Per raggiungere l’azienda agricola Le Selvagge servono un paio di tornanti immersi tra alberi e sentieri, dove la media Val Seriana inizia a rivendicare i suoi spazi più verdi e incontaminati. Siamo a Nembro, cittadina balzata – suo malgrado – agli onori della cronaca nel 2020 per essere stata uno degli epicentri dell’epidemia: qui i venti chilometri che dividono la frazione di Lonno dalla città di Bergamo sembrano duecento, eppure bastano sì e no venti minuti di auto. Sofia Goggia ci sta aspettando tra le sue galline; inganna l’attesa spostando fieno e raccogliendo le prime uova della giornata che i volatili hanno consegnato agli allevatori: «Quando serve pulisco anche gli escrementi – ci spiega senza tanti giri di parole la campionessa di sci – Del resto il mestiere del contadino mi attira da sempre perché per tanti è grezzo e rozzo, in realtà ha una sua cultura ancestrale che mi affascina moltissimo. Sa di valorizzazione del territorio, di contatto con la natura e di rapporto con gli animali».
Sofia Goggia scopre Le Selvagge durante il Covid
«Ho conosciuto la realtà delle Selvagge nel 2020, nel periodo triste e doloroso della primissima emergenza Covid – spiega la campionessa olimpica – Un amico di famiglia, che lavorava in azienda e che mi consegnava a casa le uova durante il lockdown, mi ha raccontato della loro situazione difficile, di centinaia di uova prodotte dalle galline e rimaste a Nembro a causa delle complicate operazioni di consegna. Così mi sono offerta di dare una mano e ho iniziato anch’io le operazioni door to door. Questo mi ha permesso di conoscere più da vicino il progetto, che mi è piaciuto tantissimo sin dall’inizio per la sua etica vera e concreta che non si ferma solo alle parole. Nel giro di poche settimane ero entrata in società. Perché l’ho fatto? Perché credo sia importante sostenere realtà così che danno lustro alla mia Bergamo».
La cura per le galline è maniacale, l’obiettivo è farle vivere felici. Le proprietà organolettiche delle uova sono al top perché al mangime basico si uniscono, a metà mattina e a metà pomeriggio, due merende a base di verdure avanzate da cooperative biologiche. Non a caso poi le loro carni finiscono nelle cucine di alcuni dei più prestigiosi ristoranti del nord Italia.
Galline felici e amore per gli animali
Sofia Goggia di questa realtà è semplicemente socia, gli impegni le impediscono di passare molto tempo da queste parti, ma se può sale e dà una mano: «Anche solo confezionare le uova – sottolinea – in questa oasi di pace a contatto con la natura e con gli animali, è un’esperienza quasi meditativa. Quando sono nei posti che vibrano nel modo giusto, mi ricarico».
Le galline delle Selvagge, tutte rigorosamente di razza livornese, bianche come la neve che qui non è ancora una rarità in inverno come pochi chilometri più in basso, fanno da sottofondo alla nostra chiacchierata. Il loro chiocciare, stabile e regolare, non è però fastidioso, soprattutto per chi come Goggia adora gli animali: «Ho un cane, Belle, che amo tantissimo e che purtroppo non riesco a vedere così spesso per via delle mie trasferte. Ma quando sono a casa cerco di passare ogni minuto con lei. Dorme pure con me, nel mio letto. Inoltre – e qui il volto di Sofia s’accende in un sorriso a trentadue denti – ho una vacca savoiarda, che ho vinto durante la discesa del sabato a Val d’Isère. È una consuetudine, lì, regalare una mucca ai vincitori di quella discesa, ma solitamente i miei colleghi fanno solo una foto con l’animale, poi lo lasciano dove l’hanno trovato. Io invece dopo la premiazione sono andata dagli organizzatori e ho chiesto come ci si poteva organizzare col trasporto. Mi hanno chiesto: “Di che trasporto parla?”; “Della mia vacca”, ho risposto. Immaginatevi la loro faccia: probabilmente sono stata la prima, forse l’unica, che se l’è portata via davvero. L’ho chiamata Ambrosi».
