A differenza della pasta di grano duro, gli gnocchi sono un cibo casalingo facile da realizzare (qui trovate le ricette di: Gnocchi di patate, Gnocchi di semolino, Gnocchi di zucca e Gnocchetti di pane), fatto con pochi semplici ingredienti alla portata di qualsiasi cucina.
I vari tipi di gnocchi
Forse proprio per questo motivo nel tempo si sono succedute moltissime varianti di questa pasta, tanto che gli gnocchi si potrebbero definire non un formato, ma una famiglia a sé stante. Al giorno d’oggi in Italia conosciamo sostanzialmente tre categorie di gnocchi: quelli di patate, quelli di semolino (detti anche alla romana) e i canederli la cui radice tedesca del nome - knödel - significa proprio “gnocco”. A questi si possono aggiungere gli gnocchetti sardi – malloreddus - che a dire il vero hanno maggiori caratteristiche in comune con la pasta di semola. In passato, però, le tipologie erano molte di più e alcune di queste sono scomparse dalle nostre tavole.
La nascita degli gnocchi
Sembra che le prime ricette degli gnocchi siano pubblicate per la prima volta nella seconda metà del Cinquecento da parte di Cristoforo Messisbugo e Bartolomeo Scappi, due tra i più grandi cuochi del Rinascimento. I “maccaroni detti gnocchi” sono impastati con farina, pangrattato, acqua bollente e uova, poi passati “su il rovescio della gratugia”, proprio come si fa con gli odierni gnocchi di patate. Serviti asciutti, il condimento è quello tipico di tutta la pasta rinascimentale composto da burro, formaggio e spezie (e un po’ di zucchero, a piacere).
Questo tipo di preparazione resiste per diversi secoli fino all’inizio del Novecento, sotto diversi nomi con leggere varianti. La più comune è quella di aggiungere una buona dose di formaggio e aumentare il numero dei tuorli, formando una miscela simile a quella usata per gli odierni passatelli.
Il canederlo tedesco
Lo stesso impasto descritto per i “maccaroni” può essere arricchito con aggiunta di latte, mollica, a volte riso, burro e spezie per realizzare gli “gnocchi alla tedesca”, antenati dei moderni canederli. Appaiono inizialmente nell’“Apicio Moderno” di Francesco Leonardi del 1790, sempre sotto forma di piccoli gnocchetti da servire asciutti, ma in capo a pochi decenni assumeranno le classiche dimensioni di un uovo e verranno serviti in brodo, come lo “gnocco germanico” di Antonio Odescalchi del 1834 che prevede fegato e milza tra gli ingredienti.
Gli gnocchi bignè
Alla fine del Settecento fa la sua comparsa quella che sarà la ricetta più comune per gli gnocchi chiamati “gnocchi all’acqua” o “gnocchi bignè”. L’impasto è quasi identico all’odierna pasta choux (quella degli attuali bignè) e consiste in una polentina composta da acqua (o latte), burro, farina, arricchita con uova intere e un numero variabile di tuorli. Questa pasta si foggiava poi in piccoli cilindri, losanghe, oppure gettando a cucchiaiate l'impasto in acqua bollente attendendo che si gonfiasse prima di scolarlo e servirlo con burro e formaggio. Di questa ricetta esistono numerose varianti che prevedono anche spinaci o mozzarella, o ancora la farina di riso in sostituzione di quella di frumento.
Per quasi un secolo questa ricetta degli gnocchi rimase la più diffusa e si ritrova ancora quasi identica agli inizi del Novecento come “gnocchetti leggeri” (Giulia Lazzari Turco “Manuale pratico di cucina, pasticceria e credenza per l'uso di famiglia” del 1904) o come specialità regionale, chiamata “macaroni alla veneziana” (“100 specialità di cucina italiane ed estere” edito da Sognozo nel 1908).
Una delle ricette più antiche degli gnocchi all’acqua
Una delle ricette più antiche degli gnocchi all’acqua è riportata da Francesco Leonardi nel suo “Apicio moderno” del 1790: “Fate bollire in una cazzarola (pentola) un poco d’acqua con un buon pezzo di butirro, e sale, poneteci farina sufficiente per fare una pasta maneggievole come alla Reale (che prevedeva 22,8 cl di acqua, 56 gr di burro e una quantità non indicata di farina), fatela cuocere bene sopra il fuoco movendo sempre con una cucchiaja di legno, mettetela poscia in un’altra cazzarola. Quando sarà fredda poneteci per volta per ogni libbra (340 gr) di farina tre rossi d’uova crude e un bianco, maneggiando sempre acciò l’uova l’incorporino colla pasta, aggiungeteci un pugno di parmigiano grattato. Ponete la pasta sopra la tavola della Pasticceria, stendetela poco per volta colle mani con quasi niente farina, alla grossezza del dito grosso, tagliate gli gnocchi a mostaccioletti (piccole losanghe), fateli cuocere nell’acqua bollente giusta di sale, allorché diverranno gonfi, e dentro spongosi (spugnosi) saranno cotti; levateli subito, scolateli.”
