoltà economiche. Vero è che il giovane girò molto per riuscire a studiare il prodotto, lasciandosi ispirare anche dalla baguette francese. Una lievitazione lenta e una buona percentuale di acqua furono i trucchi usati per dare vita a uno dei pani più famosi del mondo. Cavallari lo ribattezzò ciabatta polesana (Polesine è la regione del Veneto della provincia di Rovigo) ma poi negli anni è passato alla storia, più semplicemente, come ciabatta. Un pane croccante fuori e ben alveolato all’interno, ideale da farcire a piacere. Fu un successo in Italia ma anche negli altri Paesi: è del ’99 un articolo del Guardian che racconta la tanto popolare ciabatta italiana, diventata un punto fermo tra gli scaffali del supermercato da quando la catena Marks & Spencer l’ha introdotta nell’85.
A contribuire alla larga diffusione del pane furono soprattutto gli Autogrill, che scelsero la ciabatta come panino simbolo della sosta in autostrada, farcito e piastrato. Ma come deve essere una buona ciabatta? Secondo la Pierini “deve avere una mollica bianchissima, molto aerea, una buona idratazione” e va servita possibilmente tostata. Per rispondere ai dubbi dei francesi, comunque, in origine l’olio non era tra gli ingredienti previsti. Col tempo, però, ogni panificatore che si rispetti ha cominciato a sperimentare con il prodotto, quindi non è raro trovare ricette diverse che comprendano anche l’extravergine.