"La mia dieta è molto equilibrata e ascolto il mio corpo"
«L’agricoltura mi attira molto. Mi piacerebbe avere un orto tutto mio per coltivare frutta e verdura, ma gli impegni me lo impediscono. Cerco comunque di consumare solo prodotti di stagione, nel limite del possibile: ad esempio un pomodoro a gennaio a Bergamo – sottolinea Goggia – non lo mangerei mai, ma girando spesso per il mondo a volte devo informarmi per capire quale sia la verdura della stagione che troverò. Insomma, paese che vai, verdura che trovi. La mia dieta? È molto equilibrata, cerco di variare molto l’alimentazione. Non sono di certo una di quegli atleti che pesa la bresaola: quando ho più fame aumento le dosi, quando ho meno fame mangio meno. Oggi, per dire, potrei tranquillamente saltare il pranzo. Cerco di semplificare al massimo questo aspetto. Certo, mangio solo cose sane e che mi facciano bene. Ho un nutrizionista che mi segue, ma sono solo indicazioni. Io poi credo di essere bene informata ma ripeto, non ne faccio un’ossessione come invece succede ad alcuni colleghi: ne conosco a decine, esasperati da un’alimentazione perfetta. Però posso assicurarvi che ci sono anche sciatori che tra una manche e l’altra si mangiano la polenta col bratwurst, non proprio la cosa più leggera prima di una performance. L’ho visto coi miei occhi – e ride, la campionessa bergamasca – Dipende molto dalla struttura che si ha: io cerco di stare in equilibrio, variando molto e ascoltando il mio corpo. Consumo pochissima pasta e tanto riso; il condimento spesso è un filo d’olio extravergine d’oliva e una grattata di Grana Padano. Poi adoro il salmone selvaggio, quando lo riesco a trovare, e mangio tantissime verdure preferibilmente cotte al vapore. I dolci? Mi limito, ma non me li nego: se mi capita sotto al naso una fetta di strudel difficilmente dico no, oppure il miele la mattina mi piace molto. Ma non esagero mai. In casa ho una montagna di biscotti che mi sono stati regalati, li apro solo se ho qualche ospite. Poi me li dimentico».
Cibo all'estero, aperitivi e dieta
«Non voglio generalizzare – spiega Goggia, tornando seria, quando parliamo di cibo fuori dal Belpaese – ma la mia unica certezza è che quando sto in Italia sono sicura di mangiare bene. All’estero raramente è così, poi dipende da dove ci si trova: in Svizzera spesso gli hotel propongono piatti carichi di burro e di panna, cose che io evito. Il pollo è il piatto mainstream che ti salva sempre, in tutto il mondo. Il Paese dove ho mangiato peggio? La Polonia: ricordo in particolare una trasferta nel 2010 durante la quale fu quasi impossibile mangiare in albergo. In questi casi cerchi un supermercato e ti compri qualcosa di riconoscibile. Quella volta in Polonia delle mie compagne si erano riempite lo stomaco con pane e Nutella perché poi alla fine qualcosa in corpo lo devi mettere, soprattutto se devi sostenere i nostri ritmi. Io comunque ho sempre con me i miei integratori: quando le cose si mettono male mi faccio uno shake con proteine vegetali e frutta».
Ma che rapporto ha con la carne Sofia Goggia? «Sono onnivora al cento per cento – risponde senza esitazione – La carne rossa cerco di limitarla, non amo le bistecche al sangue tipo la fiorentina. Ma ecco, una tartare di carne buona è pane per i miei denti. Mi piace anche il quinto quarto: ricordo che quando mio padre andava a caccia poi si mangiava tutto dell’animale abbattuto, anche fegato, cuore e reni. Preferisco comunque una portata di pesce».
