È accaduto in uno dei più rinomati ristoranti di Golfo Aranci, Gente di Mare, e il gesto è stato immortalato dagli stessi titolari del ristorante, oltre che dagli ospiti. Giovedì 14 settembre una turista svizzera in vacanza in Sardegna ha deciso di acquistare un’aragosta dall’acquario, spendendo ben 200 euro, per poi liberarla in mare.
L’aragosta liberata in Sardegna
Lo ha fatto per evitare che il crostaceo venisse cucinato dallo chef, sotto lo sguardo incredulo dei tanti altri commensali intenti a mangiare piatti di mare di vario tipo, aragosta inclusa. L'aragosta era viva, si trovava nella vasca dell’acquario, pronta per essere scelto dagli ospiti, pesata e cucinata alla catalana oppure al sugo per condire le linguine. Ma questa idea alla donna non andava proprio giù: “In un primo momento pensavo che stesse scherzando” ha raccontato Antonio Fasolino, titolare del ristorante, “poi ho capito che la signora diceva sul serio e voleva fare un gesto buono”. Così l’ha lasciata fare – a pagamento, s’intende – e la donna ha salvato l’animale, liberandolo poi in mare, immortalando il gesto in un video che ha fatto il giro del web.
Cucinare le aragoste vive
Una mossa senza dubbio dettata da un’indole animalista ma il ristorante, come si intuisce dal nome, è specializzato nella cucina di pesce, per cui viene spontaneo domandarsi cosa avrebbe ordinato la cliente se non fosse stata mossa a compassione dall’immagine del crostaceo. Che il metodo di cottura di alcuni animali sia più atroce di altri è indubbio: l’aragosta, come pure l’astice, va cucinata viva, messa a bollire in pentola mentre ancora si muove. Un’azione non semplice e da sempre moralmente ambigua: sono tanti i consumatori che si rifiutano di prepararla, spesso anche di mangiarla, perché ritengono questo sistema troppo crudele. Il tema, però, non è certo nuovo: qualsiasi animalista potrebbe obiettare che uccidere un animale, in maniera più o meno cruenta, sia comunque ingiusto. Che si tratti di un astice o di un maiale, di un esemplare adulto o di un cucciolo (stesso dibattito che si ripresenta puntualmente nel periodo di Pasqua: gli agnelli fanno tenerezza, ma perché una pecora o una mucca non suscitano lo stesso sentimento?).
Come conservare le aragoste al ristorante
In qualsiasi caso, un’aragosta in meno è finita in pentola (resta da chiedersi, però, in quali condizioni si trovasse l’animale, che deve ora affrontare un habitat potenzialmente ostile). Tante altre, però, continuano ad abitare gli acquari del ristorante e locali simili, perlopiù con le chele legate. Ma questo procedimento è legale? In realtà no, così è stato stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 30177 del 16 giugno 2017, dopo il ricorso presentato dai legali di un ristoratore di Campi Bisenzio, condannato in primo grado per maltrattamento animali perché conservava astici e granchi vivi sul ghiaccio, dentro ai frigoriferi, con le chele legate. E dopo numerose battaglie di associazioni animaliste ed esperti, come l’Istituto zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia Romagna, che nel 2007 sosteneva che la legatura prolungata delle chele determina atrofia muscolare e inibizione dell’alimentazione nell’animale. I ristoratori, inoltre, devono mantenere il volume dell’acquario superiore a 2 litri per centimetro della somma delle lunghezze degli animali ospitati, la vasca non deve avere forma sferica e deve essere sempre garantito il ricambio, la depurazione e l’ossigenazione dell’acqua.