Settembre, tempo di conserve di pomodoro. Se vi piace (ovvio), avete tempo (fondamentale) e una squadra di amici o parenti che vi aiuta (buon per voi) è il momento di farle in casa. Se non ci sono queste condizioni l’alternativa è sotto casa, il negozio di alimentari o il supermercato, che offrono un’ampia scelta di prodotti, spesso con pomodori figli di innesti e selezioni fatte in laboratorio (se non dell’ingegneria genetica). Per i pelati vengono preferite le varietà a frutto allungato “a lampadina” tipo San Marzano, mentre i pomodori tondi sono destinati a polpe, passate, cubettati e concentrati. Riscuotono un certo successo anche i pomodorini, i cherry tomatoes, conservati interi con la loro buccia, indicati per sughi veloci e per accompagnare il pesce.
Un tempo veniva impiegato quasi solo il San Marzano, il pomodoro da sugo per eccellenza. Nel secondo Dopoguerra è stato prima decimato da un virus, poi scalzato da ibridi selezionati per resistere a malattie e parassiti e per sopportare la lavorazione meccanizzata (primo fra tutti il pomodoro Roma, il più richiesto dalle industrie), infine negli ultimi trent'anni al centro di un'operazione di salvataggio che ha portato alla Dop.
Operazione San Marzano
Figlio del sole, dell'acqua e del fuoco. Cresce ai piedi del Vesuvio, terra ricca di sostanze organiche e di minerali, e vicino alle brezze marine. La sua bontà viene soprattutto da lì. Eppure, lo stavamo perdendo: alla fine degli anni '60 era in via d'estinzione. A salvarlo sono stati i giapponesi. Furono loro, più di trent'anni fa, a ricreare la domanda. «Noi volere pomodoro San Marzano», dicevano. Cercavano la qualità e soprattutto pagavano. Così è partita l’“operazione San Marzano”.
Grazie ad alcuni contadini che avevano custodito i semi autoctoni originali e al Centro Ricerche Cirio (non più attivo), che aveva conservato il germoplasma, nella metà degli anni ‘90 il San Marzano è stato recuperato attraverso un lungo lavoro di ricerca – negli orti locali e in laboratorio – di varietà migliorate vicine all'originale. I pregiati perini della tradizione campana hanno ripreso a rosseggiare nella Valle del Sarno, a metà strada tra Napoli e Salerno. Tante piccole realtà agricole che lo coltivano a impalcature fatte di paletti di legno e fili di ferro, come la vite, lo raccolgono uno alla volta a mano quando sono belli rossi e maturi, da luglio a settembre. Nel 1996 è arrivata la Dop “San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino”. Nel 1999 è nato il Consorzio di tutela.
Le due anime genetiche del San Marzano: Kiros e 20 SMEC
Forma a lampadina allungata, pelle sottile, due fossette laterali, una codina appuntita alla base, polpa delicata, gusto rotondo, non molto dolce e con un'amabile nota aspra. Il San Marzano, considerato il re dei pomodori e sinonimo di pummarola, vive una condizione di dualità. Il Consorzio di tutela riconosce solo la selezione Kiros (ex Cirio 3) e le linee migliorate – le uniche che si possono fregiare della certificazione “pomodoro San Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino” – e lo vuole rigorosamente pelato nel rispetto della Dop. I produttori del Presidio Slow Food preferiscono l’ecotipo 20 SMEC ma «possono usare tutte le 32 popolazioni presenti nella banca del germoplasma regionale» precisa Patrizia Spigno, agronoma, responsabile Slow Food del Presidio.
Il San Marzano fresco che si compra al mercato e quello trasformato intero con la buccia o sotto forma di filetti e di passata non si possono fregiare del marchio comunitario. Un paradosso che testimonia il potere delle industrie. «La certificazione europea è stata richiesta soprattutto da loro, si sono costruiti la Dop addosso, come una camicia» commenta Sabatino Abagnale di Terra Amore e Fantasia, che usa la selezione 20 SMEC del Presidio e continua a confezionare il San Marzano con la buccia, orgogliosamente senza certificazione ma solo con la forza della sua etichetta: Miracolo di San Gennaro.
Pomodoro inimitabile
Il San Marzano matura sotto il sole estivo a pieno campo, viene raccolto nel momento ottimale e lavorato il meno possibile per mantenerne tutta la sua meravigliosa fragranza naturale. La forza del seme, dei modi di coltivazione e trasformazione, ma anche del terroir: hanno provato a ricreare questa varietà altrove ma non ci sono riusciti – spiegano gli esperti del settore – questo pomodoro è buono perché cresce e matura qui, alle falde del Vesuvio, dove il vulcano in secoli di eruzioni ha regalato un terreno ricco di minerali e di sostanze organiche, e vicino al mare, il che vuol dire clima mite e aria salmastra.
Un territorio che è patria naturale e storica di diverse varietà di pomodori. In particolare le zone intorno al Vesuvio sono l’habitat non solo del San Marzano, ma anche dei pomodorini del piennolo del Vesuvio (Presidio e Dop) e del corbarino. Non a caso Cirio (storico marchio legato al pomodoro, dal 2004 nel gruppo Conserve Italia) nel 1900 trasferì lo stabilimento da Torino a San Giovanni a Teduccio, alle porte di Napoli, in prossimità delle zone di coltivazione. E la prima ricetta di pummarola, la “salsa di pomodoro alla spagnuola”, descritta nel trattato di cucina Lo scalco alla moderna di Antonio Latini, è stata pensata e pubblicata proprio a Napoli tra il 1692 e il 1694.
Il San Marzano è buono crudo, in insalata, ma dà le migliori prestazioni trasformato. Grazie alla dolcezza pacata e alla nota aspra si presta a lunghe cotture che cambiano l'acidità in dolcezza. Per questo è una varietà adatta per diventare conserva. Un impiego oltretutto amico della salute. Studi clinici hanno evidenziato che la trasformazione del pomodoro rende più facilmente assimilabile il licopene, uno dei più formidabili antiossidanti contenuto negli alimenti, che ha la funzione di prevenire le malattie cardiovascolari e il cancro.