Il Consiglio comunale di Napoli ha votato un emendamento al Documento Unico di Programmazione che introduce il salario minimo di 9 euro l'ora per tutti i lavoratori di ditte e società che hanno rapporti con il Comune. Così l'amministrazione locale ingrana la marcia e supera a sinistra il Parlamento dove la questione del salario minimo si è incagliata ormai diversi mesi fa, considerata non prioritaria dal Cnel. Napoli non è il primo comune, in realtà: già Bacoli, 4-5 giorni fa, e Firenze, due settimane addietro, hanno votato il loro salario minimo, mentre a Modena la questione è all'ordine del giorno, e interesserebbe tutti i dipendenti del Comune e chi lavora in appalti comunali. Per quanto riguarda il capoluogo campano, il testo approvato «impone il salario minimo per gli appaltatori comunali, per i concessionari (anche per le occupazioni di suolo pubblico) e per tutti i casi in cui l’ente comunale deve autorizzare l’esercizio di attività anche commerciali». La cosa interessante è proprio il riferimento a contratti di appalto, provvedimenti di concessione e/o autorizzazione, comunali o demaniali che estende di fatto la norma anche agli esercizi di ristorazione. Non è ancora un punto di arrivo, per il quale occorre attendere una discussione tecnica e il confronto con operatori commerciali e sindacati che porterà a una delibera ad hoc. Ma il dado è tratto.
La necessità di fare dei controlli
Nel testo si legge ancora «Napoli si allinea agli altri Comuni Italiana nella tutela del lavoro e del salario minimo che consenta così come previsto dall’art. 36 della Costituzione una vita dignitosa. Un atto di civiltà politica, morale e giuridica a tutela della classe dei lavoratori». L'articolo 36 della Costituzione non dà indicazioni sulla soglia minima salariale, ma indica che «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa». E connesso questo, nell'articolo 39 della Costituzione «si attribuisce ai sindacati, previa registrazione, il potere di stipulare contratti collettivi di lavoro vincolanti per tutti i lavoratori appartenenti alla categoria cui il contratto si riferisce, e ciò da parte di una delegazione unitaria di tutti i sindacati registrati, ognuno rappresentato in proporzione ai propri iscritti».
Per quanto riguarda i pubblici esercizi il contratto prevalente è quello di Fipe, ma sono registrati al Cnel altri 30 contratti che interessano una percentuale minima di lavoratori e che da Fipe non esitano a definire contratti pirata. Nel contratto di Fipe - spiegano ancora dalla Federazione dei pubblici esercizi - solo i lavoratori all'ultimo livello, il settimo, avrebbero una retribuzione sotto i 9 euro l'ora (8,77 euro), cifra che viene superata se alle mensilità si aggiungono TFR, fondo di assistenza sanitaria e altri istituti. Stando a Istat, però, la situazione non è così rosea: qualche mese fa, in un'audizione alla Camera, i dati presentati indicavano al 23,2% (633 mila) i rapporti di lavoro con una retribuzione inferiore a 9 euro l'ora nel settore allargato dell'ospitalità (ovvero alloggio e ristorazione), una cifra sostanzialmente in linea con altri studi che tratteggia un panorama preoccupante per le molte forme di lavoro irregolare che si nascondono nel settore. Per il quale, come sollecitava qualche mese fa Roberto Calugi, direttore generale di Fipe, servono controlli. A Napoli sono demandati ai responsabili del procedimento e alla polizia municipale, e nel caso di mancata applicazione, porterebbero alla decadenza e alla risoluzione di appalti, concessioni, autorizzazioni.