Slow Food in Cina. Il settimo congresso di Carlo Petrini. Obiettivo: incentivare il dialogo tra campagna e città

3 Ott 2017, 08:00 | a cura di

Si è chiuso da qualche ora il settimo congresso del movimento presieduto da Carlin Petrini, che quest'anno ha scelto di accendere i riflettori sulla Cina, il suo controverso sistema agricolo e le sfide per il futuro di uno dei Paesi più determinanti in termini di alimentazione globale. Cosa è emerso. 


La prima volta di Slow Food in Cina

Chengdu, 14 milioni di abitanti nella provincia di Sichuan, di cui è la capitale. Qui, in una delle regioni cinesi più rappresentative per storia e cultura gastronomica, per qualche giorno, 400 delegati da 90 Paesi del mondo si sono ritrovati sotto il vessillo di Slow Food, chiamati a pronunciarsi sul futuro dell'alimentazione globale dal presidente Carlo Petrini, cerimoniere del settimo congresso internazionale del movimento fondato alla fine degli anni Ottanta. La prima volta in Asia, ancor più significativa per la scelta della Cina, terreno di sfida incerto e potenzialmente preziosissimo. Il dato di partenza è impressionante: da sola, la Cina sfama un quinto della popolazione mondiale, ma solo il 7% della superficie nazionale è coltivabile. E la direzione intrapresa finora non è delle più felici, tra allevamenti intensivi e largo impiego di pesticidi e fertilizzanti. Non a caso, il problema dell'inquinamento del suolo (per non parlare di quello dell'aria) in Cina è particolarmente pressante e a questo si aggiunge la svalutazione costante del ruolo delle comunità rurali: coltivare la terra, in Cina, non conviene. I raccolti sono minacciati dagli effetti del cambiamento climatico, la resa è bassa, il guadagno misero, le istituzioni, finora, si sono spese ben poco per salvaguardare il settore agricolo, i contadini e le loro famiglie.

 

Il Movimento di Ricostruzione Rurale. Ripartire dal dialogo

La provincia del Sichuan, però, è un'oasi privilegiata di biodiversità, e può rappresentare un punto di svolta per le sfide future poste dalla necessità di sfamare una popolazione mondiale che entro il 2050 raggiungerà quota 9,5 miliardi di esseri umani. Per questo l'appello di Carlo Petrini parte da Chengdu, e si innesta su quel Movimento di Ricostruzione Rurale che lentamente sta muovendo i primi passi sul territorio, tra cooperative agricole moderne, coltivazioni in biologico, fattorie biologiche. Un'idea che dieci anni fa, mettendo in pratica la politica della “nuova campagna”, prendeva le mosse proprio da Chengdu, cercando di ricreare e consolidare il legame tra città e zone rurali. E Slow Food Cina dev'essere interlocutore importante di questa rivoluzione, che allargando lo sguardo porterà benefici al sistema alimentare globale. L'obiettivo concreto è quello di sostenere la nascita nel Paese di centinaia di villaggi rurali votati alla produzione di cibo sano, pulito, sicuro e giusto (1000 nel giro di 5 anni, è l'idea ambiziosa). Ripensando quindi il sistema di produzione dall'interno, sanando le contraddizioni sul piano ambientale e alimentare determinate “da una crescita sfrenata”, ribadisce Petrini in congresso. E continua, indicando “priorità di azione e progettualità”, sulla scorta di due parole chiave: “inclusività e apertura”. Che significa anche coinvolgere il consumatore, perché “senza la consapevolezza dei consumatori non è possibile alcun cambiamento vero”. E credere nella forza di modelli alternativi e vincenti.

 

A chiusura dei lavori, nella giornata di domenica 1 ottobre, Petrini ha presentato al congresso la Dichiarazione di Chengdu, sintetizzando le principali sfide dei prossimi anni: la necessità di battersi affinché a tutti sia garantito l’accesso al cibo buono, pulito, giusto e sano; l’accesso alla conoscenza come un diritto comune e stessa dignità per saperi tradizionali e accademici; il rifiuto di qualunque esclusione di carattere politico, economico e sociale; la salvaguardia dell’ambiente come principale priorità del nostro agire anche grazie alle campagne; la necessità di ribadire che la diversità è la più grande ricchezza di cui disponiamo come esseri umani e come collettività; la volontà di affrontare a tutti i livelli l’iniqua spartizione delle ricchezze e delle opportunità.

In questo contesto si inserisce anche Menu for Change, campagna sul surriscaldamento globale presentata a Bra, in occasione di Cheese.  

 

a cura di Livia Montagnoli

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