Un contadino, un nipote e un cuoco hanno salvato un'antica cipolla gigante che stava scomparendo

4 Apr 2024, 12:53 | a cura di
A Santarcangelo di Romagna, entroterra riminese, la chiamano zvòla da aqua, cipolla dell'acqua, perché in passato veniva coltivata nei terreni attraversati da canali e fossi d’acqua in cui venivano deviate le acque del Marecchia

C'era un antico accordo fra mugnai e contadini lungo le sponde del Marecchia in territorio di Santarcangelo, entroterra riminese. Dal fiume, fino ad alcuni decenni fa, partivano numerosi fossi usati “a tempo” o alternativamente per alimentare macine o irrigare campi e orti dove i contadini coltivavano in particolare cipolle, aglio, rape e fagioli. La cipolla in questione è una varietà detta “precoce di Romagna” ribattezzata proprio per il metodo di coltivazione locale, che ne prevedeva l'irrigazione per scorrimento, “cipolla dell'acqua”. In questi giorni è diventata ufficialmente il ventesimo Presidio Slow Food dell'Emilia-Romagna. Oggi un disciplinare ne fissa l’area di coltivazione tradizionale, la bassa del torrente Marecchia fra Santarcangelo e la frazione riminese di Corpolò, e stabilisce pratiche sostenibili di coltivazione (no diserbo chimico e concimazione solo organica) che per il momento hanno abbracciato quattro aziende agricole della zona: Poli Hops, L'Arcangelo, Cono D'Elia, Agricola SC.

Vecchi metodi di coltivazione

L'acqua in abbondanza gonfiava le cipolle fino a farle diventare più grandi di tutte le altre e allo stesso tempo le addolciva, così da poterle mangiare persino crude. Poiché in particolare i santarcangiolesi ne coltivavano, e ne mangiavano, in abbondanza, i vicini riminesi li avevano ribattezzati zvulèun, ovvero cipolloni. Un nomignolo che è rimasto, nella dialettica e nello sfottò fra campanili, anche quando di questa cipolla se ne trovava ormai ben poca. Fino a qualche anno fa la cipolla dell'acqua era infatti quasi sparita.

Come molti dei mugnai, del resto anche il Marecchia tutta quest'acqua non la porta più da tempo, di conseguenza nuove regole non consentono più un attingimento massiccio all'agricoltura. Ma il sapore dolce di quelle grandi cipolle i santarcangiolesi non se lo sono mai dimenticati e diversi contadini hanno continuato a selezionarne il seme mantenendo viva quella coltivazione dai tempi rituali ancora oggi legati al calendario religioso. Semina per Sant'Antonio, entro il 17 gennaio, diradamento a San Giuseppe, il 19 marzo, anche se qualcuno ricorda che questa operazione poteva avvenire fino a maggio, poi la raccolta da fine luglio a fine agosto. Quindi la preparazione delle trecce da esporre almeno per un mese al sole per seccare e rendere conservabili le cipolle almeno fino a Natale, con l'apice del consumo anche in questo caso legato al calendario dei santi: la festa del patrono San Michele il 29 settembre, poi a San Martino in novembre, quando il mangiare santarcangiolese per antonomasia è costituito da piada con salsiccia e cipolla.

Contadini salvatori


Fra quegli agricoltori che alla cipolla dell'acqua non ha mai rinunciato c'è Marcello Podeschi, e come lui i suoi tre fratelli, che fino a prima di andare in pensione ha sempre rifornito la dispensa dello chef Massimiliano Mussoni della storica osteria La Sangiovesa. Oggi è il nipote Fabio Polidori, che otto anni fa ha creato la propria azienda agricola Poli Hops, a mettere a frutto gli insegnamenti degli zii, veri e propri esperti della cipolla dell'acqua, ed è lui che coordina i produttori del nuovo Presidio Slow Food. «Non c'è un unico “salvatore” della cipolla, anche se le leggende di paese non mancano, tanti hanno continuato a farla nel tempo anche fuori da questo territorio. Oggi con il disciplinare possiamo delineare però una mappa precisa e dire qual è la zona d'elezione della cipolla dell'acqua - spiega Polidori -. Sono state fissate per tutti pratiche sostenibili in campo da seguire. Per il resto, come per i miei zii materni, i Podeschi, niente dogmi, anche perché le stagioni sempre più imprevedibili richiedono soprattutto grande attenzione a quello che la campagna chiede momento per momento. Ad esempio in famiglia ricordano che il diradamento si faceva quando partiva il Giro d'Italia, e quindi in genere lo facciamo ancora oggi a maggio».

Quello che certamente è cambiato è il metodo di irrigazione: «Irrigare per scorrimento è sempre più difficile, perché le regole dovute anche alla situazione dettata dal cambiamento climatico e dalla sempre più frequente siccità, non permettono più l'attingimento al Marecchia come un tempo. Nella zona in cui ho l’azienda io, ad esempio, un tempo correva una fossa che assicurava l'acqua a cinque mulini: non c'è più. Tante poi non ci sono più, anche se pare stia ragionando oggi di ricrearne qualcuna. Vedremo. Perciò oggi si irriga per lo più con l'acqua dei pozzi, o del Canale emiliano romagnolo in alcune zone, ma quello che è importante è che ogni anno si seleziona la semente per mantenere il più possibile la varietà di questa cipolla: grande, può arrivare a pesare anche un chilo, piatta, dorata. Dalla semina alla cipolla pronta servono nove mesi di lavoro in campagna».

Cuochi ambasciatori

Per diventare Presidio Slow Food (di cipolle Slow Food con questa ne presidia 16), come ha rimarcato la vicepresidente di Slow Food Italia Roberta Billitteri, un prodotto ha bisogno di una comunità, che ne abbia memoria, conoscenza, intenzione di difenderlo, lo produca e anche che lo consumi.

I cuochi sono i primi ambasciatori e per la cipolla dell'acqua chi si è impegnato fino allo strenuo è certamente Massimiliano Mussoni de La Sangiovesa. Alcuni piatti bandiera di questo luogo dei sapori, nato nel 1990 dall'idea dell'imprenditore Manlio Maggioli condivisa con il santarcangiolese Tonino Guerra (poeta, e sceneggiatore di Federico Fellini), e dove lui è in cucina dagli inizi contemplano la dolce cipolla gigante come ingrediente fondamentale. Un affetto per questo ortaggio che nasce da un ricordo d'infanzia legato ai racconti del padre che raccontava le estati da bambino nella casa di mezzadri dedicata a intrecciare le cipolle sull'aia per poi appenderle ed essiccarle nei mesi a venire. La zuppa di cipolle de La Sangiovesa riesce a estrarre tutta la dolcezza di questo ortaggio, ma lo chef la utilizza anche nella frittata estiva, nel condimento degli gli strozzapreti insieme con il guanciale, fino anche nei dessert, ad esempio in un gelato di crema con rum e tabacco, per un crème caramel diverso, o in confettura, utilizzata per le crostate o per accompagnare carni e formaggi, prolungandone così la resa, fino alla raccolta dell'agosto successivo.

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