Una volta pronti si dispongono a strati in una pirofila con burro, poca panna e parmigiano, prima di essere passati al forno. A discrezione si possono aggiungere cannella, noce moscata o pepe.
Gli gnocchi di patate
Sebbene la patata sia conosciuta e descritta dagli agronomi fin dal tardo Rinascimento, occorre attendere i drammatici esiti della carestia del 1764 per avere ricettari che ne consiglino il consumo mescolata a farina, sotto forma di pane o di pasta. La prima soluzione non prese mai piede a causa della consistenza del pane di patate che si scioglieva una volta bagnato, per cui non poteva essere utilizzato come base delle zuppe, uno degli alimenti cardine della gastronomia dell’epoca. L’introduzione della patata lessa all’interno degli gnocchi ebbe invece una discreta fortuna, ma ancora agli inizi del Novecento questa ricetta era solo una delle numerose varianti presenti in cucina.
Le prime ricette degli gnocchi di patate
Le prime ricette degli gnocchi di patate vengono proposte alla fine del Settecento e le patate lessate e schiacciate non sono semplicemente impastate con la farina, ma inserite all’interno della composizione degli gnocchi all’acqua (vedi sopra). Ancora per decine di anni dentro agli gnocchi di patate vennero inseriti svariati altri ingredienti, come tuorli d’uovo, panna, prezzemolo, aglio, ricotta e grasso di vitello. Pellegrino Artusi nel 1891 ne descrive due ricette: la prima con patate lessate e schiacciate impastate con petto di pollo tritato, parmigiano, tuorli d’uovo, farina e noce moscata. E la seconda, molto più semplice, con sole patate e farina.
Questa versione minimalista, destinata ad avere una grande fortuna, appare già nel 1871 sotto il nome di “gnocchi alla marchigiana”, ma nel 1908 il primo ricettario di cucina tradizionale italiana li include sotto le specialità bolognesi, mentre il “Talismano della felicità” del 1927 ne parla come un piatto tipico delle trattorie romane che viene servito il giovedì.
Gnocchi alla romana
Ma gli gnocchi alla romana che conosciamo oggi sono molto diversi e la loro particolarità è di essere formati da una polentina che, una volta raffreddata e tagliata in pezzi, non viene lessata in acqua, ma passata direttamente in forno con burro e formaggio. Sembra che appaiano per la prima volta ne “Il nuovo cuoco Ticinese” del 1846, un ricettario non esattamente laziale, ma che doveva godere di un punto di vista insolitamente ampio grazie alla sua posizione geografica.
Questa prima versione era composta da farina, latte, tuorli d’uovo profumata con buccia di limone grattugiata. Con lievi differenze (le uova sono intere, scompare il limone ed entra il gruviera) si ritrova ancora agli inizi del Novecento. La semola sostituirà la comune farina solo negli anni ‘30, andando a fissare la ricetta che oggi tutti conosciamo. Per la cronaca, nei ricettari viene citato un altro tipo di gnocco alla romana a base di patate e petto di pollo da servire in brodo, sostanzialmente identico a quello descritto da Pellegrino Artusi a fine Ottocento.
Gli gnocchi dispersi
Gli gnocchi sopravvissuti oggi sono una frazione di quelli registrati nei ricettari nel corso dei secoli di cui si è persa la memoria. Esistevano gli “gnocchi d’oro” a base di farina di granoturco, quelli “alla dama” impastati con tuorli d’uovo cotti, gli gnocchi di riso, di ceci, di piselli, alla panna e molti altri ancora. Tra ricette e varianti, solo il “Manuale pratico di cucina, pasticceria e credenza per l'uso di famiglia” di Giulia Lazzari Turco ne cita almeno 30 tipi da servire in brodo e 24 da servire asciutti: un patrimonio di specialità da cui attingere a piene mani per chi volesse sperimentare l’autentica, ma inusuale, cucina tradizionale italiana.
a cura di Luca Cesari