Novanta anni senza paura, vissuti con fierezza e ottimismo. Il Consorzio del Parmigiano Reggiano, nato nel 1934, ha festeggiato il suo compleanno a cifra tonda con una serata speciale al Teatro Regio di Parma, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Novanta anni – l’età dei nostri nonni e bisnonni – portati alla grande. «Dalla costituzione del Consorzio la produzione è quadruplicata passando dalle oltre 37mila tonnellate dei primi anni alle 161mila tonnellate circa raggiunte nel 2023, pari a più di 4 milioni di forme – spiega Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano –. Massimo storico anche nel giro d’affari al consumo, 3,05 miliardi contro i 2,9 del 2022, con un aumento del 5%. Trend positivo pure nelle vendite in Italia, con una crescita di quasi l’11%, e nell’export, una quota che rappresenta il 43%, con un incremento del 5,7%».
Un risultato dovuto a un marchio forte, alla Dop (ottenuta nel 1996), al territorio, all’antica storia di questo formaggio. Ma anche «all’impegno di tutta la filiera e al progresso delle tecnologie di lavorazione, che consentono di aumentare la produzione ma continuando a perseguire i valori della certificazione europea: lavorazione naturale, cura artigianale, rispetto della tradizione, legame con il territorio».
Dove si produce il Parmigiano Reggiano
Il Parmigiano Reggiano è prodotto esclusivamente in una zona circoscritta dell’area padana: nelle province di Parma, Reggio Emilia e Modena, in quelle di Bologna a sinistra del fiume Reno e di Mantova a destra del fiume Po. In questa fetta di terra si concentrano gli allevamenti delle bovine e vengono coltivati i foraggi che compongono il loro menu. Niente insilati, alimenti fermentati e farine di origine animale.
Storia e produzione del re dei formaggi
Il Parmigiano Reggiano è uno dei grandi vecchi della casearia italiana, uno dei pochi nostri formaggi capace di sopportare lunghe stagionature. Ha origini antichissime: nel Trecento era già conosciuto se Giovanni Boccaccio, nel 1351, lo cita nel Decameron nella descrizione del Paese del Bengodi. È nato nel Medioevo grazie ai monaci benedettini e cistercensi, che lavoravano il latte delle vacche allevate nelle grangie, le aziende agricole dei monasteri, e per la salamoia usavano il sale che proveniva dalle saline di Salsomaggiore. L’obiettivo dei frati: fare un formaggio in grado di durare nel tempo. «E produrre il burro» sottolinea Carlo Minelli, ultima generazione del caseificio Malandrone 1477, specializzato nel Parmigiano Reggiano extravecchio fino a 10 anni e anche oltre di stagionatura.
Per questo l’antico formaggio padano è a latte parzialmente scremato, figlio della mungitura mattutina unita a quella della sera precedente alla quale è stata tolta la panna affiorata durante la notte, destinata alla produzione di burro. La lavorazione ha un obiettivo fondamentale: togliere il più possibile acqua dalla massa caseosa, rompendo la cagliata in pezzi minuscoli, anche più piccoli di un chicco di riso, per trattenere quasi solo il grasso e le proteine del latte, e stufando le forme a 55 °C.
La sostenibilità: il progetto Prodotto della Montagna
In questi 90 il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha affrontato sfide (frodi, imitazioni e concorrenza dei vari “parmesan”, due guerre mondiali, l’abbandono delle zone di montagna…) e recepito input, esigenze e suggestioni dell’agroalimentare. Per esempio, il PR ottenuto da particolari razze di vacche in purezza (rossa, bianca modenese, bruna alpina), non solo dalle frisone, la macchina da latte per eccellenza. O come la possibilità di apporre sulle forme la scritta Prodotto di Montagna, dicitura introdotta nel 2013 con regolamento UE (1151/12) per classificare i prodotti agroalimentari che hanno origine nelle aree di montagna dell’Unione Europea. Il Parmigiano Reggiano rientra in pieno in questa classe di specialità. Più del 21% della produzione della Dop è concentrata negli 83 caseifici di montagna, che impiegano il latte di almeno 800 allevatori per un totale di circa 861mila forme l’anno.
Al di là delle interessanti prestazioni organolettiche, questi formaggi hanno anche altri valori positivi: presidio del territorio, sostentamento delle comunità e delle attività di montagna, «mantenimento di un’agricoltura in zone che altrimenti verrebbero abbandonate, sviluppo di una società modernamente agricola e di un paesaggio riconoscibile e apprezzato dagli abitanti e dal turismo di qualità» continua il presidente Bertinelli.
Parmigiano Reggiano da prati stabili
Anche il Parmigiano Reggiano ha i suoi cru, zone vocatissime per tradizione e alimentazione delle vacche, da dove provengono le forme potenzialmente migliori. Una di queste è la Val d'Elsa, striscia di terra lungo il fiume Elsa, tra le province di Reggio e di Parma, che scende dall'appennino tosco-romagnolo fino alla Bassa formando una specie di T. Epicentro di questo territorio felice e culla del re dei formaggi è considerata la zona di Bibbiano, che gli ha pure dedicato un monumento. Secondo diversi studi, nel monastero benedettino di Bibbiano fu codificata la formula per la produzione del Parmigiano Reggiano. E nel 2008 è nato pure un consorzio, Bibbiano La Culla appunto, per promuovere e tutelare un prodotto che gode di un grande plus: la presenza di prati stabili secolari, con oltre 60 essenze diverse per metro quadro. La Latteria Sociale Nuova di Bibbiano al PR da prati stabili ha dedicato una linea; è nata nel 2018, si chiama 63 Essenze, quante sono le varietà erbacee spontanee presenti in un metro quadrato di terra, come è emerso da un’analisi del terreno, ed è fatta con il latte di mucche alimentate esclusivamente con questi foraggi.