Salmo Salar, dal verbo “salire”, che ben rappresenta l'incredibile viaggio controcorrente che fa risalendo dal mare ai fiumi: il salmone resta uno dei prodotti che fanno la festa, nonostante negli ultimi anni sia diventato molto comune sulle nostre tavole o dentro le schiscette di tutti i giorni, complice l'abbassamento del prezzo.
Il mensile dedicato ai diritti dei consumatori, il Salvagente, ha analizzato 10 campioni di prodotti venduti nei supermercati per capire se sia un prodotto salubre o meno.
Differenza tra salmone selvaggio e di acquacoltura
L’abbondanza di prodotto anche nei supermercati e la differenza di qualità (e dunque di prezzo) si deve soprattutto all'acquacoltura, avviata negli anni Ottanta nei Paesi del nord Europa a ridosso del mare, dove le coste frastagliate da fiordi, baie e insenature si prestano all'allevamento del Salmo salar, il salmone atlantico che allo stato selvaggio è ormai una mosca bianca, uno sfizio da pesca sportiva. Una “rivoluzione salata” capitanata dalla Norvegia che ha sconvolto il mercato ittico abbattendo i costi e traghettando il salmone da specialità di lusso a prodotto accessibile.
Il selvaggio - che ormai si identifica con il salmone del Pacifico catturato al largo delle coste dell’Alaska e del Canada e intorno alle isole del Giappone - , però, rimane riservato alla fascia del mercato più alta.
Il salmone selvaggio
I selvaggi si possono pescare solo in un determinato periodo dell’anno, tra giugno e luglio, quando risalgono i fiumi per riprodursi e deporre le uova; una volta presi, devono essere congelati, stoccati e lavorati. Sono diversi tra loro di colore, consistenza, grasso, pezzature, e richiedono dunque diverse lavorazioni a seconda della qualità. In generale le carni sono più magre rispetto a un salmone d'allevamento, di un bel rosa naturale, morbide ma sode e compatte perché hanno vissuto liberi, hanno “sgambato” nelle acque dell’oceano. E il sapore è ovviamente ineguagliabile, intenso, ricco, rotondo.
Il salmone di acquacoltura
Se il salmone selvaggio deve il colore e la ricchezza di Omega3 all’astaxantina, un potente antiossidante della famiglia dei carotenoidi presente nel plancton e nei crostacei di cui si nutre allo stato selvaggio, non è facile replicare in allevamento un menu presente in natura sostituendolo con mangimi a base di farine di pesce. E dunque: per quanto possano essere calibrati (e con astaxantina di sintesi o coloranti naturali), il salmone d’acquacoltura avrà sempre carni meno tenaci e strutturate del selvaggio, più delicate, pallide, o di una tonalità rosata innaturale. E più grasse.
L'indagine de Il Salvagente
La rivista Il Salvagente ha analizzato il salmone affumicato, prendendo in esame dieci campioni, e a ciascuno ha dato un voto da 1 a 10 (il salmone più virtuoso, con un punteggio di 9.0, è Labeyrie). Nell'articolo di Valentina Corvino si legge: “Abbiamo portato in laboratorio 10 campioni di salmone affumicato acquistato presso supermercati e discount. Abbiamo scelto dove possibile lo 'scozzese', più caro del norvegese”. Dopodiché hanno valutato diversi fattori: “L'igiene, ovvero la conta totale dei microrganismi e di quelli patogeni, come escherichia coli, listeria e salmonella. Quello che ha differenziato i prodotti è stata la conta dei microrganismi: si va da 170 UFC/g del Carrefour, un pesce in eccellente stato igienico, ai 9.500.000 del Kv Nordic (in ogni caso considerato sufficiente)”.
E ancora, sono stati analizzati i coloranti, gli idrocarburi policiclici aromatici che si trovano come conseguenza del processo di affumicatura - “l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ha classificato alcuni Ipa come cancerogeni per l’uomo. Il limite di legge per il salmone è inferiore a 12.000 (ng/kg). I nostri campioni arrivano al massimo a 6.039 come nel caso di Conad” -, le diossine e il mercurio. “La fonte principale di mercurio nella nostra dieta è rappresentata dal pesce: maggiore è la taglia e l’età, più è probabile che il mercurio, nemico terribile del sistema nervoso centrale, sia abbondante. La Ue tollera la presenza di questo metallo nei pesci come il salmone fino a 1 mg/kg. Le nostre analisi evidenziano livelli molto bassi, tra 0,047 mg/kg del Lidl a 0,35 del Carrefour”.
La sostenibilità del salmone
Insomma i test svolti dalla rivista tranquillizzano sul piano della salute, altra storia è la sostenibilità del prodotto. “Qualità a parte, però, quando parliamo di salmone non possiamo non affrontare la questione relativa alla sostenibilità delle produzioni. I salmoni sono carnivori e per nutrirli si sono utilizzati per anni quasi esclusivamente farine e olio di pesce, creando un circolo vizioso: allevare pesce da darlo in pasto ad altro pesce da allevamento”.
Ma c'è uno spiraglio di speranza: “Solo ultimamente si cominciano a introdurre nella dieta del salmone atlantico (il più utilizzato anche nel nostro paese) anche proteine vegetali, che tuttavia - almeno per ora - non sostituiscono al 100% quelle animali”. La strada, rimanendo in tema di salmoni, è ancora in salita.
a cura di Annalisa Zordan