Per loro si potrebbe coniare, se non esiste già, la definizione di “nerd gastronomici” essendo riusciti - in pochi anni - a combinare con successo la passione per i numeri, i calcoli e le strutture con quella per la gastronomia. L’informatica, a dire il vero, arriva prima del gusto, quando i ravennati Stefano, Tommaso, Chato e Davide sono ancora studenti universitari e condividono la curiosità per numeri, teoremi e costruzioni. Formazione che li porta a lavorare assieme per una società cooperativa che si occupa di energie alternative ed è nel 2015 che decidono, a tempo perso, di costruirsi il loro primo fermentatore.
La scoperta dell'aglio nero
“Un nostro collega stava facendo da un po' una 'odorosa' cura d’aglio fresco ingerito ogni mattina” racconta divertito Stefano “ma un giorno, con nostra grande sorpresa, è arrivato in studio con un aglio completamente nero, poco pungente, mai visto prima e che proveniva dalla Corea. È stata la nostra salvezza. Ci siamo incuriositi subito a quel prodotto così anomalo, fermentato, ma dal sapore estremamente dolce e per niente invadente”. Decidono così di volerne sapere di più e googolando iniziano ad appassionarsi di fermentazione e di tutto ciò che ci sta attorno. Scaricano manuali orientali soprattutto in lingua giapponese che parlano di temperature, tempi di attesa e maturazione, e dopo la teoria, arriva subito la pratica.
Il primo fermentatore
Decidono di provare a costruirsi da soli quell’oggetto per la trasformazione dei vegetali così strano e studiare, in modo scientifico, cosa accade quando vengono lasciati maturare in ambiente favorevole e a temperatura controllata. “La nostra prima struttura” continua Stefano “è stata progettata utilizzando un vecchio essiccatore di semi abbandonato in una cantina che noi abbiamo recuperato e adattato alle nostre esigenze. Assieme a un programma hardware di nome Arduino, lo abbiamo fatto diventare una prima, rudimentale, cella di maturazione. Una volta realizzata la struttura abbiamo iniziato a fermentare l’aglio locale e dopo diversi tentativi è stato chiaro il meccanismo e i risultati sono apparsi da subito entusiasmanti”.
La scelta dell'aglio di Voghiera Dop
La passione cresce e i ragazzi, ingegneri di giorno e fermentatori a tempo perso, decidono di impegnarsi seriamente e trovano nell’aglio di Voghiera Dop del ferrarese, a pochi chilometri da casa, il prodotto che me meglio si adatta alle loro esigenze. La fermentazione lo conferma: ottimo risultato sia da un punto di vista organolettico che nutritivo. Presentano il prodotto all’Alma, la scuola internazionale di cucina italiana a Colorno, vicino a Parma, che rimane piacevolmente colpita da questo sapore tutto nuovo, ma da veri ingegneri chiedono aiuto all’università di Ferrara che, dopo attente indagini, riconosce a quell’aglio nero una crescita esponenziale di antiossidanti e una perdita quasi totale della parte solforosa facendolo diventare a tutti gli effetti un “superfood”.
I nuovi fermentatori
Una cella sola non basta più e così decidono di progettarne una più grande, da seicento chili, assemblandola in autonomia e corredandola di un software, sempre creato da loro, che attraverso sonde parametriche offre tutte le informazioni necessarie per lavorare al meglio i bulbi. Da questo momento nasce NeroFermento, una startup che consente, anche attraverso il consorzio dell’aglio di Voghiera Dop, di commercializzare il prodotto e continuare la ricerca. I ragazzi escono dalle stanze dei computer e iniziano a raccontare le qualità del loro aglio trasformato, si mettono a collaborare con grandi chef che inventano piatti dove l’aglio nero, a lungo studiato, diventa il vero protagonista.
“Finalmente nel 2017 abbiamo realizzato la nostra maxi cella che ci consente oggi di fermentare fino a 2, 5 tonnellate di prodotto. Per costruirla ci sono voluti più di tre mesi”.
Non solo aglio
Gli esperimenti non finiscono, “abbiamo fatto prove con tutte le liliaceae compresa la cipolla” e dopo l’aglio hanno studiato la fermentazione di un nuovo bulbo del territorio ravennate: lo scalogno di Romagna Igp. “È in commercio solo da qualche settimana ma ci sta dando molte soddisfazioni. Le nostre macchine applicate ai software lo hanno trasformato in un prodotto ricco di antiossidanti e dal sapore tutto nuovo, anche questo molto apprezzato in cucina”.
I ragazzi, ora 40enni, sono solo all’inizio e hanno mantenuto il vecchio lavoro a fianco di questa nuova avventura. Fatturano 120 mila euro all’anno che servono solo a coprire le spese e finanziare le nuove ricerche.
Il coronavirus e i ristoranti chiusi hanno rallentato la distribuzione ma i quattro soci di NeroFermento non mollano: “siamo solo in un momento di adattamento” sorride Stefano “ma pronti a ripartire quanto prima”. E tornare a sperimentare.
NeroFermento - http://www.nerofermento.it
a cura di Tommaso Costa