Fatturato stabile tra 49 e 50 milioni di euro, remunerazione media in aumento del 7,5%, più Italia e meno estero. Il bilancio Settesoli, nel triennio sotto la presidenza di Vito Varvaro, si chiude con buoni risultati che hanno consentito alla cooperativa di Menfi (che con 6 mila ettari rappresenta il 5% del vigneto regionale) di tener fede agli obiettivi del CdA. A cominciare dalla retribuzione media riconosciuta ai 2 mila soci, passata dai 3.580 euro per ettaro del 2011 ai 3.850 euro del 2013: “Risultato considerevole” commenta a Tre Bicchieri il direttore Salvatore Li Petri “visto che si partiva dai 2.900 euro del periodo 2006/10. A migliorare è stata anche la remunerazione media sul totale delle uve trasformate, passata da 16,3 milioni di euro del periodo 2006/10 ai 19 del 2011, per salire al 20,3 nel 2012 fino ai 21 milioni del 2013”. Progressione che si è affiancata all’aumento del prezzo medio di vendita del confezionato, passato da 1,38 euro del 2010/11 all’1,60 del 2013/2014. E a un marketing (costato 1,1 milioni di euro annui) che, in controtendenza rispetto al consueto trend, ha privilegiato l’Italia sull’estero: “Il lavoro si è concentrato nella Gdo, dove la nostra presenza fino a quattro anni fa era marginale. Ora cresciamo in doppia cifra e siamo il secondo player siciliano (dopo il marchio Corvo; ndr.)nella Gdo siciliana”. La quota export di Settesoli (che detiene il brand Mandrarossa) è passata dal 70% di quattro anni fa al 55% attuale; tra i Paesi clienti, è stata attuata una sensibile riduzione del peso dell’Inghilterra: “Due anni fa” dice Li Petri “contava per il 55-60%, oggi è al 40%. Pur restando ancora il nostro primo mercato, abbiamo preferito lavorare su Paesi con marginalità più alta. Siamo entrati in Cina, Russia, Centro e Sud America. E ora vediamo spazi di crescita in Germania”. Con quali vini? “Non tralasciamo gli internazionali, ma puntiamo a distinguerci per ciò che abbiamo di unico: i nostri autoctoni”.
A cura di Gianluca Atzeni