Come la mettiamo con vino e aperitivi? «Qualche tempo fa, spinta dalla curiosità, ho provato a togliere la carne dalla mia dieta, ma mi sono fermata al terzo mese: mi ero asciugata e non mi sentivo la solita forza in corpo. Un po’ mi è dispiaciuto, ma dovevo pensare alla mia attività agonistica. Se fai la discesista penso sia molto difficile osservare una dieta vegetariana o addirittura vegana perché l’energia che danno alcune proteine animali sono troppo importanti. Sostituirle? So che è possibile, ma togliendo queste proteine non potremmo più parlare di dieta completa e varia, che per me è fondamentale. Il vino sì, lo bevo, ma anche in questo caso con estrema moderazione. Se devo fare un aperitivo scelgo una bolla, altrimenti adoro lo Chablis. Il rosso solo se è bello strutturato e corposo. Mi ha trasmesso questa passione il mio amico Nicolò Quarteroni dell’Agriturismo Ferdy che per me è una seconda casa: lui ne sa davvero tantissimo e mi ha indirizzata».
Alta cucina e carne coltivata
Anche sull’alta cucina Goggia ha pochi dubbi: «La vivo in due modi opposti: da una parte adoro fare certe esperienze, mi piace cercare di capire o interpretare una preparazione che magari ha richiesto giorni interi di lavoro; da un altro lato, però, mi scoccia terribilmente la cucina quando non è concreta e non mi sazia come desidero. Pensate che una volta sono uscita da un locale stellato e mi stavo per fermare in autogrill a mangiare un panino per tamponare la fame. Il nome del ristorante – mette subito le cose in chiaro la campionessa – Non ve lo dirò mai. Il mio locale preferito? Dire Da Vittorio, da bergamasca, è una cosa scontata. Però, quando posso, torno sempre molto volentieri dai Cerea. Mi sono trovata benissimo anche coi fratelli Alajmo: ho avuto modo di provare il loro catering a Roma e sono rimasta entusiasta. Cercherò di andare a Padova, appena troverò un attimo di tempo. Ma io organizzo spesso tante cose che poi non riesco a fare e quando sono libera bazzico sempre nei soliti ristoranti di Bergamo: vado a Ponteranica alla Trattoria Falconi, oppure in centro a Bergamo al Carroponte da Oscar Mazzoleni, all’Enoteca Donizetti, al Baretto di San Vigilio dal mio amico Beppe Acquaroli. Ma se volete una chicca, recentemente sono rimasta molto ben stupita da Sanzani 1960, a Treviolo: è una sorta di bottega con un piccolissimo ristorante nascosto, tutto a gestione familiare. Ho mangiato benissimo e speso il giusto. Se vi capita, provate la loro tartare di tonno fresco. Inoltre, posso elencarvi a memoria la carta di 6-7 ristoranti che hanno la stessa proposta da decenni a Ushuaia, in Argentina, dove ogni anno vado in ritiro con le mie compagne e i miei compagni. Anche qui, alla fine ordino sempre le stesse cose: black cod o centolla, il granchio reale di quei mari: avete presente il granchio al naturale con la salsa rosa? È terribilmente buono, anche se la salsa, ahimé, cerco di evitarla».
«Carne coltivata? Così su due piedi non mi attira – risponde Goggia – oggi come oggi vi direi che preferisco la carne vera purché provenga da un allevamento certificato. Ma riparliamone quando sarà il momento. Per ora ho mangiato una formica al forno, al Nottingham Forest di Milano: lì fanno dei cocktail molto particolari e, quando ci sono stata, proponevano come snack delle formiche al forno. Sapete che durante la cottura si gonfiano? Diventano anche 5-6 volte più grandi di come le conosciamo. All’inizio ero quasi spaventata, ma poi mi sono decisa a provarla e l’ho trovata buona. Aveva un sapore caramellato. Se invece parliamo di una cavalletta non saprei, non sono sicura che riuscirei a mangiarla. Ma probabilmente un giorno anche gli insetti saranno cibi comuni e non sarà strano infilarseli in bocca, a differenza di oggi».