Lo Champagnino in Abruzzo è una cosa seria. E nessuna storca il naso perché l'usanza di annacquare il vino arriva da molto lontano e accomuna paesi e culture differenti.
L'uso di annacquare il vino viene da lontano
“Innacquare, nel senso di diluire o temperare con acqua, soprattutto il vino: egli si vuole inacquare quando altri il bee (Boccaccio)”. Se addirittura la Treccani, quando deve definire il verbo innacquare o annacquare, porta come primo esempio quello del vino, evidentemente un valido motivo c'è. E questo è principalmente storico, infatti l'usanza di aggiungere acqua al vino deriva dagli antichi Greci, i quali ricorrevano a questo escamotage per non offuscare le menti. La miscelazione del vino con l’acqua, preferibilmente fredda, avveniva in grandi vasi conosciuti come crateri, e di solito il rapporto era di tre parti d’acqua e una di vino. Pure gli antichi romani diluivano il vino, anche perché berlo in purezza non era visto di buon occhio.
Lo Champagnino abruzzese
Ma non è necessario scomodare greci e romani per ritrovare questa usanza, pensiamo per esempio allo Spritz, in origine preparato semplicemente con vino bianco e un po' di seltz, o alla versione francese dello Champagne Piscine dove il vino è accompagnato con cubetti di ghiaccio. Insomma, di esempi di vino annacquato ce ne sono a iosa, compreso quello dello Champagnino abruzzese, fatto con vino e gassosa, che ci ha fatto rimembrare il pescarese Angelo Del Vecchio del ristorante Pastorie a Roma: “Veniva utilizzato dai contadini al ritorno dai campi per dissetarsi.”, ci racconta mentre stappa una bottiglietta di Gassosa di Campli, una delle rare aziende italiane che producono ancora gassosa,“Possiamo dire che i contadini siano stati i primi mixologist! Considerate che la gassosa è tra le più antiche delle bibite gassate, le prime tracce risalgono all'Ottocento. Veniva preparata in casa con acqua, zucchero e limone, dentro a delle bottiglie – dai miei ricordi di bimbo le bottiglie erano sempre verdi – poste al sole per far sì che il liquido fermentasse. Una volta se ne consumava in abbondanza, magari aggiungendoci il vino, sempre della casa, che era decisamente preferibile allungare con qualcos'altro”.
La bottiglia Codd
Il nome Sciampagnino, oltre a fare il verso allo Champagne - “era lo Champagne dei poveri” -, sembra derivi dal fatto che queste bottiglie venissero tappate con il sughero. Solo successivamente, con l'industrializzazione della gassosa, si comincia a utilizzare il tappo a corona e preferibilmente la bottiglia trasparente. “La bottiglia diventata più famosa è stata la Codd”, ci racconta Del Vecchio, “quella con una biglia di vetro dentro il collo della bottiglia”. A brevettarla fu il britannico Hiram Codd, proprietario di un'azienda di imbottigliamento a Camberwell, ed ebbe un successo clamoroso anche per il semplice merito di mettere d'accordo più generazioni, “gli adulti amavano mescolare il contenuto con il vino o la birra e poi davano la bottiglietta vuota ai nipotini affinché giocassero con la biglia che vi era all'interno”.
Tanti nomi, un unico obiettivo
Tornando allo Sciampagnino, come spesso accade, ogni paese e ogni famiglia ha il suo modo di prepararlo - c'è chi dice si faccia con tre quarti di vino bianco, meglio se Trebbiano d'Abruzzo, e il resto di gassosa, chi mezzo e mezzo, “io, ad esempio, ho sempre visto riempire il bicchiere con la gassosa e poi colmarlo con il vino, era anche un modo per non consumare tutto il vino prodotto” - e di chiamarlo. Tra i nomi più diffusi: Champagnino, Sciampagnino, Chambagnino, Mezz e Mezz, Lampadina, Manichino e Bicicletta (quest'ultimo indica anche la bevanda fatta con birra e gassosa). “In riviera quando diciamo Bicicletta, è come dire “cominciamo a pedalare, cominciamo a fare festa” perché sulla costa adriatica lo Champagnino si stappa per cominciare a divertirsi. Nelle giornate al mare c'è sempre qualcuno della comitiva che ad una certa propone di stappare, e dunque si inizia a bere vino e gassosa, cominciano i pranzi che spesso si trasformano in aperitivi, cene e notti passate a chiacchierare fino all'alba. Quando si era ragazzi i bagnini a volte ci svegliavano chiedendo quanto avevamo marciato con la bicicletta la sera prima!”.
Al di là degli aneddoti e delle goliardate lo Champagnino in Abruzzo ha un significato simbolico. “Io vengo da una famiglia dove il vino è una cosa sacra, ma anche i ricordi lo sono, così quando ho deciso di proporre come aperitivo lo Champagnino ho voluto restituire ai miei clienti la sacralità del momento in cui lo si beveva, che erano sempre attimi di festa e di spensieratezza”. Pensate che pure in alcune cantine, anche blasonate, lo si preparava per dissetare i clienti che arrivavano in visita.
a cura di Annalisa Zordan