Gelati stellati, dolci e un po’ salati. Dolci per chi ha certamente meritato il massimo riconoscimento mondiale della gastronomia, il macaron della guida Michelin. Salati per noi italiani, che da anni invochiamo, speriamo, pretendiamo che un simile riconoscimento arrivi anche a una pizzeria – e perché no, anche a una trattoria.
Conta solo il cibo
La notizia è questa: una gelateria di Taiwan, Minimal a Taichung, ha conquistato un macaron nella edizione locale della guida Michelin. Una bella notizia: chi scrive crede all’abbattimento delle barriere gastronomiche. In fondo la stella Michelin, come spiegano gli accigliati curatori della “rossa”: «Una Stella Michelin – spiegano chiaramente sul loro sito - viene assegnata per il cibo presentato in ogni piatto, nient’altro. Lo stile di un ristorante o il suo ambiente formale o informale non hanno alcuna influenza sul riconoscimento».
In Oriente si può
E infatti il mondo è pieno di locali che esibiscono con orgoglio la placca quadrata rossa con la stella anche se non rispondono minimamente all’idea che noi ci siamo fatti di un ristorante “graduato”: tovaglie bianche immacolate, un servizio compassato, lunghe spiegazioni dei piatti, carte dei vini alte più di un romanzo di Stephen King (ma spesso assai meno avvincenti). Canoni che sono bellamente ignorati da posti come Fried Kway Teow Mee a Singapore, un baracchino di street food in un mercato che smercia per pochi dollari singaporeani fantastici noodles di riso conditi con una salsa segreta che deve avere entusiasmato gli ispettori della Michelin, che gli hanno attribuito una stella che loro, grandissimi, nemmeno esibiscono.
Oppure come Yat Lok a Hong Kong, dove viene servita una magnifica anatra alla pechinese preparata alla perfezione (pare siano rispettati almeno venti passaggi nella preparazione) ma servita su tavoli sociali di formica in cui ciascuno pesca le sue bacchette da un contenitore comune e se vuole nettarsi le labbra deve acquistare un pacchetto di kleenex da semaforo per mezzo dollaro hongkonghiano. Estetica del locale: cinese salvavita per fuorisede dell’hinterland di Milano.
Lo stesso vale per Jay Fai a Bangkok, dove l’omonima signora, occhiali da fonderia sempre ben calzati, spadella a temperature infernali cibi magnifici che serve a clienti seduti sul marciapiedi su sedie di plastica da giardino o dentro una sala con maioliche verdi da bagno della Pensione Mariuccia a Cesenatico. Ma ci sono anche tacos stellati (quelli della Taquerìa El Califa de Leòn a Città del Messico) serviti in un baracchino da spacciatori. E ora anche i gelati taiwanesi: che certo, non sono serviti in coni a portar via ma protagonisti da piccoli percorsi degustazione. Va bene, ma sempre gelati sono.
E la pizza?
Si dirà: ma perché non premiare tacos, anatre laccate e noodles se laggiù si mangia quello? E infatti io sono super d’accordo. Bravi, bene, ci starebbe bene anche una stella a un fish&chips o a un curry wurst, nel caso. Però anche la pizza è un prodotto assolutamente italiano, ma questo non gli è mai valsa una stella. Anzi sì, nel 1962, come ci informa questo nostro articolo, gli ispettori francesi decisero di dare la medaglia più ambita alla Pizzeria Negri di Pontecagnano nel Salernitano, locale che ancora esiste anche se quella gloria è un ricordo. E c’è stato anche il caso di una pizzeria di Hong Kong , Ciak – in the Kitchen, che la tenne per un paio di anni. Mi sicuri che la Pizzeria Negri e Ciak – in the Kitchen (nome francamente orribile) fossero all’epoca meglio di quanto siano oggi Franco Pepe, Renato Bosco, Francesco Martucci, Simone Padoan, Diego Vitagliano, Francesco Capece? Gente che sulla pizza ragiona, sragiona, suda, elabora come se non più di uno chef da fine dining. Ecco, amici francesi, so che in molti ve l’hanno già chiesto, ma io ci riprovo: pensateci. Pensate che bella rivoluzione sarebbe per la pizza, meglio dell’Unesco. Io nel frattempo vado a prendermi un gelato.
Foto di copertina Lido Vannucchi