Sarah Cicolini e la cucina. La passione di una vita
Medico mancato, e quell'attitudine da secchiona sui banchi di scuola che a distanza di dieci anni riserva alla passione di sempre, quella per il cibo. Lei si chiama Sarah Cicolini, oggi di anni ne ha 28, gli ultimi trascorsi intensamente in cucina, da quando ha capito che la ristorazione sarebbe stata la sua vita. L'unica possibile. Autodidatta di talento, dunque, nei confini di una storia di formazione in cui si rintracciano coordinate precise: l'infanzia nella campagna abruzzese, a Guardiagrele - “un paese di cuochi in un territorio molto vocato all'enogastronomia” - in cucina con la nonna a giocare con i ritagli di pasta; e poi i pranzi della domenica, quelli conviviali, con la frittata di rigaglie di pollo, e la capoccetta d'abbacchio “che si mangiava solo se l'animale l'aveva ammazzato qualcuno che conoscevi”. Il liceo classico e una buona predisposizione allo studio, l'arrivo a Roma, per frequentare l'università: “Studiavo medicina e intanto per mantenermi facevo la chef a domicilio. D'estate tornavo in Abruzzo, per arrotondare facevo le stagioni sulla costa, negli hotel di Ortona. Il mio primo approccio con la ristorazione, una dimensione semplice, ma formativa”. E pian piano una consapevolezza che cresceva, la frattura definitiva con il percorso professionale che la famiglia aveva immaginato per lei. Succedeva qualche anno fa, Sarah ripartiva da zero, facendosi carico di un ruolo che non aveva mai sperimentato prima, quello della pecora nera.
Da Roy Caceres a Stefano Callegari
Una storia comune a tanti, che si trasforma nella voglia di farcela. Qualcosa da dimostrare a se stessa, che un futuro nella cucina, da chef, l'aveva sempre sognato: “Avevo bisogno di farmi una formazione, ho girato tante cucine. Poi sono arrivata da Metamorfosi, nove mesi intesi e bellissimi, per la prima volta lavoravo in brigata. Sono entrata agli antipasti, in poco tempo Roy mi ha affidato i primi. E quando finivo prima aiutavo con i dolci”. Gli stimoli sono moltissimi, “si entrava in cucina alle 9.30, alla fine del servizio, dopo cena avevi condiviso fatica e rigore, ma anche tutte le sperimentazioni di una cucina in grande fermento”. Un'esperienza importante, che rafforza la tenacia di Sarah. “Però volevo fare altre esperienze, capire se la mia strada doveva essere quella dell'alta cucina, in grandi brigate, o se avevo margine per provare a mettermi in gioco”. E quando un anno fa arriva la chiamata di Sbanco (il progetto di pizza, birra e cucina di Marco Pucciotti, Giovanni Campari e Stefano Callegari che allora stava nascendo e oggi è ben avviato) la passione per Stefano Callegari gioca un ruolo fondamentale: “Da anni seguivo Stefano come una divinità, a casa curavo il mio lievito madre, lavorare per lui sarebbe stato un sogno. Quando ne ho avuto la possibilità non me la sono fatta scappare”. La storia che segue, fino a qualche settimana fa, è quella di una cucina che asseconda e valorizza l'estro di Stefano e le sue pizze, una collaborazione prolifica che gli avventori del locale di via Siria, quartiere Appio Latino, hanno imparato a conoscere. “Stefano mi ha insegnato molto. Per esempio che non bisogna aver paura di osare: i sapori si devono sentire, perché è la pienezza di gusto che caratterizza la cucina italiana”. Un tassello ancora, quello decisivo: “Ora sono pronta, so cosa voglio fare”.
Santo Palato. La trattoria romana di Sarah
Non solo una dichiarazione d'intenti, visto che entro la fine di marzo, tra pochi giorni, Sarah si ritroverà per la prima volta in una cucina tutta sua (in società con Marco Pucciotti e con lo zampino di Cultivar Agency di Alberto Bloise per lo sviluppo del concept), quella di Santo Palato, a piazza Tarquinia. Nella sua rinnovata identità, la giovane chef abruzzese spinge l'acceleratore sulla sinergia per la cucina giudaico/romanesca, e promette di portare in tavola piatti della tradizione ben cucinati, da materie prime selezionate, e senza fronzoli che distolgano l'attenzione dal piacere della buona tavola. Una trattoria come oggi se ne trovano (troppo) poche, insomma, che rivendichi la romanità del quartiere che la ospita, sin dall'ambientazione (su progetto di Michele Marincola e Ivan Spadaccini) informale e persino spartana, mattonelle anni Settanta, sedie Milano, pannelli in legno alle pareti, stoviglie tutte diverse rintracciate per mercatini e rigattieri della città. E una quarantina di coperti in tutto, con due turni di servizio serali (sabato e domenica anche a pranzo). L'insegna omaggia il manifesto futurista, ma vuole reinterpretarlo votandosi al gesto del masticare e a quell'esaltazione dei sapori che sarà il filo conduttore della cucina.
Cosa si mangia. Dai cannelloni alla lingua in salsa verde
Il che significa che il menu si articolerà tra primi della tradizione (“dai piatti stellati torno a fare la lasagna, come quella alle quattro carni con coscio d'anatra”), quattro e cinque secondi secondo disponibilità del mercato - “valorizzerò molto il quinto quarto... La trippa, le cotiche con i fagioli, la lingua in salsa verde, ma anche i brasati, le lunghe cotture della carne” - il carrello dei dolci, dal maritozzo con la panna alla crostata ricotta e visciole. Per le paste la collaborazione d'autore è quella con Mauro Secondi, i formati freschi saranno molti, dal cannellone con la faraona allo spaghettone, ai primi più classici, amatriciana, cacio e pepe, gricia, che non mancheranno mai. Come anche i rigatoni con la pajata. La carne invece è quella di Roberto Liberati, un sodalizio consolidato, mentre i formaggi arrivano dal Mercato Latino (come molte delle materie prime), selezionati da Francesco Loreti. “L'idea è quella di restare su un prezzo medio che si aggira sui 25-30 euro a persona. Una cucina onesta, gustosa, ben fatta e popolare”. E anche sul versante della cantina Santo Palato promette sorprese: “Abbiamo chiesto a diversi addetti ai lavori e grandi sommelier italiani di indicarci cosa gli piacerebbe bere in un'autentica trattoria romana”. E la carta dei vini sarà il risultato di questi suggerimenti d'autore. Ma si potrà bere anche birra, sette artigianali in bottiglia dal territorio laziale: Pils ritual lab, Pils - Ritual Lab, Apa - EastSideBrewing, Ipa - JungleJuice Bitter - Hilltop, Tripel - ECB, Blanche - Freelions, Saison - Rebel's, Imp Stout – VentoForte. E un cocktail di benvenuto a sorpresa ideato da un celebre barman capitolino, che strizza l'occhio alla miscelazione futurista e alla riscoperta della polibibite: gazzosa, umeshu (vino di prugne giapponese) e una fettina di limone. Servito al tavolo in quartino, in abbinamento allo stuzzichino della casa, pizza bianca e mortazza. Perché una cosa sia subito chiara: da Santo Palato si mangia (e si beve) bene e ci si diverte.
Santo Palato | Roma | piazza Tarquinia, 4 a/b