Mi chiamo Lorenza Roiati, sono un’artigiana di 37 anni, proprietaria dal 2019 di un panificio ad Ascoli Piceno, L’Assalto ai Forni. In questi cinque anni sono anche diventata madre di due bambini, uno di tre anni e una piccolina di 3 mesi. Vivo questa seconda maternità come un’equilibrista e mi sento abbandonata dallo Stato come madre e come titolare d’impresa, schiacciata dai tanti doveri e dai pochissimi diritti. Non c’è una reale misura di quanto poco spetti alle donne che svolgono un lavoro autonomo e il dibattito è ancora dominato da una visione della maternità puramente idealizzata in cui si dà per scontato che una donna con partita iva debba rallentare dopo la nascita del figlio e trovare un ritmo più adeguato a quello del neonato. E comunque ci è concesso di rallentare ma non di fermarci. Non possiamo fermarci per 5 mesi sacrosanti come le lavoratrici dipendenti. Il costo di questo rallentamento è tutto sulle nostre spalle e paghiamo due volte, in termini sociali per l’inadeguatezza del sostegno che il paese riserva alle famiglie e in termini lavorativi per l’inadeguatezza del sostegno alle donne titolari di impresa.
La maternità per le lavoratrici autonome
Come artigiana mi spetta un’indennità di cinque mesi, calcolata con criteri generali che non dipendono né dalla mia dichiarazione dei redditi né dal volume di affari della mia attività. Il bonifico che ho ricevuto dall’Inps è di circa tremila euro ovvero seicento euro al mese. In una piccola impresa come la mia (dai 2 ai 4 dipendenti) 600 euro al mese corrispondono, per esempio, al 60% della bolletta della luce mensile, oppure a un quarto del costo mensile per un full time di un dipendente con l’inquadramento più basso previsto dal contratto nazionale. Dobbiamo per questo assumere personale in nero? Certo che no. Dobbiamo per questo erodere i diritti dei lavoratori delle nostre attività solo perché a noi è negato il riconoscimento del nostro lavoro? Certo che no. Dobbiamo fare una guerra contro i diritti delle donne che hanno un lavoro dipendente solo perché ci sentiamo trattate come madri di serie B? Certo che no.
La soluzione che io auspico è quella di uscire fuori dalla zona d’ombra e smetterla di nascondersi dietro a un dito: tenere attiva un’impresa ha dei costi alti e va riconosciuto che una neo mamma per tutto il primo anno di vita del figlio materialmente avrà meno ore da dedicare alla sua impresa. E quindi aiutiamo queste neo mamme a tenere in piedi le loro aziende senza doverle obbligare a scegliere se salvare il lavoro o salvare la famiglia. Se un’impresa chiude perché conciliare il lavoro e la cura di un neonato è un’autentica impresa, abbiamo tutti perso qualcosa, a livello sociale, economico, culturale e questa perdita deriva direttamente da una discriminazione di genere.
La proposta di Lorenza Roiati
La mia proposta di sostegno alle madri lavoratrici autonome parte dall’azzeramento contributivo personale per tutto il primo anno di vita del bambino. Anche tenendo conto che il contributo base che versiamo ogni anno come artigiane all’Inps è di circa 4500 euro e a questa quota va aggiunta un 24% calcolato sul reddito se si superano 18 mila euro di reddito netto finale. Dovrebbe poi essere prevista la possibilità di assumere personale aggiuntivo in azienda per un periodo di tempo determinato con un sostegno economico o con sgravi contributivi. Spero che questo mio contributo possa far sentire le donne meno sole nella loro corsa ad ostacoli e che faccia venire voglia a tutti, uomini e donne, di alzare la voce davanti ad una situazione di palese vuoto normativo e ingiustizia sociale.