L’incubatore di idee. Il cibo del futuro
Radicata in tutto il mondo, la rete di Startupbootcamp non ha bisogno di tante presentazioni. È sufficiente sapere, per esempio, che questo acceleratore di startup che vanta molteplici sedi specializzate nelle principali capitali internazionali, assolve al meglio il ruolo che gli compete: mettere in comunicazione industrie giovani e innovative con gli investitori più pronti a scommettere sull’avanguardia tecnologica e sulle idee di menti fresche, preparate, geniali. Certo, buona parte dei meriti di un incubatore che si rispetti si valuta nella fase che precede l’incontro sul mercato, e passa dalla capacità di selezionare i progetti più meritevoli all’abilità di gestirne l’orientamento e la formazione, grazie a un team di mentori qualificati che seguono i ragazzi passo passo per tre mesi di training e consulenza in un ambiente protetto, prima che la start up possa definitivamente spiccare il volo.
A Roma Startupbootcamp si è insediato la primavera scorsa (direttore del programma è Peter Kruger), candidandosi a diventare l’acceleratore di riferimento per il settore foodtech, recependo gli stimoli di quell’industria enogastronomica e agroalimentare che oggi rappresenta il più grande mercato di consumo del mondo. E non è un caso che proprio in Italia, al secondo piano di un edificio che guarda alla basilica di San Giovanni nel cuore della Capitale, l’acceleratore abbia trovato la sponda per concentrarsi sull’universo del food, e su tutte le idee in grado di assecondarne la crescita.
21 progetti per 10 posti
A novembre, dal 21 del mese, le attività prenderanno il via: tre mesi di formazione e sviluppo per i 10 progetti più meritevoli tra gli oltre 3500 che hanno proposto la propria candidatura. L’estate ha portato una prima scrematura, solo in 21 sono arrivati all’appello finale con gli 80 mentori che si preoccuperanno di seguire i “vincitori”, ma prima ancora si avvicendano ai tavoli di discussione che tengono banco in queste ore per dispensare utili consigli a tutti i finalisti. Ed è una bella atmosfera quella che si respira negli spazi di via Ludovico di Savoia 2b in queste giornate che decideranno le sorti di molti: l’ultima “prova” delle start up selezionate è iniziata il 20 di ottobre, e nel pomeriggio del 22 si concluderà con il verdetto del comitato di investimento, pronto a scommettere solo su 10 di loro. Ma l’energia dei ragazzi (molti under 25), in arrivo da tutto il mondo per ritrovarsi per la prima volta a confronto, è già di per sé un dato che rincuora sul futuro del foodtech. Dopo le presentazioni iniziali – tre minuti ciascuno per spiegare perché è meritevole il proprio progetto – sono cominciati gli incontri ai tavoli.
I candidati
Nel mentre il team di Startupbootcamp Foodtech (tutti giovanissimi e preparati) supervisiona la riuscita dell’incontro, qualche candidato in pausa si aggira tra i corridoi trattenendosi volentieri a parlare con chi gli chiede notizie del suo progetto: l’inglese è la lingua che mette tutti d’accordo, e così capita di imbattersi nello svedese di Farmdrones che spiega al collega indiano come la tecnologia è in grado di contenere gli imprevisti dell’agricoltura; il giovane di Nuova Deli, dal canto suo, difende l’idea di Krave On, una piattaforma in grado di proporre prezzi dinamici per il mondo della ristorazione, sfruttando la serata no di un’attività che all’ultimo secondo si ritrova senza prenotazioni. Idee che circolano e stabiliscono ponti di migliaia di chilometri, dalla Germania alla Turchia, alla Polonia, fino agli Stati Uniti o alla Colombia. Ma pure l’Italia è ben rappresentata: nella sede romana di Startupbootcamp sono arrivati i ragazzi napoletani di Evja che propongono sistemi predittivi per l’agricoltura, il team salernitano di In Symbio che propone una piattaforma di incontro per valorizzare gli scarti alimentari a livello industriale, i bolognesi di UCooki, community di sharing gastronomico. Chi gioca in casa sono i ragazzi di Wallfarm, con le loro soluzioni per l’agricoltura verticale, e i colleghi di IQP, che propongono un sistema di monitoraggio per olivicoltura.
Kiwi. Delivery food per le università
Mentre è stato lungo il viaggio di Sergio Eduardo Pachon, colombiano classe 1988; il ragazzo è il promotore di Kiwi, piattaforma già operativa in tre Paesi – oltre alla Colombia anche in Cile e Stati Uniti – che propone un delivery food modulato sulle esigenze dei campus universitari, al confine tra community e strumento di servizio, per soddisfare le necessità più comuni del popolo universitario. Che, più o meno, sono le stesse in tutto il mondo: “Il modello è quello di Deliveroo, ma tutto avviene all’interno dell’università. Ci si connette all’app, si sceglie il pasto tra una rete di ristoranti in prossimità, si invia l’ordine. Saranno altri studenti della rete a preoccuparsi di evaderlo, a piedi.” Il progetto ha preso forma 4 anni fa, in Cile, e oggi riunisce una squadra di 500 persone che supportano l’organizzazione della start up, già in grado di evadere centinaia di consegne ogni giorno, focalizzate sul cibo, ma anche in altri servizi. Ma cosa cerca Sergio Eduardo a Roma? “L’idea è quella di appoggiarci a Startupbootcamp per perfezionare il nostro sistema e lanciare la piattaforma in Europa, magari proprio iniziando da Roma”. I vantaggi per gli studenti? Ridurre i tempi e i costi di consegna e appartenere a una rete di persone che condividono le stesse esigenze, dai minuti contati per la pausa pranzo alle fotocopie necessarie all’ultimo secondo: “Proprio il fatto di essere una community in cui tutti si sostengono assicura la qualità che cerchiamo di garantire con il nostro delivery food”.
Il programma
Come gli altri concorrenti Kiwi spera di conquistare un posto, pur sapendo che tutti meriterebbero di andare avanti. Il verdetto arriverà tra qualche ora, poi per i 10 selezionati comincerà l’avventura: 15mila euro di capitale e tre mesi intensivi di formazione in cambio della cessione del 6% dell’attività. In attesa di conquistare i mercati e attrarre nuovi investitori. A supporto dell’operazione partner importanti come Gambero Rosso, LVenture Group, Monini, Barilla, Cisco e M3 Investimenti. Ne sentiremo ancora parlare.
Tutti i profili delle start up partecipanti
a cura di Livia Montagnoli