Alla scoperta della scala di Scoville, il metodo di misura più piccante del mondo

7 Feb 2025, 14:36 | a cura di
Qual è il nesso fra il peperoncino e un chimico di inizio Novecento? Una scala di misura uscita fuori per caso ed utilizzata tuttora per classificare il "piccante"

A scherzare con il fuoco alla fine ci si brucia. Con il peperoncino è un po’ così. Va dosato perché rischia di infiammare la lingua, e compromettere così ogni sforzo in cucina. Può succedere infatti che gli aromi di un piatto vengano offuscati dalla “botta” piccante. Non parliamo di tutte quelle volte in cui ci strofiniamo gli occhi dopo aver toccato il cornettino rosso dimenticando di lavarci prima le mani. Sarà capitato a tutti, no? Che disastro. È vero che non è come maneggiare la dinamite, ma qualche accortezza bisogna averla. Dalle proprietà di questa bacca del genus peperone rimane affascinato lo scienziato statunitense Scoville. Avete già sentito questo nome? Probabile, è stato proprio lui a inventarsi la scala che continuiamo oggi a usare come sistema per misurare la «piccantezza» del peperoncino.

La storia di Wilbur Scoville

La fama del chimico e farmacista americano si deve al lavoro di approfondimento svolto sulle varietà piccanti del gruppo di solanacee Capsicum, piante con semi originarie delle Americhe, area in cui vengono utilizzate per arricchire pure la cioccolata calda. Stiamo parlando delle cultivar di peperoncino. Da non confondere con quelle più grandi e dolci del peperone, appartenente alla stessa famiglia. La differenza sostanziale fra i due sta nella presenza di capsaicina, che costituisce l’elemento distintivo del primo. Si tratta di un composto chimico irritante presente naturalmente nella bacca e cui va attribuita la percezione di bruciore o piccantezza che possiamo riscontrare in alcune preparazioni. Tale alcaloide si trova in misura maggiore all’interno del frutto, nel tessuto placentare, che corrisponde alla parte bianca che tiene insieme i semi. Non è un mistero che qualche chef suggerisca di eliminarlo insieme alla “punta” prima di adoperare la spezia.

Questa caratteristica attira l’interesse di Wilbur Lincoln Scoville, un dipendente dell’azienda farmaceutica Parke Davis che nel 1912, mentre studiava la formula di un nuovo balsamo, tira fuori un metodo per definire invece il grado di piccantezza del peperoncino. Il test consisteva nel diluire l’estratto del frutto da valutare in una soluzione di acqua e zucchero finché non fosse risultato alla prova d’assaggio privo delle note 'pungenti' accennate. Lo Scoville Organoleptic Test (S.O.T) però non viene considerato pienamente attendibile perché palesa un limite: si basa sulla discrezionalità dei degustatori, le sensazioni rilevate dai recettori della lingua di pochi, mancando così di autentico rigore scientifico. Sarà comunque un passaggio fondamentale per arrivare alla celebre scala. Lo studioso viene tuttora ricordato per questo contributo, mentre all’epoca gli vengono riconosciuti meriti soprattutto nell’ambito della ricerca farmaceutica. Persino da parte dell’autorevole Columbia University, che gli conferisce un dottorato onorario.

Peperoncini nella scala di Scoville

A scatenare quel calore persistente, difficile da attenuare con un banale bicchiere d’acqua, sarebbe perciò la capsaicina. E la scala di Scoville ne stima appunto il grado. L’unità di misura considerata è la SHU (Scoville Heat Units), variabile a seconda dell’esemplare, della varietà e di aspetti quali clima, morfologia del suolo e sementa. Si tenga presente che la capsaicina pura equivale a 16 milioni di SHU. In ogni caso, può essere utile fare degli esempi concreti. Il friggitello o il classico peperone dolce sulla scala corrispondono suppergiù a 0 SHU, dato che non hanno capsaicina. Tendenzialmente non “piccano”. Non si discostano più di tanto paprica e altre tipologie di peperone (si pensi alle papaccella napoletana), che presentano degli indici numerici bassi. Per quanto riguarda le cultivar che crescono in Italia — del tipo Corno Calabrese, Stromboli, Soverato, Lazzaretto abruzzese — si sfiorano al massimo le 50.000 unità di Scoville. Si attestano su questi livelli pure il Tabasco e il diffusissimo Pepe di Caienna, originario della Guyana francese. Dei più conosciuti, gli Habanero dello Yucatan raggiungono vette ancora più elevate: la capsaicina contenuta oscilla fra le 250.000 e le 500.000 SHU.

Carolina reaper

Nella scala però, ad eccezione del Naga Morich e dei Trinidad Scorpion, la categoria dei pesi massimi può essere rappresentata solo dagli ibridi, ovvero specie frutto di incroci. Per questi peperoncini sarebbe improprio parlare di origine. Germogliano dalla ricerca di qualche agricoltore. Il Naga Viper e il Carolina Reaper, catalogati tra i più piccanti del mondo nel Guinness World Records, ne sono un vivido esempio. L’ultimo, un incrocio americano i cui picchi arrivano fino a 2 milioni di unità, è nato dalla sperimentazione in South Carolina di Ed Currie. Lo stesso coltivatore che ha messo al mondo il più piccante in assoluto, l’ibrido Pepper X, in grado di riportare ben 2.693.000 SHU. Dati alla mano, sembra un’arma di difesa più che una spezia. Potente e irritante quasi quanto gli spray antiaggressione, che hanno in dotazione le forze dell’ordine. Ecco perché, come il peperoncino, questo nebulizzatore con più di 5 milioni di unità di Scoville andrebbe usato con massima cautela e non per scherzo. Come purtroppo sta accadendo in alcune scuole italiane.

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