«Questa azienda ha passato tanti momenti in cento anni di storia, l’unica costante è stata il cioccolato», dice Fabrizio De Mauro, terza generazione a capo della cioccolateria nel quartiere di San Lorenzo a Roma insieme alla sorella Carla. Un secolo di storia è passata davanti alla cioccolateria, ma la natura di "bottega di famiglia" non è cambiata. Nel prossimo futuro, «Said 2.0 prevede un’apertura in Kuwait, dopo quelle a Dubai, Doha e Riyad» racconta Fabrizio, ma con l’intenzione di aprire anche al centro di Roma.
Sotto le bombe
Sopra il logo inciso sulla vetrina si legge “dal 1923”. È lo stesso periodo in cui Benito Mussolini ha istituito il Gran Consiglio del Fascismo, mentre l’Italia adottava la legge Acerbo in vista delle elezioni del 1924. Un evento che ha toccato l'azienda di Aldo de Mauro, nonno dell’attuale proprietario Fabrizio. Negli anni la piccola cioccolateria ha cambiato nome: da Saie (Società anonima italo elvetica) è divenuta Said (Società azionaria industria dolci). Un cambiamento seguito a un evento drammatico, come ne succedevano a migliaiai in quegli anni: tra i fondatori dell'azienda c'era anche un imprenditore svizzero, di origine ebraica, che a causa delle leggi razziali è dovuto fuggire altrove. Oggi il locale si trova in quella che una volta era la fabbrica. «Avevamo uno spaccio nel palazzo di fronte che si affacciava sulla strada», ma in seguito ai violenti bombardamenti che colpirono il quartiere di San Lorenzo il 19 luglio 1943, in piena Seconda guerra mondiale, l'attività è stata spostata in un luogo più sicuro. La fabbrica, appunto.
La scelta del quartiere non è casuale. San Lorenzo ospitava diversi laboratori artigianali: Toseroni, Wührer - prima marca di birra italiana -, il biscottificio Gentilini. «Tutto ruotava intorno a quest’area perché era legata all’arte funeraria del cimitero (del Verano, ndr) che aveva una serie di manovalanze importanti». Tornitori, operai che lavoravano metallo, ghisa e marmo, che rappresentavano la clientela delle piccole aziende sorte nel quartiere. «In una sala di questa fabbrica c’erano delle buche con gli scalini dove si faceva la manutenzione dei macchinari».
Un po' di caramelle
La fabbrica è rimasta in piedi, sorretta dalle solide e spesse mura, mentre il negozio è crollato sotto le bombe. «Mio padre dopo il bombardamento ha trovato via Tiburtina in mezzo alle macerie. D’un tratto ha scorto mia madre, che si era rintanata nella fabbrica con le operaie, e si sono abbracciati», racconta Bruno De Mauro, padre di Fabrizio.
Non è sempre stata una questione di cioccolata. All’inizio dell’attività la produzione era diversificata in più prodotti. «Prima dell’avvento delle industrie le caramelle erano vendute sfuse. Trovavi bancarelle che le vendevano davanti alle scuole o sulle piazze. Tutte cose gestite dal mercato ebreo a Piazza Costaguti, al ghetto dove c’erano i grandi distributori che noi rifornivamo. C’è un congegno nel negozio che mio nonno chiamava “la macchina per fare soldi”: si metteva zucchero e mentolo e si facevano 300 pastiglie al minuto. Noi le vendevamo nude, senza incarto, in grossi sacchi».
Gli anni Duemila tra letteratura e cioccolato
Negli anni Duemila arriva il cambio generazionale. È il nipote Fabrizio a rilevare l’attività con l'obiettivo di farne qualcosa di nuovo. La fabbrica produce sì cioccolato, ma diventa anche il fulcro del quartiere. Un salotto per artisti e vecchi clienti, una vetrina per grandi marche, registi e attori. «Dopo aver aperto la sede attuale abbiamo fatto una presentazione degli orologi di Bulgari. Qui dentro è arrivato il mondo. Un periodo che è durato fino al Covid».
Passano per le sale del negozio personalità della transavanguardia come Gallo, Tirelli, Pizzi insieme a galleristi di tutta Europa. Si siedono ai tavoli anche professori, giornalisti, attori e registi come Bollea, Scalfari, Asor Rosa, ma anche Saviano, Guzzanti, Ben Stiller e Ridley Scott. «Era un salotto in cui convergevano tante persone. San Lorenzo ha avuto una sua vita fatta di una corrente di artisti romani, docenti, ma anche vecchiette di quartiere e di persone che hanno lavorato qua con noi. Ho da qualche parte un biglietto con una poesia in romanaccio sulla nostra azienda che mi ha lasciato un signore».
Said guarda all'estero
Dopo aver fatto conoscere la cioccolata a Roma, Said l'ha importata a Londra. O meglio, ha importato il prodotto simbolo dell’azienda: la cioccolata calda. «Mi dicevano che così densa e cremosa i londinesi non l’avrebbero mai bevuta, perché preferivano una versione più “liquida”. Io l’ho servita a mio modo e dopo un po’ su Time Out uscivamo sulla copertina per aver vinto un contest sulla migliore cioccolata».
Dopo Londra (la sede è attualmente chiusa), ha aperto negli Emirati Arabi. Dubai, Doha e Riyad, ma la volontà di chiudere un cerchio c’è. “Vorremmo aprire a Roma una o due sedi, se riuscissimo a trovare i locali giusti. L’offerta sarebbe molto più snella, più improntata verso i turisti. Sarebbe il coronamento del lavoro che abbiamo fatto negli ultimi vent’anni”. Nasce Said 2.0. Una nuovo approccio per i prossimi anni, fatti di progetti e una voglia di rimettersi in gioco. «Non ci siamo mai fermati, neanche durante il bombardamento». Ultima domanda: perché in origine venne scelto di produrre cioccolato? «Bella domanda. Mai capito. Non penso che ci fosse qualche cosa di “romantico” nella scelta di mio nonno. Anzi, il romanticismo è iniziato in questa fase qua, con me e mia sorella Carla».