San Pellegrino Young Chef. Alla ricerca del talento
Al Circolo Antonio Marras, casa d’artista milanese, le giovani brigate lavorano alacremente. E già l’eccezionalità del contesto rende l’idea della ricorrenza speciale. Per portare un piatto fatto e finito fin qui, quello capace di contendersi la vittoria finale sul palcoscenico internazionale nel 2018, ci sono voluti mesi: prove e controprove, assaggi incrociati, combinazioni millimetriche di gusti e consistenze, presentazioni efficaci che, qualcuno dei concorrenti ammette, hanno richiesto anche 7 mesi di lavoro continuativo. Extra, sia ben chiaro, perché ciascuno dei talentuosi chef sotto i 30 anni un lavoro vero ce l’ha, e la scommessa di San Pellegrino Young Chef è una possibilità in più di ritagliarsi una vetrina importante sulla scena gastronomica che conta. È successo così ad Alessandro Rapisarda, da Recanati, che l’anno scorso si era aggiudicato la finale nazionale, volando all’ultimo scontro col suo mentore di allora, Davide Oldani, senza però tornare a casa con la vittoria più ambita, la corona internazionale, finita negli Stati Uniti. Quest’anno, lo chef quasi trentenne, prossimo ad aprire un ristorante tutto suo, ci riprova, insieme ad altri 9 ragazzi selezionati tra 300 candidati, “il numero di adesioni più alto tra tutte le “regioni” in competizione”, ribadisce Stefano Marini. Sul palco, guidati da Francesca Barberini, ci sono i giudici, chiamati a valutare i piatti: Cristina Bowerman, Loretta Fanella, Caterina Ceraudo, Carlo Cracco, Ciccio Sultano, Anthony Genovese (che sarà mentore del vincitore, e lo aiuterà in vista della finale internazionale).
Il maestro e l’allievo, secondo Davide Oldani
Più tardi, mentre si aspetta il verdetto, prenderà il microfono anche Davide Oldani, che spende belle parole sul rapporto tra giovane e maestro in cucina: “Nel nostro lavoro le regole sono importanti, noi abbiamo il compito di insegnarle ai giovani, che in cambio ci restituiscono la grinta e l’energia necessarie per fare bene. A loro consiglio di non correre, e godersi il momento: il mestiere del cuoco non è un exploit, bisogna stare sul pezzo per molti anni, restare psicologicamente attaccati alla propria idea. In Italia, da quello che vedo abbiamo un futuro assicurato per la qualità”. Il prossimo 25 settembre, lo chef del D’O concretizzerà finalmente un suo sogno, con l’inaugurazione della scuola alberghiera Olmo di Cornaredo. Intanto sul palco si fa strada la busta, la più attesa, col nome del vincitore: “Una decisione molto difficile” ribadisce Genovese “con tre risultati sopra gli altri, e in generale un livello molto alto; tutti hanno voluto mettersi alla prova, molti hanno scelto carni difficili”.
Il vincitore. Chi è
Alla fine il trofeo lo porta a casa Edoardo Fumagalli, classe 1989, alla guida della cucina stellata della Locanda del Notaio di Pellio Intelvi, Como. Lui è brianzolo, e in competizione porta un Gambero Carabiniere, animelle glassate, croccante alle alghe con insalatina aromatica, con tanti omaggi al suo territorio (specie nell’impiattamento, con l’utilizzo dei sassi di Moltrasio “quelli delle mura di Como”, ma pure nella scelta degli ingredienti, con la spirulina, un’alga di acqua dolce di cui sottolinea le proprietà iposodiche) e un abbinamento di carne e ingredienti d’acqua che accomuna molte proposte viste sul palco. In gara, all’inizio della serata, era stato il primo a rompere il ghiaccio, sicuro di sé, per la seconda volta a San Pellegrino Young Chef: “Mi piace partecipare ai concorsi”, dice.
L’italianità oggi
Come altri, ha scelto di puntare sul quinto quarto, forse una moda, ammettono i giudici, “ma comunque ben venga la riscoperta delle frattaglie della nostra tradizione” chiosa Cristina Bowerman, veterana del concorso (alla terza edizione), che quest’anno ritrova tra i ragazzi “uno stile più personale, più italiano. Le ondate di stile esterofile sembrano passate, e questo è un buon segno”. Il piatto di Edoardo, non a caso, è un omaggio all’italianità, fatto di molti ricordi personali: c’è la padronanza delle cotture basiche, il gambero cotto al vapore, la salsa ottenuta dalla testa spremuta; e una parte vegetale che rivendica la sua autonomia, l’insalata di erbe aromatiche e gentili, e germogli, servita a parte. Poi le animelle avvolte nell’ostia, una passione ereditata dall’esperienza alla macelleria di Sergio Motta (ma lui è passato anche a Le Taillevent di Parigi, e a New York, con Daniel Boulud, o al Marchesino, con Daniele Canzian). Tanti, tantissimi elementi che si combinano, con l’idea “di servire un piatto che rappresenti la forza italiana, ma guardi al futuro e conquisti per la sua internazionalità”, racconta Edoardo. Proprio per questo, intuendo la spendibilità del piatto sul palco di Milano, che a giugno 2018 riunirà tutti i finalisti del mondo, i giudici hanno scelto Edoardo. I prossimi mesi, con l’aiuto di Anthony Genovese, saranno lunghi e concentrati a perfezionare ogni dettaglio. “Ci divertiremo” dice lo chef del Pagliaccio “E andremo per vincere, vero?”.
a cura di Livia Montagnoli
Tutti i semifinalisti sul palco:
Edoardo Fumagalli
Manuel Bentivoglio
Vincenzo Dinatale
Carmelo Fiore
Daniele Groppo
Alberto Lazzoni
Luca Natalini
Alessandro Rapisarda
Antonio Sena
Andrea Vitali