Il piccolo borgo di pescatori di Genova dove mangiare la focaccia in spiaggia

2 Set 2024, 12:25 | a cura di
Nella spiaggia genovese, cantata da Gino Paoli e Fabrizio De André, si scopre la Genova vera e mondana, tra anziani che giocano a carte e una focaccia mangiata sui sassi

Boccadasse è vita lenta e tranquilla, “pare sciolga un po’ l’ansia della vita” diceva un poeta genovese. Il piccolo borgo di pescatori, arroccato su una lingua di terra che si allunga verso il mare, è contornato da case, alte e strette, che sembrano quasi scavalcarsi, per affacciarsi sulla spiaggia, dipinte con i loro colori pastello e con le persiane di un verde brillante. Tra di esse, i vicoli stretti e tortuosi di Genova. L'aria è densa del profumo di salsedine, e sotto i piedi, una distesa di ciottoli disomogenei, levigati dal mare, massaggiano dolorosamente i piedi nudi. Il rumore delle onde che si infrangono sulla riva si mescola al vociare allegro delle persone circostanti, come quello dei bambini che giocano a nascondino o quello di quattro anziani si riuniscono per una partita a carte.

C'era una volta una gatta

C’è signore seduto su una sedia di legno del piccolo bar lì davanti, con un felino gigante che dorme beato sul suo grembo, indifferente alle persone che lo fissano incuriosite. Più in alto, in una casa, due vecchietti aprono la persiana, osservando la vita appena sotto i loro nasi. La Strambata, in piazza Nettuno, è l’unico bar della spiaggia, con dei tavolini in legno posizionati in modo sparso e traballante, in mezzo ai sassi di Boccadasse. “Poca scelta ma buona”. Qui, in questo locale lungo e stretto e dal gusto retrò, puoi affondare i denti in una “fugassa” (così è chiamata la focaccia qui): la crosta è croccante e la mollica è soffice e umida. Il gusto dell'olio d'oliva è intenso, con l’aggiunta di alici infilate qua e là tra i buchi della superfice e qualche pomodoro strabordante. Si mangia così, seduti su tavolini di legno, o, se si ha più fortuna, a terra, sulla spiaggia, tra i ciottoli e il vociferare sottile. Non c'è frenesia, non c'è caos.

"..in quell'aria spessa, carica di sale, gonfia di odori"

Ascoltando De André, chi non si è mai chiesto cosa fosse esattamente una creuza de mä. Renzo Piano, grande amico del cantautore, in uno speciale televisivo su Fabrizio, racconta che il titolo della canzone è riferito ai viottoli della città che vanno verso il mare, proprio come la spiaggia di Boccadasse, che restituisce i marinai alla terraferma: «la trama di creuze serpeggianti in vorticosa discesa verso l' acqua: creuza de mä, recita il titolo di una raccolta di canzoni in genovese di Fabrizio.  Vi possono risuonare un gruppo che tira una fune, pescatori che sollevano le reti, gente che vende il pesce...queste voci, come strumenti, vengono a galla di continuo. Grazie ai suoi "furti" viaggiava in una dimensione doppia: ampiezza geografica e profondità storica, nello spazio e nel tempo». Così, trasportati dagli odori salmastri della vecchia repubblica marinara e dal lento vociferare della spiaggia, ancora con qualche morso rimasto della fugassa, semplicemente, stiamo.

E anda o meu e e anda o meu ei ei anda io.

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